Aretha Franklin all’Olympia
Riprende oggi il percorso della rubrica di Antonio De Robertis: Novecento in Concerto –
Grandi assembramenti per eventi memorabili.
Antonio De Robertis
Parigi, Boulevard des Capucines. Lì, al numero 28, c’è l’Olympia, il tempio della musica, un teatro mitico, la casa dei grandi protagonisti della chanson française, da Maurice Chevalier a Gilbert Bécaud, da Edith Piaf a Dalida, da Yves Montand a Jacques Brel… tanto per citarne alcuni all’impronta. Il 7 maggio 1968, pronta ad affrontare il giudizio di un pubblico smaliziato e abituato ai giganti dello spettacolo in generale -e della musica in particolare- sul palco c’è un’afro-americana.
È nata a Memphis, Tennessee, il 25 marzo del 1942. Ha avuto un’infanzia difficile: abbandonata dalla madre all’età di sei anni, è stata allevata dal padre, noto ministro di culto. L’amore del padre, la musica e il talento cristallino l’hanno sostenuta e salvata. Si chiama Aretha Franklin. Ha soltanto 25 anni ma è già un mito: il successo mondiale l’ha consacrata come la regina della musica soul.
Lady Soul!… proprio così l’annuncia il presentatore e il suo fantastico concerto comincia con un pezzo scritto da due bianchi – Mick Jagger e Keith Richard – ma carico di spirito nero: (I Can’t Get No) Satisfaction
Il trionfo di Aretha Franklin all’Olympia è sancito dalle recensioni entusiastiche che l’accompagnano. Le Monde, il quotidiano più prestigioso e carismatico, dedica ampio spazio al concerto, scomodando addirittura il filosofo, sociologo, ma anche critico musicale e grande appassionato di jazz Lucien Malson, che firma un reportage nel quale Aretha viene esaltata con due parole lapidarie: la force et la grâce, la forza e la grazia.
Nel sito di Le Monde, la recensione di Malson è stata nuovamente pubblicata il 16 agosto 2018, quando Aretha Franklin ci ha lasciati.
Quelli del maggio 1968 sono giorni tutt’altro che tranquilli per Parigi: la contestazione studentesca ha già preso corpo e la mattina del 2 gli studenti hanno preso possesso della Sorbona. L’occupazione durerà fino al 1 luglio, sostenuta da molti intellettuali, tra cui Jean Paul Sartre.
Ma la sera del 7 maggio gli echi della rivolta studentesca non raggiungono l’Olympia e l’attenzione è tutta per lei, la giovane, meravigliosa Aretha, spettacolare per ricchezza di pathos in (You Make Me Feel Like) A Natural Woman
Per i più deboli e per la difesa dei loro diritti, per le minoranze etniche, il ’68 è un anno doloroso. Due mesi prima del concerto parigino, proprio a Memphis, la città natale della cantante, è stato assassinato Martin Luther King.
In America e in molti paesi europei, sulla scia di quelle francesi, le manifestazioni di protesta degli studenti si vanno moltiplicando. La musica, quella giovane, nuova, carica di ritmo e di speranza per un futuro migliore, le accompagna. Aretha Franklin è idealmente vicina ai giovani mentre, sul palcoscenico dell’Olympia, canta Chain of Fools e Baby I Love You
Anno di grandi fermenti, il 1968 ma, purtroppo, anche di grandi tragedie. Come se, nel destino del genere umano, fossero insite e imprescindibili anche la crudeltà, la violenza e la volontà di sopraffazione.
Nel mese di agosto, le truppe del Patto di Varsavia invadono la Cecoslovacchia, mettendo fine alla Primavera di Praga, l’esperimento politico di “socialismo dal volto umano” condotto da Alexander Dubcek.
Il 2 ottobre, a Città del Messico, l’esercito spara con le mitragliatrici su una manifestazione studentesca. I morti sono oltre cento: è il massacro di Tlatelolco. Viene gravemente ferita anche la giornalista italiana Oriana Fallaci.
Per tornare a Parigi, al maggio francese, la protesta studentesca capitanata da Daniel Cohn-Bendit raggiunge l’apice proprio nel giorno del concerto di Aretha Franklin, con gravi incidenti nel Quartiere Latino. Si moltiplicano le prese di posizione e le reazioni. Il giorno dopo, oltre ai quotidiani francesi -Le Monde in testa- ne danno conto anche gli italiani. La Stampa rilancia un dispaccio dell’agenzia France Presse.
Chissà, forse alcuni degli studenti coinvolti nelle manifestazioni avranno trovato anche il modo di assistere al concerto di Aretha.
Eccola in una composizione del suo grande amico Ray Charles: Come Back Baby
Il 1968 è anche l’anno della contestazione studentesca al Teatro alla Scala; non contro la musica, ma contro un certo modo di fruirla, cioè come occasione per ostentare lusso e ricchezza, momento di vanità anziché opportunità di arricchimento culturale. Inaccettabile per i giovani.
Dunque, anziché rivolgere l’attenzione al melodramma – genere da ostentare comunque con orgoglio, perché frutto importante, pilastro della tradizione musicale italiana – meglio abbeverarsi alla sorgente della musica sanguigna, il rhytm & blues e il gospel della tradizione afro-americana.
Un esempio fulgido, in tal senso, è la hit firmata Otis Redding, con la quale Aretha Franklin conclude la sua esibizione all’Olympia: Respect
Il Journal du Show Business, in poche righe promuove il concerto fra gli avvenimenti memorabili -tant’è che ancora oggi ne parliamo e così sarà ancora per molto tempo- incastonandolo fra l’apertura e la chiusura, Satisfaction e Respect.
“Da Satisfaction a Respect, Aretha Franklin dimostra, in un’ora, che la superiorità dei cantanti americani non è una leggenda. Canta parte del suo repertorio di fronte a un pubblico estasiato. La presenza di tre giovani coriste sul palco, insieme all’incredibile capacità vocale di Aretha, crea uno spettacolo superbo e testimonia perfettamente il talento di Lady Soul.”
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