Bari: Tommy Parisi, figlio del boss Savinuccio, condannato a 8 anni per mafia

La sentenza di primo grado lo condanna anche per estorsione ai cantieri. Il Sindaco Decaro: “La vittoria del coraggio”

La redazione

Tommy Parisi, figlio del boss del quartiere Japigia di Bari Savinuccio e da alcuni ritenuto il capo assoluto della malavita organizzata barese, anche extra moenia (ndr. fuori delle mura della città), è stato condannato Tribunale di Bari a otto anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per il reato di associazione mafiosa.

Questo l’epilogo del processo di primo grado “Do ut des” in cui sarebbero emerse -come ha sostenuto l’accusa- decine di estorsione a cantieri edili imponendo guardianie e l’acquisto di materiali e servizi da fornitori amici degli amici.

Tommy Parisi, è conosciuto, anche per essere un cantante neomelodico. Ha un suo pubblico e molti/e giovani e meno giovani fans. Nello stesso processo sono state condannate altre otto persone. Venti anni di reclusione comminati al pregiudicato Emanuele Sicolo, che svolge attività d’imprenditore, già detenuto in quanto arrestato nell’operazione “Levante” per riciclaggio di denaro, evasione fiscale e frode sulle forniture di carburante. Condannati anche gli imprenditori Alessandro Sicolo, fratello di Emanuele  a 10 anni e Giuseppe Putignano a 2 anni e 8 mesi.

Assolti invece gli imprenditori Paolo Maiullari, (la Procura aveva chiesto 10 anni), e Pasquale Barile, (7 anni). Assolto, su conforme richiesta del Pm, un quinto imprenditore, Raffaele Parisi.

Tommy Parisi è stato condannato a risarcire le parti civili, fra le quali spicca il Comune di Bari.

Ed in relazione alla condanna il sindaco di Bari e presidente nazionale Anci, Antonio Decaro ha dichiarato: “Le condanne inflitte oggi agli esponenti del clan Parisi che negli anni scorsi avevano portato avanti un’intensa attività estorsiva ai danni di alcuni imprenditori edili impegnati nella nostra città rappresentano la vittoria del coraggio di tutte quelle persone che scelgono di denunciare. Denunciare significa compiere una scelta di parte, amare la nostra città e sperare di poter contribuire a smentire quell’asfissiante luogo comune del ‘tanto non cambia niente’. Ognuno di noi può fare la propria parte, con umiltà, senza eroismi, nella quotidianità. Si possono compiere scelte radicali nelle decisioni semplici, come quella di non far cantare il figlio di un boss in una pubblica piazza, e in quelle difficili, quelle fatte dagli imprenditori che hanno denunciato le estorsioni ai danni delle loro imprese edili o i tanti commercianti che in questi anni si sono rivolti al sottoscritto o alle autorità giudiziarie per denunciare episodi di illegalità da cui sono partite indagini importanti contro la criminalità organizzata di questa città”.

L’avvocato difensore del Parisi junior, Nicola Lerario, ha anticipato che ricorrerà in appello, ad avvenuto deposito delle motivazioni, aggiungendo all’agenzia LAPRESS: “Il collaboratore (ndr, di giustizia, già appartenente al clan) Milella aveva testualmente riferito che Tommy Parisi non fa parte del clan“.

Appare evidente che sul punto i giudici non hanno ritenuto credibile la dichiarazione del “pentito”.

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