Chiara è il mio nome!

Ci sono parole delicate, pensieri ed emozioni che lasciano il segno e che raccontano di noi, perché il passato è sempre presente.

Alessio Todisco

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo articolo scritto nel 2013 per mano di Alessio Todisco all’epoca facente parte della gioventù francescana, articolo redatto in occasione dell’ottavo centenario di Santa Chiara d’Assisi. Il pezzo, riposto in un cassetto, è stato ripreso dopo quasi dieci anni e proposto al pubblico per ricordare la bellezza della preghiera, e il bisogno di vivere senza pretendere beni materiali, ma solo amore: “Chiara ha Gesù come unica ricchezza: «Nulla volle avere se non Cristo Signore» (Vita, 13: 3184) e lotta fino alla fine per tenere stretto questo privilegio“.

Mio padre era un nobile cavaliere, mia madre una meravigliosa donna cristiana. Sono cresciuta respirando l’armonia della pace familiare, mentre il mondo intorno a me esplodeva della vitalità medievale carica di intensità di storia, quanto di conflitti e contradizioni. Conosco la guerra; ho sulla pelle e nel cuore il suo dramma di bugia inevitabile di inutile violenza e odio, di terribile morte di cui l’uomo scatena il peggio di sé contro il suo fratello. Ho visto nella mia città fronteggiarsi amici e persino parenti in uno scontro impazzito e malvagio. Conosco l’esilio; la mia stessa famiglia vi fu costretta quando Assisi diventò campo di battaglia e lotte intestine. So cos’è la provvisorietà del presente e l’incertezza del domani. …E conosco la povertà degli uomini, l’ingiusta miseria a cui vengono costretti.

…E conosco Dio, che come luce semplice e gentile abita da sempre la mia vita e la rischiara. Chiara è il mio nome e anche la mia vita, chiaro ho sempre voluto vederci, e chiara, ho scoperto, è la vera luce delle cose che portano scritto sempre nel profondo della loro verità: un più in là, un tutto è possibile; come una cornice di cielo che dà alla terra i colori della bellezza e della pace dell’infinito. Il mio infinito: Dio. Da sempre vivo nell’abbandono fiducioso e sereno nelle braccia sue di Padre; e anche se la mia vita cresce come sorella, sposa e madre, l’essere figlia del Padre resta sempre il mio nome e il senso della mia esistenza. Passo i miei giorni ad ascoltare i battiti del suo cuore sempre aperto e attento ai suoi figli, ne avverto anche le accelerazioni dell’ansia amorosa per la sua Chiesa e il suo mondo di figli talvolta distratti e lontani; e così il mio cuore batte all’unisono col suo. I miei desideri e le mie lacrime traducono il suo Spirito che in me geme e soffre le doglie del parto di un’umanità nuova che fatica a venire alla luce della verità e dell’amore. E se Dio è stato il custode e seminatore della mia vita, Francesco, Francesco d’Assisi ne è diventato il piantatore, il fondatore e l’unico sostegno dopo Dio.

I secoli trascorsi non hanno smesso di tenermi legata a lui, ed io rimango sempre la sua piantucula, la pianticella curata, irrigata e amorevolmente protetta all’ombra di quell’uomo povero a me donato da Dio stesso. Sì, perché con Dio non esistono storie solitarie, e quando chiama, il primo dono che fa, è sempre un fratello o una sorella. Vedevo nel volto di Francesco e nella sua vita il modo in cui io volevo seguire e servire il Signore. La sua inquietudine, i suoi silenzi, le sue domande di senso, interpretavano la ricerca segreta del mio cuore. Cercavamo entrambi il volto di Dio e lo incontravamo negli occhi l’un dell’altra; era l’unico, dopo Dio, di cui riuscivo a percepire i battiti del cuore, ed era bello che pulsassero allo stesso ritmo del mio e di Dio. Francesco non era un uomo facile, bisognava entrarvi in fondo alla sua vita per carpirne tutta la bellezza. Ci sono cose nell’anima di un uomo che solo gli occhi di una donna sanno scorgere. A volte avvertivo il suo timore nel lasciarsi guardare, nel lasciarmi scoprire le luci e le ombre di sé, soprattutto le ombre; ma finii per disarmarlo perché quando una donna guarda con cuore umile e puro non può far male. Così, Francesco imparò a guardare negli occhi la donna donatagli da Dio e a specchiarsi nel mio sguardo.

Divenni sua sorella ed egli smise di avere paura di sé. Tutto questo, mentre con discrezione e con forza gli comunicavo il mio struggente desiderio di fare come lui, di amare come lui il Cristo povero e umile. Francesco, mi ha vestita dell’abito dei poveri e degli umili della terra; lui mi ha condotta per mano nella terra promessa della sua amata San Damiano, la casa semplice dove Dio lo aveva chiamato e che lo aveva invitato a restaurare per me e per le mie sorelle. San Damiano, ne ho fatto il mio mondo, il mio universo. Lì, la necessità di donarmi con tutta me stessa a Colui che per amor mio tutto si era dato. La cristiana mi chiamava Francesco. Vedeva il mio volto, disegnato nella luna delle sue notti o riflesso nel pozzo delle sue solitudini e l’un per l’altra, in un modo mai cercato né provocato ma sempre accolto come dono dall’alto, diventammo il riflesso più bello dell’amore di Dio dopo quello del Figlio crocifisso e della sua Madre poverella. La nostra si fece storia di un’amore povero e semplice che restituisce l’altro a sé e alla sua libertà di appartenere a Dio solo. Fu la storia di un’amicizia dolce e forte che mai confuse, trattenne o possedette, ma che sempre ci donò l’uno all’altra nella meravigliosa operazione dello Spirito che solo può fare dei due una cosa sola. Non tentate di imitarci o di percorrerle voi le nostre vie, con le vostre forze; è storia di Santi, è storia di Dio. Tutto ciò che Dio mi diceva lo vedevo fare a Francesco, fu lui uomo di pace a insegnarmi a pregare per la pace di Cristo tra gli uomini e a vivere in essa.

E pace fu sempre nel mio cuore e nella mia fraternità, come il sigillo fedele dell’amore del mio Sposo. Pace, anche quando, ormai avanti negli anni e malaticcia, affrontai l’attacco pericoloso dei saraceni al mio monastero. No, non uscii il tabernacolo per cacciarli, non lo usai per difendermi, Gesù non era e non sarà mai un’arma. Radunai le mie sorelle e ci stringemmo forte forte intorno a Lui raccomandandogli anche la nostra amata Assisi perché ci proteggesse tutti. La Sua pace calmò la nostra paura di donne deboli e povere, e acquietò la rabbia incattivita di quei saraceni che si allontanarono senza farci più del male. Fu Francesco ad affidarmi la Chiesa, Sposa del nostro Sposo: l’abbiamo amata, abbracciata come e perché Cristo stesso aveva dato la sua vita per lei, generandola dal suo cuore inchiodato sulla croce dell’amore. Una Chiesa difficile, fragile e a volte scandalosa, volitiva e un pò indomabile; a lei promisi amorosa e incondizionata obbedienza. Come Maria, divenni anch’io Vergine fatta Chiesa.

Obbedii sempre, anche quando disobbedivo alla sua gerarchia che per eccessivo zelo, forse, mi impediva di realizzare il sogno della sequela di Cristo povero, in povertà. Obbedii anche quando la mia condizione di donna sfavoriva la possibilità della forza profetica di questa vocazione altissima a cui Dio chiamava me e le mie sorelle. Obbedii anche quanto non volli essere dispensata, dal Papa stesso, dal mio voto di povertà e rifiutai ostinatamente ogni aiuto che potesse condizionare in qualche modo la libertà di essere povera come il mio Sposo. Fu Francesco a volermi madre delle mie sorelle; imparai a diventarlo, piegandomi ai loro piedi da lavare e alle loro coperte da rimboccare, alla loro infermità da curare e alla loro vita da nutrire. Gesù, il Maestro, si era fatto servo in mezzo a noi ed io mi resi serva inutile delle mie sorelle, perché è come Lui aveva fatto con me.

Mi contagiò l’amore di Francesco per ogni uomo della terra, nostro fratello, lasciandomi scendere con lui fin negli abissi della fragilità e miseria più profonda, fin dove era sceso Dio stesso, per stringermi così ad ogni figlio del Padre nell’abbraccio della solidarietà più vera, soffrendo con chi soffre, morendo con chi muore, ogni giorno. Così, nello spazio angusto ed essenziale della mia casa di San Damiano, ho imparato a vivere fino in fondo. Qui ho tutto. E a chi ancora oggi mi guarda stupito e un po’ provocato e talvolta persino infastidito da questo segno fuori del tempo e della storia che la mia vita rinchiusa racconta, io sorrido e lascio che entri nei miei occhi per guardare fino in fondo alla mia anima e lì scoprire il segreto: Dio.        

Alessio Todisco

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