Dizzy Gillespie sulla Costa Azzurra

Antonio De Robertis, giornalista arci noto ai cultori del Jazz e della musica d’autore, debutta su queste pagine da editorialista con la sua rubrica: Novecento in Concerto – Grandi assembramenti per eventi memorabili

Antonio De Robertis

Provate a immaginare l’odore del mare, lo sciabordio delle onde che s’increspano, spumeggiano e s’infrangono sulla spiaggia. Quel suono inconfondibile fa da sottofondo alle voci allegre dei bambini che giocano e alle risate dei grandi.

Nel Casinò, il frastuono delle slot machines è sovrastato da note festose e travolgenti.

È il 23 Luglio: una sera fresca, dolcissima, che odora di fiori e di salmastro, dell’estate 1962. A Juan-les-Pins è in pieno svolgimento il Terzo Festival del Jazz di Antibes. Sul palco, il sestetto guidato da Dizzy Gillespie, quasi incontrastato re del bebop, la corrente che fa dell’improvvisazione la propria cifra stilistica.

Con la sua caratteristica tromba dal canneggio piegato all’insù e la campana che canta al cielo, Dizzy, assieme ai suoi – Leo Wright flauto e sax alto, Lalo Schifrin piano, Elek Baksik chitarra, Rudy Collins batteria, Pepito Riestria percussioni – alterna squillanti evocazioni afro accentuate dalla sordina, virtuosismi da jam session, suoni e ritmi latini.

“Dizzy on The French Riviera” è il disco –con composizioni di Gillespie, Schifrin e Jobim- che contiene la registrazione dell’intero concerto; ed è storico.

I riferimenti alla bossa nova, genere che nei magnifici, indimenticabili anni Sessanta rappresentava l’anello di congiunzione fra jazz e musica carioca, sono evidenti; per di più, esaltati dagli arrangiamenti dell’argentino Lalo Schifrin.

Gillespie è l’artefice di un connubio quasi ideale: quello fra la tecnica e il virtuosismo jazzistici e la spontaneità della musica latino-americana. In questo senso, il concerto di Juan-les-Pins è emblematico: è la quintessenza del trionfo della bossa nova, intessuto di calore, ritmi gioiosi e orecchiabilità. Se poi è vero, com’è vero, che ogni concerto ha la propria punta di diamante, nel nostro caso, senza dubbio alcuno, è la travolgente “No More Blues”, anglicizzazione dell’originale “Chega de Saudade” di Antonio Carlos Jobim.

Il ritmo, che il piede accompagna e sottolinea inconsapevolmente, ci lascia col fiato sospeso; tutte le performances solistiche sono entusiasmanti, ma l’assolo di Schifrin, trascinante e formidabile dal punto di vista tecnico e interpretativo, ci sconquassa, letteralmente.

Piccola parentesi: Lalo Schifrin nel 1962 aveva trent’anni ed è diventato famoso, in seguito, come autore di quasi duecento fra colonne sonore e sigle TV (Mission: Impossible, Brubaker, Bullit, Starsky & Hutch, tanto per citare qualche titolo). Oggi, quasi novantenne, è ancora fra noi. Di “No More Blues”, propongo il filmato originale.

(*). L’audio non è un granché ma, per chi volesse un ascolto migliore, ecco l’album intero, “Dizzy on the French Riviera”, rimasterizzato.

Questa è la musica che si ascolta al Casino di Juan-Les-Pins, durante il Terzo Festival del Jazz di Antibes, mentre sei mesi prima, a pochi chilometri di distanza, a Sanremo, il Festival è stato vinto dalla coppia Modugno – Villa con “Addio Addio”; secondi Sergio Bruni e Milva con “Tango Italiano” e, terzi, Ernesto Bonino e Sergio Bruni (ancora), con “Gondolì Gondolà!”

Intanto Adriano Celentano fonda il Clan, Ezio Radaelli dà vita al Cantagiro e, nella stessa estate -esattamente in Agosto- esce, il primo singolo dei Beatles, “Love Me Do”, che in breve diventa un successo mondiale.

Non appena usciamo dall’ambito strettamente musicale, si scopre che il 1962 è un anno denso di avvenimenti.

Il 18 Marzo, a Évian, in Alta Savoia, Repubblica francese e Fronte di Liberazione Nazionale firmano l’accordo per il riconoscimento dell’indipendenza dell’Algeria.

Il 6 Maggio, al nono scrutinio, Antonio Segni viene eletto Presidente della Repubblica Italiana.

Il 31 Maggio, nel carcere Ramleh di Tel Aviv, viene giustiziato Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della “soluzione finale” della questione ebraica. In proposito, il mio professore di Dottrina Generale dello Stato Pompeo Biondi, nel suo saggio “Giudicare Eichmann” avanza un dubbio, pone una questione etica che rilancio ai lettori: potevano degli esseri umani stabilire una pena di una certa qual entità, ma comunque definita (in questo caso la pena di morte), da comminare a un individuo che aveva compiuto un crimine di portata così enorme? In sintesi, si può commisurare una pena finita a un crimine infinito?

Il 2 Giugno, durante una manifestazione di protesta nella città sovietica di Novočerkassk, l’Armata Rossa uccide decine di persone.

Dieci giorni dopo, Frank Morris e John e Clarence Anglin, evadono dalla prigione di Alcatraz. Dopo lunghe e infruttuose ricerche, le autorità li dichiarano come affogati nella baia di San Francisco.

Il 5 Agosto, Marilyn Monroe viene trovata morta nella sua casa di Brentwood. Le cause della tragica fine di Norma Jean, ancora oggi restano incerte.

Il 5 ottobre esce in Inghilterra il primo film della serie dell’agente Bond: “007, Licenza di uccidere”.

Il 15 Ottobre scoppia la crisi dei missili a Cuba e l’umanità si trova a un passo dalla terza guerra mondiale.

Il 27 Ottobre, a Bascapè, nei pressi di Pavia, l’aereo del Presidente dell’Eni Enrico Mattei, precipita in circostanze misteriose.

Intanto l’Unione Sovietica lancia nello spazio la prima sonda diretta verso Marte, ma la missione Mars 1 sarà un fallimento: la sonda si perde a 106 milioni di chilometri dalla Terra.

Tanti eventi dunque, che appartengono alla solita drammatica ordinarietà: dalle tragedie collettive alle miserie umane, alle morti premature e sospette, al progresso –vero o presunto. Cose che, ciascuna a suo modo, hanno un fascino che in taluni casi può colpirci negativamente; in altri, arricchirci attraverso la bellezza, regalandoci emozioni sane e profonde.

Può accadere nell’arte in generale e nella musica in particolare; come, una sera d’estate di cinquantotto anni fa, in Costa Azzurra, durante il concerto di Dizzy Gillespie. Allora, concedetevi una pausa di quarantacinque minuti e godetevi questo gioiello della storia del jazz.

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