Il Belice e Burri
Nella notte tra il 14 ed il 15 gennaio 1968 si compiva la tragedia del Terremoto del Belice. Un’intera zona di Sicilia rasa al suolo, polemiche e recriminazioni, una ricostruzione fatta in un’altra zona e sulle macere un SUDARIO il grande CRETTO di Alberto Burri che fa venire la pelle d’oca.
Maria Catalano Fiore
Esattamente 53 anni fa avveniva questa grande calamità che ha sconvolto, vite, paesaggio, regione, una nazione intera.
Il terremoto nella valle del Belice del 1968 è stato un violento evento sismico. Una valle che abbraccia le province di Trapani, Agrigento e Palermo.
Le vittime calcolate circa 370, tra cui 10 soccorritori, 1.000 feriti e 90.000 sfollati. I danni maggiori a Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale, varie scosse che finirono per coinvolgere e causare danni irreparabili a Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa e Vita.
La prima scossa verso le 13.28 del giorno 14 gennaio, poi 14.15, ed ancora alle 16.48. Poi nella notte alle 2.33 del 15 gennaio, una scossa molto violenta arriva sino a Pantelleria. Ma la scossa più forte si verifica alle ore 3,01 che causa il disastro definitivo. A questa fanno seguito altre 16 scosse ……….inimmaginabile.
I morti e le vittime accertate sono relativamente contenute, la gente era già in strada o nelle campagne dopo le prime avvisaglie. Ma gli sfollati, circa 90.000 in quella zona e nel mese di gennaio sono davvero un grosso problema. I numeri delle scosse spaventano: dal 14 gennaio al 1settembre 1968 sono ben 345.
I soccorsi: Sino a metà mattinata del 15 gennaio nessuno si rende conto pienamente dell’accaduto. Solo il TG1 delle ore 13.30 ne da notizia, è Piero Angela il giornalista che ne parla, ma viene sottovalutata, poche e confuse le notizie arrivate in redazione. Anche i giornali riportano appena la notizia. Solo quando giungono i primi soccorsi, il giorno dopo, trovando le strade quasi risucchiate dalla terra si accorgono che è quasi impossibile collegarsi con i vari paesi, far arrivare i soccorritori, per questo gli interventi già poco coordinati sono del tutto frammentati.
Nei giorni seguenti giungono sul posto il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat ed il ministro degli interni Emilio Taviani. Impegnati 1.000 soccorritori. Sorvolando le zone si presentava uno “spettacolo da bomba Atomica”. I resoconti dei vari giornali diventano allora da tragedia Gibellina, Salaparuta e Montevago sono rasi al suolo, i medici in emergenza e senza soste. Molti gli emigrati accorsi che tentano di portar via i loro famigliari.
Tendopoli di fortuna allestite dall’esercito, pioggia incessante che trasforma tutto in un enorme acquitrino, scarsi e mal distribuiti i viveri. Il cratere della distruzione è molto esteso. Il sisma mette a nudo lo stato di arretratezza a fatiscenza dei paesi siciliani, case in tufo che crollano come birilli. Popolazioni composte prevalentemente da vecchi, donne e bambini, gli uomini validi sono tutti emigrati. Un disagio sociale, non solo siciliano che lo Stato conosce e trascura, l’atavico “problema del Mezzogiorno”.
Dopo la proclamazione della Repubblica questo è il primo caso in cui è evidente l’impreparazione e l’inerzia totale dello Stato ad affrontare qualsiasi emergenza. Cominciano gli anni in cui intere popolazioni sono costrette all’emigrazione, lo squallore delle baracche per coloro che non hanno l’età e non sanno dove andare.
La gente è ammassata negli edifici pubblici, in tendopoli, 5.000 in carri ferroviari dismessi. In quel momento, paradossalmente, cercando di risolvere parte del problema, trova utile distribuire biglietti ferroviari di sola andata, per qualunque destinazione. Nel 1973 i baraccati sono 48.182, nel 1976 ancora 47.000, le ultime 250 baracche, con i tetti in eternit, sono state smontate solo nel 2006. Le infrastrutture non sono da meno.
Gli anni seguenti sono costellati da grandi discorsi, proclami, stanziamenti. Fatto sta che ancora oggi non tutto è stato ricostruito, subentra il “malaffare politico mafioso”, compaiono scritte sui muri.
Qui la gente è stata uccisa nelle fragili case soprattutto da chi le ha impedito di riappropriarsi della propria vita col lavoro, anche se per questa ricostruzione mancata sono stati spesi (molto male) oltre 6 miliardi di euro.
Dopo decenni di interminabili lavori gli antichi paesi sono stati in minima parte ricostruiti in luoghi distanti da quelli originari, nuove abitazioni, nuove infrastrutture urbanistiche che hanno profondamente modificato quella zona della Sicilia.
Il 14 gennaio 2018 si è tenuta a Gibellina, città simbolo, nel 50° anniversario la rievocazione del sisma e l’omaggio a tutte le vittime vive e morte in quella sciagura.
Ma ancor prima la mano di un artista internazionale: il grande Alberto Burri (1915-19959) ferma la memoria storica di quei luoghi ideando e costruendo la più grande opera di Land Art al mondo.
Il famoso “Cretto di Burri”, una sorta di sudario di cemento bianco che ripercorre e racconta le vie e le storie della città vecchia, ricostruendone la pianta originaria.
Tutti hanno partecipato emotivamente a questa suggestiva opera d’Arte Contemporanea nata, circa 15 anni dopo, da una idea di Ludovico Corrao, sindaco di Gibellina che parte da una ricostruzione “culturale” prima che edilizia.
Persona sensibile all’Arte ha molte amicizie tra i grandi architetti e i grandi artisti a cui lancia una sorta di “invito/sfida” a sperimentare sulle rovine di Gibellina.
La risposta è forte ed immediata molti artisti aderiscono all’invito, a titolo gratuito tra questi: Pietro Consagra, Alberto Burri, Ludovico Quaroni, Mimmo Rotella, Mario Schifano ed altri. Ormai bisogna andare oltre, dare un taglio netto, una svolta per arricchire la nuova Gibellina. L’impianto urbanistico adottato è in stile Nord Europeo in netto contrasto con la vecchia tradizione siciliana.
Ancor più paradossalmente nella nuova città c’è un quasi completo abbandono e la presenza di opere d’Arte di valore, strane per certi versi che la rendono assolutamente unica.
Alberto Burri Un artista tra i più famosi del 900, una carriera incredibile per un laureto in medicina che poi farà sue tutte le ferite del mondo, promotore dell’arte astratta e soprattutto dell’Arte Povera, e dell’utilizzo di materiali riciclati, la sua è un’arte talmente all’avanguardia che fornisce molteplici interpretazioni, ma a Gibellina è tutto chiarissimo, è tra i primi a rispondere alla chiamata, ma resta su Gibellina vecchia. Rimane affascinato da quelle rovine e decide che quello è il sito dove vuole dare il suo contributo artistico. Così nasce “Il Grande Cretto”.
Burri è famoso proprio (anche) per i suoi “Cretti” ovvero superfici scabre che presentano grandi incisioni che esprimono delle ferite. Burri quindi progetta una sorta di SUDARIO di cemento che copre l’intero abitato di Gibellina e che con i suoi tagli ripercorre le vie e le piazze della vecchia città ricostruendone la topografia.
Al posto delle case, enormi blocchi di cemento bianco che coprono la collina per 80.000 mq. L’opera viene realizzata tra il 1984 ed il 1989, ma solo in parte, Burri purtroppo muore nel 1995, senza aver terminato il suo progetto, ma la Regione Sicilia ha deciso di terminare la sua opera, finalmente completa solo nel 2015.
Il concetto è quello di far rivivere l’accaduto, o il perduto ripercorrendo quelle che erano le vie cittadine e provare le stesse emozioni in quel silenzioso dedalo bianco. Paura di non riuscire a salvarsi, ad uscire, rimpianto per quello che si è perduto irrimediabilmente. Attraversarlo, magari al tramonto, nel silenzio, è davvero inquietante.
“Questo luogo stesso sussurra la sua storia per una memoria perenne”.
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