Il filoscio napoletano
Tra storia, documenti e gastronomia, una pietanza
Maria Catalano Fiore
Cos’è? Una pietanza, una ricetta, un fatto storico o semplice pettegolezzo?
Il filoscio è una pietanza che nasce, nella seconda metà del 1700, da una piccola esigenza della gaudente corte borbonica napoletana, per poi dilagare in Campania ed oltre, raffinandosi, ulteriormente, presso le cucine salernitane.
La storia, reale e documentata, narra che la regina di Napoli Maria Carolina d’Asburgo Lorena (1752-1814), figlia dell’ Imperatrice Maria Teresa d’Austria (1717-1780) e sorella di Maria Antonietta di Francia (1755-1793), fosse scontenta della colazione in uso presso la corte napoletana.
Lei, sana ragazza austriaca, ovviamente poco gradiva, latte, cioccolata e tutta la roba dolce consumata a Napoli per colazione. Preferiva uova, pane ed altro. Le uova, sode, fritte, strapazzate ecc… preparate dai cuochi di corte, non la soddisfacevano affatto.
Aveva già chiamato a Napoli alcuni cuochi francesi, inventori, poi, o meglio rivisitatori della ricetta del “Gatteau”, il famoso Gattò napoletano. A questi cuochi Maria Carolina affida il compito di creare qualcosa di meglio e di cercare di rifare una pietanza di uova e formaggio da lei provata a Parigi, presso la corte della sorella Maria Antonietta, “les filoches” (ndr le filanti) che le erano piaciute tanto.
Non si tratta di una frittata, nella quale si può aggiungere di tutto e creare un “mappazzone”, come viene definito a Napoli, ma di amalgamare uova con formaggi filanti, per una creazione deliziosa.
Cuochi all’opera: utilizzano formaggi francesi, ma il risultato non è dei migliori. Non emanano un profumo appetitoso: puzzano. Re Ferdinando I di Borbone delle due Sicilie, ottimo commensale, decide di prendere provvedimenti: chiama i cuochi napoletani presenti a corte e li informa: “Uagliò amma apparà sta frittat…cà me fà avvutà o stomaco!” (ndr. “Ragazzi dobbiamo sistemare questa frittata che mi fa rivoltare lo stomaco!)
Gli chef quindi sperimentano una cosa che nel regno non era mai stata fatta…Mai! Unirono alle uova i latticini della zona, e non i fetidi formaggi francesi, creando un capolavoro. Non solo, così contribuirono al lancio di latticini e mozzarelle e formaggi freschi che si andavano diffondendo nel Regno di Napoli provenienti, dalle montagne del Molise, dal Gargano, poi diffusi in tutta la Puglia e Campania.
Questa unione uova-mozzarella è stata davvero apprezzata, la mozzarella FILAVA! Carolina era felice a tal punto che questo FILOCH non solo era preparato per colazione, ma anche per cene leggere.
Ben presto questo semplice piatto passò nelle mani del popolo, con un successo enorme, per due motivi: 1 – era alla portata di tutti, poiché si potevano utilizzare anche latticini o mozzarelle non più fresche; 2 – perché il popolo poteva affermare di mangiare un piatto REALE.
Il filoscio, quindi, è stato introdotto nella gastronomia napoletana e non solo. Come si prepara?
Ingredienti: 4 uova, 200 g. di mozzarella a fette, sale e pepe q.b., un filo d’olio d’oliva.
Preparazione: innanzitutto. sbattere energicamente le uova, unendo una presa di sale ed una spolverata di pepe.
Ungere una padella con un filo d’olio e farla scaldare, aggiungete le uova e fatele andare a fuoco molto lento, in modo da cuocerle, ma non bruciare la parte inferiore del filoscio.
Questo Filoscio/frittata non va assolutamente girata, ma fatta cuocere su un unico lato.
A metà cottura va aggiunta la mozzarella tagliata a fette, meglio se del giorno precedente, su un lato della frittata, il resto va piegato per chiudere e terminare la cottura pochi minuti dopo.
La mozzarella a fette può anche essere posizionata nella parte centrale della frittata che può essere chiusa anche come un pacchetto.
Il filoscio sarà pronto quando la frittata risulterà dorata e la mozzarella comincerà a filare, rendendo questa frittata molto gustosa.
Nella variante salernitana definita anche “La brasciola d’ove rinto u tiano” o anche “Finta Trippa”, il filoscio va farcito, arrotolato su se stesso, e poi poco cotto, poggiato su un letto di sughetto semplice, già pronto, ottenuto con cipolla tritata e passata di pomodoro, arricchito da prezzemolo o basilico, quindi si termina la cottura, altri 5 minuti sulla fiamma media.
Nella variante “Finta Trippa”, la frittata non si arrotola, ma si lascia solidificare senza bruciare, poi si taglia a strisce che si immergono nel sugo. Queste due versioni possono essere una pietanza a parte, un secondo, una cena, facendosi una gran bella scarpetta, oppure si possono usare per condire della buona pasta.
Per tradizione il Filoscio si gusta “cu cuzzetiello” o “pane cafone”. Una pietanza semplice, ma gustosissima.
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