Introduzione e Finale.
In foto di copertina da sx. Roberto Fabbriciani e Massimo Cacciari (2019).
Roberto Fabbriciani
In questi appuntamenti settimanali del mio quaderno autobiografico ho dato una particolare attenzione al “flauto in scena”, ossia al ruolo che flauto e flautista hanno avuto sulla scena nell’ambito del teatro musicale contemporaneo, ruolo a cui mi sono dedicato con passione in situazioni differenti e da cui ho avuto grandi soddisfazioni.
A partire dal 1964 ad oggi le esperienze artistiche che ho vissuto sono state innumerevoli e, soprattutto, eterogenee e tutte unite dal filo rosso della curiosità, dell’entusiasmo per la novità, per la ricerca, per la sperimentazione e proiettate in una dimensione sempre futuribile, lontana dalla ripetitività.
Approdare al teatro musicale e lavorare sulla scena interpretando oltre 25 opere, confrontandosi con partiture contemporanee, ha significato utilizzare un grande bagaglio tecnico-musicale affinato in precedenza.
Il mio strumento flauto non è limitato all’oggetto, ma è un mezzo infinito per realizzare pensieri musicali. È un soggetto, un’orchestra, è un interprete che legge attraverso e che va oltre il pensiero limitante dello strumento stesso.
Il suono è strettamente unito al movimento, al gesto, nasce dalla gestualità e quindi possiede una sua intrinseca teatralità. Il movimento di un dito, un colpo di chiave sullo strumento, sono teatro. Basti pensare a certi lavori di Maderna, a Don Perlimplin e a Hyperion, in cui il flauto recita il testo attraverso le note. Penso che questo sia assolutamente affascinante e di grande impatto comunicativo.
Per un interprete è anche importante imparare ad ascoltare-ascoltarsi. Si possono udire i silenzi in modo sonoro! Apprezzare le bellezze sottomarine dei pp nel modo più ricco. Scandire le differenze cominciando dal niente (zero) salendo gradualmente di p in p. Si può creare anche un’illusione acustica. Suonare in una sala o in un teatro con enfasi suoni silenziosi.
Attraverso le macchine del live electronics ho imparato ad ascoltare, a controllare e ad analizzare il suono. Ecco l’utilità di certe macchine che permettono di scoprirsi e di crescere. E’ vero! in epoca dove tutto passa in video, gli occhi sono super allenati mentre l’orecchio, ancora indifeso, subisce gli insulti dell’inquinamento acustico.
Con l’ausilio delle macchine e una nuova sensibilità è possibile iniziare ad educare il nostro orecchio a una più vasta ampiezza dinamica e ad una maggiore ricchezza del suono.
Con i compositori ho avuto prima di tutto un rapporto umano, un legame di amicizia che convergeva in comuni interessi professionali. La musica era motivo di affinità, ma prima della vera e propria collaborazione professionale, si attuava un percorso di conoscenza reciproca, di scambi d’idee e di opinioni che ci aiutava ad entrare o meno in sintonia. Questo mi ha dato la consapevolezza di quanto avessi in comune con i compositori con i quali lavoravo oppure di quanto ne fossi idealmente lontano, riuscendo così ad interpretare la loro musica nel pieno rispetto della loro poetica e della loro estetica.
Dopo oltre quarant’anni la prima di Blaubart di Camillo Togni rimane una tappa importante della mia vita artistica, come ho già detto è l’inizio di un cammino verso nuovi orizzonti esecutivi, partecipe di una più ampia consapevolezza interpretativa. Credo che fare musica significhi in primis esprimere e comunicare idee e contenuti secondo un comportamento universale. La figura del music maker è trasversale alle culture e ai tempi, la volontà di produrre e organizzare suoni ha accompagnato l’uomo da tempo immemorabile. Aggiungere la gestualità, la mimica, i colori di un costume, la brillantezza delle luci, la gestione della presenza scenica, significa amplificare la musica ed il suo potere comunicativo. In questa ottica, l’interprete sottolinea il suo ruolo di cantore e accentuatore dell’opera.
Quando ricevetti da Sylvano Bussotti la parte di Rondò di scena per un virtuoso di quattro flauti, balletto di un Narciso mi venne spontaneo riflettere sul “un Narciso”. Nel mio percorso di musicista il narcisismo era già presente soprattutto con riferimento al repertorio contemporaneo in cui la gestualità e l’improvvisazione sono elementi peculiari del linguaggio musicale. Tuttavia in “Rondò di scena”, come del resto in tante parti di teatro musicale che ho interpretato, il narcisismo diventa necessità, condizio sine qua non dell’essere interprete.
A questo si aggiunge la necessità di una completa disponibilità nei confronti della partitura, delle esigenze del compositore e poi del regista, nel desiderio di soddisfare le aspettative di un’idea interpretando un personaggio o una situazione, tra fantasia, mito e reltà. Così Ariel nel Prospero di Luca Lombardi, che con il suo soffio scatena le tempeste, il dolce e timido Don Perlimplin di Maderna, quasi spaventato dall’amore o il giovane Blaubart presago delle sue nefandezze.
In Prometeo una delle difficoltà consisteva nel cambiare le postazioni percorrendo i camminamenti dell’arca senza produrre alcun rumore e senza generare alcuna distrazione al pubblico. L’obbiettivo di Nono era un ascolto più cosciente, teso ad assaporare ogni piccolo cambiamento carico di significati e a generare emozioni forti attraverso scelte compositive contrarie ad ogni accademismo.
Negata ogni distrazione l’opera noniana è scena compiuta in se stessa; superato l’elemento visivo, l’ascolto è puro.
Nei diversi manoscritti troviamo il nome dell’esecutore all’inizio del rigo avanti alla classica abbreviazione dello strumento, come del resto la scelta dell’organico è stata spesso suggerita dal rapporto d’intesa stabilito con gli interpreti.
Fra gli altri erano miei compagni in Prometeo Giancarlo Schiaffini e l’amico fraterno Ciro Scarponi.
Dopo l’esecuzione di Venezia nel 1984 ho partecipato ad altre rappresentazioni di Prometeo; tuttavia la prima veneziana si staglia come un evento unico, una emozionante chiave di volta per il teatro musicale che rimane scolpita nella memoria di quanti hanno avuto il privilegio di prendervi parte, come esecutori o come ascoltatori, insieme accomunati in quel “viaggio”.
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