La sfogliatella napoletana
Sfogliatelle ricce o frolle sono il cuore di Napoli, con una lunga storia, dolcissima e croccante
Maria Catalano Fiore
Si sa ogni ricetta di cucina ha una storia, lunga o breve che sia, una tradizione tramandata o una innovazione.
Questa perciò non è una ricetta: faccio riposare nonna Camilla, ma è la storia della nascita di questo dolce tanto apprezzato. “Napule tre cose tiene belle: o mare, o Vesuvio e le sfogliatelle” afferma Bruno di Ciaccio in: “La cucina al tempo dei Borboni” (Cuzolin ed.). In realtà le cose belle, da vedere o gustare, a Napoli sono molto di più, ma la sfogliatella è “unica”.
Impensabile andare a Napoli senza assaggiare una sfogliatella in ogni momento della giornata: per colazione con caffè o cappuccino, dopo pranzo per addolcire il palato o come dessert dopocena. Un’unica regola: la sfogliatella va gustata calda o bollente!
Questo “gioiello unico” è canonizzato, dall’ Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania, in due versioni, Assessorato che ne ufficializza anche la storia. Un primo tipo è la sfogliatella “Santa Rosa”, la frolla, solo successivamente la farcia viene “avvolta”, letteralmente, nella pasta sfoglia, diventando la “sfogliatella riccia”.
C’era una volta tanto tempo fa….
Alle soglie del 1600, in Costiera Amalfitana, vivevano all’interno del Convento di Santa Rosa da Lima, a Conca dei Marini (Sa) delle monache di clausura impegnate in tantissime attività che scandivano, puntualmente, le loro giornate. Un giorno la madre superiora, Suor Clotilde, nel suo giro di ispezione, nota in cucina, alcuni avanzi di semola bagnati dal latte, non vuole sprecarli, sperimenta un loro riutilizzo aggiungendo un po’ di zucchero, del limoncello, un pochino di frutta candita tritata, della cannella. Meglio creare, poi, un contenitore, pensa, per questa farcia, utilizzando farina, vino bianco e strutto creando, così, dei dischi da farcire, una specie di cappuccio monacale. Quindi mette tutto in forno, il risultato piace alle monache ed, in seguito, anche alla nobiltà e al popolo.
La sfogliatella nasce quindi in territorio salernitano. La marcia in più a questo dolce è data proprio dallo strutto. A Salerno, mi scuso con i napoletani, infatti, le sfogliatelle, sono molto più buone ed aromatizzate.
Attualmente il monastero di Santa Rosa non ospita più le monache benedettine, ma è stato trasformato in un albergo di altissimo livello.
Il dolce “Santa Rosa” impiega un po’ di tempo per arrivare a Napoli, scoperto, per caso, dall’oste Pasquale Pitauro. Il Pitauro, comprende subito che si tratta di un prodotto di sicuro successo, perciò trasforma la sua osteria di via Toledo, nel cuore dei quartieri spagnoli, in un laboratorio dolciario che diventa il vero “Regno delle sfogliatelle”. Pitauro stesso diventa un ottimo pasticciere apprezzato da tutti.
La sua innovazione è quella di rielaborare la ricetta originale, usando più strutto ed assottigliando, quanto più possibile, la sfoglia per “attorcigliare” la farcia. la sfoglia diventa croccante ed ecco perché prende il nome di “sfogliatella”.
Ancora oggi è possibile mangiare la sfogliatella napoletana, nella sua versione riccia e frolla, nella pasticceria “Pitauro” in via Toledo, che conserva ancora la storica insegna, pur con nuovi gestori.
Tanti i tipi innovativi di sfogliatella e del suo ripieno, importante è che deve essere croccante con un’anima soffice e dolce, ma non stucchevole. E tanti i bravissimi pasticcieri che le realizzano con vera maestria.
Questo dolce, insieme al “Babà” è diventato un simbolo di Napoli, disponibile in tutte le pasticcerie tradizionali o per turisti.
La ricetta? Complicata e poi…necessitano la farina e gli ingredienti giusti, tra cui lo strutto, ormai in disuso da tempo.
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