La Storia della cucina
Immagine di una porchetta allo spiedo. In effetti scoprendo il fuoco l’uomo primitivo scopre come cucinare la cacciagione, ma poi?
Maria Catalano Fiore
Come ha fatto l’Homo Sapiens a passare dall’istinto della caccia, alla scoperta del fuoco sino a diventare, ma ci sono voluti millenni, un esperto gourmet non è possibile definirlo, ma….
E’ certo che nella cucina primordiale “Cuoco” fa rima con “Fuoco” e che un Ominide circa ottocentomila anni fa cucinò il primo Barbecue dell’umanità. Pare strano, ma forse la cucina è uno dei percorsi che l’uomo primitivo compie verso la civiltà.
Cucina che diventa civiltà nel momento in cui l’uomo sapiens interpone quello che l’antropologo ed etnologo francese Claude Levi Strauss (1908-2009) chiama “oggetto culturale”: La PIGNATA mediatrice tra il fuoco e il cibo.
Carne, verdura o pesce che sia stato l'”abbrustolito” è il primo cibo cotto dall’uomo direttamente sul fuoco e in seguito su pietre roventi, braci, cenere sino ad arrivare allo spiedo ed alla graticola. Forse l’ordine non è questo, comunque mentre l’uomo si assume il ruolo di cacciatore e procuratore di cibo, e poi sperimentando la sua cottura sul fuoco, creare il brodo, la minestra e soprattutto inventare un qualcosa, un contenitore dove cove conservare l’acqua, ma non solo, ottenere il Brodo è sicuramente una donna.
L’invenzione del Brodo o Minestra e della Pignata sconfina quasi con la magia, il mito… Il brodo è estratto di succhi di carne, anche di avanzi poveri di ossa porose o midollo di molluschi, rettili, riconoscere e sperimentare le erbe commestibili una virtù da streghe! L’antropologo mette a confronto queste due tipi di cottura contrapponendo l’arrosto con il bollito.
L’arrosto è il risultato di una cucina immediata a diretto contatto con la fiamma, il bollito è quello che tra la carne o le verdure ed il fuoco mette la pentola e l’acqua. In queste due cotture l’antropologo legge un comportamento sociale contrapposto. Il bollito, preparato nel chiuso della pentola, è destinato al gruppo circoscritto della famiglia; il grande spiedo all’aria aperta richiama la condivisione, la generosità, l’amicizia, l’ospitalità. Nell’antichità accogliere un appartenente ad altra aggregazione o tribù era un atto sacro. Ancora oggi in determinati luoghi.
Lo raccomanda sia la Bibbia che i testi sacri di altre religioni. Lo raccontano persino in mitologia: quando, nell’Iliade, Ulisse rientra dopo vent’anni nella sua isola di Itaca, il porcaro Eumeo, pur non riconoscendo in quel fuggiasco affamato il suo re, non gli chiede chi è. Mette allo spiedo un porcello di cinque anni, del quale offre la parte migliore all’ospite.
Quindi etnologicamente viene riconosciuto che lo spiedo è maschio, la pentola, il bollito è donna poiché è la donna che partorisce la vera cucina. Aristotele considerava il bollito migliore dell’arrosto perché toglieva alla carne il sapore di “crudo” di selvatico e la rendeva più morbida.
Il Brodo infatti è da molti ritenuto quasi di origine magica, farmacologiche più che alimentari le sue origini. Inoltre spinge all’invenzione di nuovi contenitori, terracotta, ceramica, metallo. Senza le pentole la cucina è ben povera, anzi si può dire che non esiste perché “abbrustolire” non è cucinare.
Comunque, moltissimi cuochi di trattorie, non gli stellati e filosofi, ma i cuochi veri usano l’una e l’altra tecnica, non hanno mai appeso al chiodo le graticole e depennato la costata ai ferri, l’anguilla alla brace, la stigghiola siciliana, gli arrosticini abruzzesi, il baccalà ligure alla griglia, le verdure grigliate. Con tutto il rispetto i due modi di cottura possono convivere senza scontrarsi. Si deve anche pensare che il girarrosto è stato inventato da Leonardo da Vinci più di 500 anni fa che per la villa medicea di Artimino con un sistema di carrucole e eliche che giravano con il calore muovendo gli spiedi a seconda dell’intensità della fiamma.
Il fuoco, il camino, comunque mantiene sempre quel fascino primordiale all’interno del nostro DNA che conserva la magia delle fiamme attizzate e guizzanti da progenitori primitivi o da nomadi barbuti durante le loro transumanze.
Otzi, l’uomo vissuto 5300 anni fa e trovato mummificato sul ghiacciaio di Similaun aveva con se, nella sua bisaccia, selce pirite ed un fungo che gli serviva da esca per attizzare il fuoco e cuocere cervi e stambecchi, oltre che per riscaldarsi.
I poeti, più che altri, hanno sempre espresso l’amore per il fuoco del camino il focolare famigliare. La poetessa, del 900, Giannina Noseda scrive: “Io sono la fiamma, / che sprizza faville/ che aspira, s’innalza, / che schizza scintille / che scalda, che cuoce,/che splende, che fuma/ io sono la fiamma che tutto consuma”. O Giuseppe Ungaretti che non aveva voglia di tuffarsi a Natale nel dedalo di strade: “Sto /con le quattro/ capriole/di fumo del focolare”.
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