Le tavole di San Giuseppe
Ogni anno, da secoli, a Giurdignano si ripete il rito delle Tavole di San Giuseppe. Non si rinuncia anche rispettando le regole anti-covid.
Maria Catalano Fiore
A Giurdignano, un paese del Salento, vicino Otranto, si rispetta il rito delle “TAVOLE DI SAN GIUSEPPE”. Anche quest’anno sarà allestita, rispettando le norme Covid.
La grande tavolata nel Palazzo Baronale non avrà Santi in persona, ma “Simboli” di categorie che si sono distinte durante la pandemia (anziani, medici, infermieri, protezione civile, forze armate ecc…)
Qualcuno le ha definite una “religiosa Tradizione Culinaria Salentina”, ma il rito delle Tavole di San Giuseppe, sospeso tra sacro e profano, è molto di più Devozione, preghiere, profumi di cibo e fiori si mescolano dando vita ad una usanza antica che si perde nella notte dei tempi. Nessuno sa quando sia nata.
Secondo alcuni affonda le sue radici all’epoca dei monaci bizantini che offrivano pasti caldi ai poveri ed ai pellegrini da e per la Terra Santa.
Una missione portata avanti anche dalle “Confraternite” di San Giuseppe che, nel giorno dedicato al santo, imbandivano tavole per i bisognosi. Secondo altri è legata alla primavera e ai rituali necessari per affrontare il cambio di stagione.
Una cosa è certa: si tratta di tradizioni che più di altre, raccontano un territorio, la sua storia, il cuore della gente. Basta bussare alla porta di una famiglia che ha allestito la “TAULA”, per grazia ricevuta o per chiedere l’intercessione in una causa, per ricevere un invito a mangiare le pietanze preparate per l’occasione.
E’ Giurdignano, piccolo borgo alle porte di Otranto, a vantare le più antiche tavole di San Giuseppe. E sono tante le famiglie che ogni anno portano avanti questa consuetudine preparando “capolavori di devozione” per i Santi che possono variare da 3 – San Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino- sino a 13 – Santi Gioacchino ed Anna, Elisabetta ecc…. sempre in numero dispari, in ricordo dell’Ultima cena. A interpretarli, sono (o dovrebbero essere) i parenti più stretti scelti dalla padrona di casa. Si dice, infatti, che “San Giuseppe ole i soi soi” (San Giuseppe vuole solo i suoi parenti)
Le tavole possono essere crude o cotte e anche per l’allestimento si osservano delle regole ben precise. Le pietanze si consumano a mezzogiorno del 19 marzo e da secoli seguono dei riti specifici. Tra i piatti troviamo la massa coi ceci che ricordano il narciso, il fiore della primavera, i bucatini al miele con mollica di pane fritta, il pesce che simboleggia il Cristo, rape, cavolfiori, “Pampascioni”, alcune primizie che simboleggiano il passaggio dall’inverno alla primavera e poi del caratteristico pane a forma di ciambella, olio, vino, miele. Ogni piatto ha un significato simbolico ben preciso.
Le “Tavole” realizzate nei classici vicoli o nelle case a corte del paese dovrebbero essere aperte a tutti, ma non quest’anno a causa del Coronavirus. Per questo saranno in forma privata anche se il vero spirito della festa è la “condivisione”, l’ospitalità da garantire a chiunque voglia sedersi a tavola. Come non fu fatto, secondo il raccordo dei più anziani, a Giuseppe quando cercava un riparo con Maria in attesa di Gesù.
Questo giustifica la Tavola sistemata, quest’anno, a piano terra del Palazzo Baronale in piazza Municipio, la sera del 18 marzo, la “Grande Tavola” che però non avrà 13 Santi presenti, ma una rappresentanza di 13 categorie interessate direttamente dalla Pandemia compresi operatori dello spettacolo, ricercatori, artisti, sport ecc….. Sarà una tavola con scarso pubblico e della quale saranno scattate foto e riprese audiovisive.
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