Nuove scoperte archeologiche sul sito di Botromagno

L’antica città della Magna Grecia “Silbion”, attuale Gravina in Puglia, regala ancora emozioni archeologiche

Rocco Michele Renna

La Magna Grecia (in greco antico: Μεγάλη Ἑλλάς, Megálē Hellás; in latino: Magna Græcia) è l’area geografica della penisola italiana meridionale che fu anticamente colonizzata dai Greci a partire dall’VIII secolo a.C.

 La vicenda storica della Magna Grecia, sebbene strettamente legata a quella della Sicilia greca, va da questa tenuta distinta.

Un po’ di storia.
Dopo la colonizzazione del Mar Egeo, tra il X e l’VIII secolo a.C., genti di origine greca (mercanti, contadini, allevatori, artigiani) comparvero nella parte meridionale dell’Italia (le attuali Basilicata, Calabria, Campania e Puglia) nell’ambito di un flusso migratorio originato da singole città della Grecia antica, motivato sia dall’interesse per lo sviluppo delle attività commerciali, che da tensioni sociali nei luoghi d’origine dovute all’incremento della popolazione a cui la magra produzione agricola non riusciva a dare sostentamento.

Queste genti stabilirono la colonia di Pithecussai sull’attuale isola d’Ischia, poi giunte sulle coste italiche fondarono diverse città quali Kyme e Metapontion, poi Taras e Rhegion.

Per tradizione, la località dove stabilirsi era individuata seguendo l’indicazione che dava l’Oracolo del Santuario di Apollo a Delfi, che veniva interrogato dall’ecista, colui che era stato posto a capo degli aspiranti coloni.

Dunque verso il III secolo a.C., si cominciò a definire le colonie greche dell’Italia meridionale come facenti parte della Magna Grecia (Megàle Hellàs). Riferimento che si presume sia stato coniato nelle colonie stesse, per mostrare la loro grandezza in relazione alla vecchia Grecia. Il termine Magna Grecia si riferisce quindi alle popolazioni e civiltà, piuttosto che ad un’entità territoriale e politica.

Le differenti stirpi, le genti originarie della città di Calcide della grande isola Eubea, fondarono prima Pithecusa (Ischia), poi Kyme (Cuma) in Campania, quest’ultima insieme a coloni provenienti da Cuma eolica, e tra il 756 ed 743 a.C. le due città di Zancle (Messina) e Rhegion (Reggio Calabria), rispettivamente sulla sponda messinese e quella reggina dello Stretto che separa le due terre.

Negli anni successivi, Greci di stirpe achea diedero vita sul versante jonico prima a Sybaris (Sibari, 720 a.C.) e poi a Kroton (Crotone 710 a.C.), spinti anche loro dalla necessità di sfuggire carestie e sovrappopolazione. Sempre sullo Ionio, secondo fonti tramandate dallo storico Eusebio di Cesarea, alcuni coloni spartani fondarono la città di Taras (Taranto, 706 a.C.).

Fra il secolo VIII e VI sec. A.C. Coloni achei-rodiesi, nell’alto crotonese, fondarono o fortificarono le città di Krimisa (odierna Cirò Superiore), Petelia (odierna Strongoli), Makalla (zona Murge di Strongoli) e Chone (odierna Pallagorio).

Fra il 710 a.C. e il 690 a.C., un gruppo di locresi, condotti da Evante, provenienti dalle regioni della Grecia sul golfo di Crisa, fondarono Lokroi Epizephyroi (Locri Epizefiri), ultima città fondata in Calabria da gente proveniente direttamente dalla Grecia.

Nel tempo le nuove città, per ragioni politiche, di sovrappopolazione, commerciali e di controllo del territorio, ampliarono la loro presenza in Italia, espandendo di fatto la civiltà greca a tutto il territorio oggi chiamato Calabria, allora conosciuto come Enotria o Italia, e ad altre zone.

Continue furono le aggressioni dei tarantini condotte ai danni dei vicini Peucezi e Messapi, culminate nella definitiva sconfitta subita ad opera degli Iapigi nel 473 a.C., annoverata dallo storico greco Erodoto tra le più gravi inflitte a popolazioni di stirpe greca. Sarà l’arrivo delle legioni romane avvenuto tra il 290 ed il 280 a.C., a sancire il passaggio sotto la protezione ed il dominio di Roma di tutte le città greche della penisola italiana.

Silbion ex Sidinon o Sidion peuceta diventa Silvium. L’antica Silbion, attuale Gravina in Puglia, è una delle città più antiche al mondo ad essere abitata, con insediamenti risalente a più di 10.000 anni fa.

Nelle grotte dell’habitat rupestre e nella necropoli superiore sul costone del torrente Gravina, l’antico “caprio”, sono stati ritrovati oggetti che testimoniano la presenza di insediamento umano dal Paleolitico; nel Neolitico gli insediamenti diventarono più stabili, come testimoniano tracce evidenti di villaggi, alcuni villaggi sono giunti fino a noi, diventando i quartieri più antichi della città Piaggio e Fondovico.  Molte delle case sono state vissute senza interruzione dall’età del bronzo, fino allo sfollamento forzato a causa dell’emigrazione.

Tempo fa dall’amministrazione comunale passata è partita una lodevole iniziativa per la salvaguardia del parco archeologico sulla sommità del colle stesso, chiamata “SOS Botromagno”, considerando che il parco archeologico di Gravina in Puglia è fra i più grandi parchi archeologici d’Europa,

Purtroppo, quello che ho visto è stata una grandissima delusione, dato che -dopo la lodevole iniziativa con spese da parte del comune- tutto è tornato in abbandono…

Tante sono state le iniziative e i progetti di recupero, anche progetti miei personali andati smarriti, tutto è rimasto inascoltato dando la colpa ad una vicissitudine giudiziaria del passato, che avrebbe bloccato tutto nel parco archeologico più grande d’Europa.

Forse non tutto è perduto! I reduci della vecchia Cooperativa Petramagna, che nel passato si occupavano dello scavo e del recupero degli infiniti resti di ogni epoca sulla collina di Botromagno e nelle zone limitrofe, assieme agli archeologi della Soprintendenza ABAP Bari, hanno iniziato una nuova serie di scavi.

Lo scavo è stato diretto dall’ispettore archeologo Marisa Corrente  e  dagli archeologi Vincenza Distasi e Antonio Bruscella di Genzano di Lucania (PZ).
Hanno portato alla luce altri tesori sopravvissuti al sacco della collina da parte di tombaroli senza scrupoli negli scorsi anni. Si sono viste le tracce del loro passaggio, come una grande cicatrice di una ferita profonda e cancrenosa al corpo della collina e della sua storia che difficilmente potranno guarire.

Tombe e resti del V secolo A.C. danno lustro alla città di Gravina ed ai suoi sonnacchiosi e in parte accidiosi cittadini. Neanche il Covid-19 ha fermato l’entusiasmo di questi coraggiosi “Indiana Jones” che si emozionavano nello scoprire in mezzo alla terra piccoli frammenti di anfore o bronzi con i pochi mezzi a loro disposizione, facendo emozionare pure noi presenti.

Purtroppo, tutto è destinato ad essere di nuovo sepolto anche per conservarlo meglio, come spiegava Marisa Corrente, dato che fino ad ora l’amministrazione comunale passata non si è espressa per la salvaguardia dei nostri beni archeologici e tutto è avvolto nelle nebbie della politica.

Augurandoci che i nostri neo eletti amministratori comunali si interessino seriamente della nostra Gravina e quindi, si preoccupino di far arrivare fondi adeguati, in modo da non arrestare ciò che faticosamente si sta facendo, e dando la possibilità di sviluppo ai vari progetti di recupero del territorio archeologico, impiegando altra manodopera (Pompei docet). Insomma, Gravina non è solo la città del ponte di James Bond, luogo immortalato nell’ultima pellicola della serie girata quasi integralmente dalle parti nostre, è una meraviglia infinita in tutti i sensi.

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