Orechiette con ragù di pezzente
Vi volete “scialare” con un ottimo ragù dal sapore ed aroma inconfondibili e decisi? Provate utilizzando il “Pezzente” lucano.
Nonna Camilla
Di domenica come da tradizione si prepara un buon ragù, ma quale? I metodi, le tradizioni, le convenzioni ci offrono mille modi per preparare un buon ragù. Oggi ho deciso di “scialarmi” tuffandomi nella mia Lucania, ma usando orecchiette pugliesi di grano arso, belle, rugose e adatte a trattenere quell’ottimo ragù di “Pezzente”.
Viene definito come “Pezzente” un prodotto lucano di nicchia, dalle origini antiche, citato già nel 1931, nella “Guida del Touring Club Italia”, sua prima edizione, che invitava all’assaggio i fortunati viaggiatori che attraversavano le zone lucane. Oggi ha l’etichetta DOP.
Il pezzente è un tipo di salame di carne suina prodotto esclusivamente nelle zone storiche della Lucania. Ha, infatti, una vera peculiarità gastronomica tradizionale. Tipico di questa area è anche il “Suino nero di Lucania”, un tipo di maiale semi selvatico che si ciba di alimenti poveri e naturali come: radici, ghiande, cardi, carrube, erba medica, funghi, in genere prodotti del sottobosco e tuberi che crescono spontaneamente, ancora oggi, nei rigogliosi boschi presenti. Il suino lucano è una razza rustica, adatta all’allevamento brado, con una forte resistenza anche a malattie ed a infezioni. Particolarmente adatto all’allevamento ad uso famigliare.
Il termine “Pezzente” rievoca le origini povere di quelle zone rurali, in cui l’approvvigionamento delle carni era fornito esclusivamente dall’allevamento in proprio, pertanto, nulla poteva andare sprecato, nemmeno i tagli meno nobili che sapientemente utilizzati generavano un ottimo sostituto della carne per il sugo o ragù.
Citato nelle opere di Cicerone (106 a.C.-43 a.C.) e Marco Terenzio Varrone (116 a.C.-27 a.C.) che annoverano tre particolari tipi di “Luganega”. Marco Gavio Auspicio (vissuto tra il 25 a.C. ed il 37 d.C.), lo cita e ne spiega dettagliatamente la preparazione nel “De re coquinaria” (ndr. ciò che concerne la cucina, arte culinaria)
Per preparare il Pezzente si utilizzano, del maiale, parti della gola, i nervetti, i muscoli più fibrosi, lo stomaco, il grasso residuato dalle lavorazioni precedenti. A volte vengono aggiunti anche pezzetti di cotenna macinata, preventivamente depilata e scottata in acqua bollente.
Una volta triturati i vari tipi di carne e grassi, vengono aggiunti: peperone dolce macinato (peperone di Senise IGP), semi di finocchio selvatico, aglio fresco e sale marino. Segue la fase denominata di “arricciatura”, quella cioè in cui si procede all’amalgama di tutti gli ingredienti che compongono l’impasto, apparentemente facile, ma che in realtà richiede buona maestria, affinché tutti gli ingredienti diventino omogenei.
L’impasto va anche assaggiato, soffriggendolo un attimo in padella, verificando la giusta sapidità ed eventuale leggera piccantezza, magari si condisce, con questo “Sfrisciudd’“, come da tradizione, un piatto di cavatelli per tutti i collaboratori casalinghi, prima dell’insaccatura. L’insaccatura viene effettuata da mani esperte, con l’aiuto di un imbuto, direttamente nel budello (ovviamente lavato, rivoltato, salato e sbiancato, procedimento fatto già in precedenza).
Dopo l’insaccatura viene lasciato asciugare per 3/4 giorni, mentre la stagionatura si aggira a minimo 30 giorni e più.
La macellazione dei maiali e la preparazione dei prodotti derivati dalla loro carne comincia con i primi freddi invernali di fine novembre e va avanti sino a marzo.
Dopo la prima stagionatura definita “curatura”, può essere consumato, dopo qualche giorno, fresco oppure conservato nello strutto fresco di maiale, la “sugna” o in olio d’oliva, da un po’ anche sottovuoto.
Questo Pezzente viene consumato prevalentemente cotto, in passato, poiché preparato con carni meno nobili e grasso, era destinato ad un consumo più immediato, non era adatto alla curatura. Le massaie del tempo quindi lo utilizzavano per condire sughi, minestre, zuppe di legumi o verdure, il suo compito, ben avvolto nella sugna era quello di sostituire qualsiasi condimento o insaporitore. In cottura, tolto il budello, i suoi grassi si sciolgono, i suoi aromi si spandono catturando tutti i tipi di gusto.
Ovviamente se siete, gastronomicamente parlando, dei lussuriosi, preparate o fatevi preparare un “Ragù lucano di Pezzente” definito anche “Ndrupp’c” (ndr. inciampo). Io quando riesco a procurarmi del buon pezzente artigianale, ne sono veramente ghiotta.
La ricetta è semplicissima, fa tutto il pezzente, in cottura lenta di almeno un paio d’ore per rilasciare gradualmente grasso e aromi.
Ingredienti per 4 persone: 350 g. di cavatelli o altra pasta casereccia, 250 g. di passata di pomodoro, 250 g. di pezzente, 2 foglie di alloro, mezza cipolla bianca o uno scalogno, olio di oliva e sale q.b. (se è sotto sugna non necessita altro condimento), pecorino grattugiato.
Preparazione: liberate il pezzente dal budello (asportate la punta e poi praticate un leggero taglio longitudinale, poi sarà facile asportarlo) prendete un bel tegame di coccio, mettete un filo di olio, o meglio di sugna, mettete a soffriggere la cipolla tritata con il pezzente e un paio di foglie d’alloro. Dopo 5/10 minuti aggiungete la passata di pomodoro e fate andare il tutto a fuoco lento. Se necessita aggiungete poca acqua e regolate la sapidità con attenzione, il pezzente è già condito.
Nell’acqua leggermente salata portate a bollore la pasta prescelta, scolatela molto al dente e passatela nel sugo per completare la cottura. Servite in una coppa o impiattate insieme ai pezzetti di pezzente.
Aggiungete abbondante pecorino grattugiato e portate subito in tavola. L’aroma che si sprigiona è realmente unico.
Gli abbinamenti di questo ragù con la pasta sono tanti: dagli strascinati corti o lunghi, alla pasta con il ferretto, ai cavatelli o orecchiette o quello che preferite. Non mi resta che augurarvi una buona degustazione di pasta, pezzente e…con scarpetta obbligatoria!
C’è da precisare che tutti i tipi di salami lucani sono stati insigniti di DOC ed entrati a far parte dei presidi “Slow Food”.
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