“Pecora alla callara”

Un piatto della transumanza

Rocco Michele Renna

La pecora alla callara (nel teramano) o pecora alla cottora o cutturo (nell’aquilano) o pecora al cotturo (nella Marsica) è un’antica ricetta tipica della tradizione abruzzese, diffusa soprattutto nella fascia montana, in particolare nell’area marsicana, nella conca aquilana e nella zona dei Monti della Laga.

Il piatto risalirebbe ai tempi della transumanza quando, lungo il cammino dagli Abruzzi al Tavoliere delle Puglie, i pastori mangiavano le pecore morte di fatica oppure quelle azzoppate o ferite, cuocendole in appositi paioli di rame o di alluminio, detti appunto cottora, cotturo o callara, sorretti da un treppiede e un gancio sopra il fuoco vivo di legna.

Una seconda teoria fa risalire la tradizione della callara all’atto di gratitudine che veniva fatto dai proprietari delle pecore ai pastori di ritorno dalla Puglia con le greggi, si trattava, comunque, di pecore azzoppate o moribonde.

La preparazione della pietanza ha subito numerose modifiche nel corso del tempo anche per via della vastità delle zone in cui essa è un piatto tipico, pertanto diverse sono anche le varianti e le denominazioni della ricetta nei diversi paesi in cui è preparata.

Le versioni principali della ricetta sono genericamente due, distinte principalmente dalla presenza o dall’assenza di sugo al pomodoro nel preparato.

Essendo un piatto povero e tipico della montagna e dei luoghi aperti, durante la cottura sono inserite diverse tra le erbe aromatiche e gli odori che i pastori avevano a disposizione

In entrambi i casi la preparazione dura dalle quattro alle sei ore circa, poiché una lunga cottura consente di fare in modo che la carne della pecora, che è abbastanza dura, si ammorbidisca arrivando fin quasi a “sciogliersi”.

Ingredienti: Carne di pecora.

Aromi: timo, alloro, rosmarino, cipolla, aglio, carota, sedano, bacche di ginepro, pepe e peperoncino, vino bianco, pomodori

Nella versione che prevede l’utilizzo di sugo al pomodoro esso dovrà essere leggermente allungato con acqua e si addenserà intorno alla carne e alle erbe durante la cottura. Nel caso in cui esso non sia utilizzato invece si formerà una sorta di brodo.

Tagliare a pezzetti la carne di pecora e togliere accuratamente il grasso. Mettere quindi la carne in un grande recipiente, meglio se in una caldaia di rame di media grandezza, e ricoprirla di acqua fredda e vino bianco.

Schiumare ai primi bollori, continuando fin quando è necessario. Aggiungere dopo un’ora di cottura gli altri ingredienti e cuocere per 3 ore circa a fuoco basso. Il tempo di cottura dipende dalla tenerezza della carne. Servire calda.

La ricetta prevede che la carne venga tagliata a spezzatino, posta nella callara (o in una pentola stagnata alta e capiente) ed immersa nell’acqua fredda con l’eventuale aggiunta di vino bianco.

Durante la cottura sarà necessario eliminare costantemente la schiuma che verrà a formarsi poiché il grasso della pecora tenderà a sciogliersi e a formare dei grumi. Il preparato verrà portato ad ebollizione e lasciato cuocere a fuoco medio e costante per circa un’ora, dopodiché verrà scolato e si aggiungerà nuova acqua, facendo cuocere nuovamente per un tempo variabile (solitamente due o tre ore) finché non si otterrà la morbidezza della carne desiderata.

Terminata tale operazione si aggiungerà l’acqua di cottura finale insieme agli odori (precedentemente tritati e soffritti a parte), agli eventuali pomodori maturi a pezzetti (per il sugo) ed al sale, cuocendo a fuoco lento per un’ulteriore ora e mezza circa. Il piatto andrà servito caldo.

Tradizione vuole che il piatto venga consumato con i commensali riuniti intorno al fuoco, bagnando il pane (meglio se del giorno prima).

Noi della redazione possiamo solo augurarvi buon appetito, se vorrete invitarci, non ci tireremo indietro, la tavola è un’occasione straordinaria per recuperare l’eventuale dialogo perduto e una buona occasione per stare insieme.

“L’appetito vien mangiando”, dice il motto, ed è vero in più sensi: alimentare, sociale e finanche spirituale. 

Lo sapeva bene anche Gesù. Quante volte i Vangeli testimoniano la sua l’attenzione per il momento conviviale? Dalla premura con cui griglia il pesce per i suoi discepoli in riva al lago di Tiberiade, allo spezzare il pane dell’ultima Cena, fino al suo interesse per non far mancare il vino al banchetto di nozze di Cana… Sicuramente il nostro Signore non si sarebbe tirato indietro nemmeno a cospetto di una buona pecora alla callara.

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