Ragù pasquale
Una tavolata alla corte degli Estensi, una tavolata che ritrae una potente famiglia a tavola, il preludio per un buon pasto…….
Nonna Camilla.
La tavola di Pasqua. Non vi è dubbio che re incontrastato è il ragù di agnello o misto, nella tradizione rurale lucana gli agnellini non si sacrificavano, troppo lusso, si poteva optare tranquillamente per una pecora (una parte, serviva anche per la pasquetta), la pasta da condire una libera scelta tra tanti tipi di pasta fatta in casa dalle orecchiette, alle tagliatelle, a strascinati sia corti che lunghi, sino ai ravioli ripieni di ricotta ed erbette.
Ma prima ancora del ragù l’antipasto ha una funzione fondamentale: salumi tradizionali a partire dalla soppressata, prosciutto ecc…. alle uova sode. L’uovo non deve mai mancare. Questo abbinamento in molte zone italiane è chiamato “Benedetto” o ” U’ biniditt”.
Ma pensiamo al ragù che deve andare a fiamma bassa già dalla sera prima. Il ragù pasquale deve essere speciale. La tradizione va rispettata! ed ecco che le brave massaie tirano fuori il jolly della situazione: il favoloso pezzente conservato sotto sugna.
Sino agli anni 70/80 circa era usuale trovare nelle cucine lucane, ed in altre zone dove si allevavano maiali la “Sugna”, praticamente il lardo del maiale, nelle zone dove era più grasso e non si poteva farne pancetta, veniva o salato e condito per farne del “Lardo” buono sia da mangiare, da usare per condimento oppure da sciogliere per conservare meglio i salami essiccati, e anche chiarificato per cucinare. Era il condimento più diffuso in una terra argillosa povera di olivi.
Poi le nuove mode lo hanno definito troppo grasso e si è passati all’olio. Anche se il rapporto calorico della sugna è basso.
Quindi all’opera, ci serve assolutamente una bella pentola di coccio, o una “caldarella” di metallo. Per un buon ragù misto cominciamo quindi con qualche cucchiaio di sugna, un trito di prezzemolo, sedano, erbe aromatiche una cipolla bionda e due spicchi di aglio che vanno tutti tagliati molto finemente, un vero battuto , per il nostro soffritto di base. Un pezzo di pezzente tagliato a dadini, carne di pecora a pezzetti, qualche tocchetto di carne di maiale e se le gradiamo o “brasciolette” di carne o di cotenna. Per la passata di pomodoro, dipende dal numero dei commensali, comunque deve coprire la carne (tanto se avanza va benissimo per altri giorni).
Nella nostra pentola mettiamo un paio di cucchiai colmi di sugna (se non ne abbiamo un dito di olio extravergine d’oliva) poi il nostro tritato ad imbiondire, aggiungiamo un mezzo bicchiere d’acqua per far stufare e quasi sciogliere il soffritto, cominciamo ad aggiungere mano mano dalla carne più dura, sino a quella più tenera, poi la nostra passata di pomodoro, regoliamo di sale e dopo un bel po’ aggiungiamo il “pezzente” a tocchetti. Ora lasciamo andare il nostro ragù molto lentamente, sino a quando, come dicono a Napoli “deve pippiare” (sobbollire), rigiriamolo con garbo e spesso sino ad ottenere la nostra opera d’arte culinaria.
Ora mettiamo da parte il nostro ragù, che un’oretta prima di servire rimetteremo sul fuoco per un’ultima cottura e sobollitura, e pensiamo alla pasta da cuocere e condire….. il quesito si pone: siete pugliesi, meglio ancora baresi? Non c’è dubbio, orecchiette!
Orecchiette decisamente artigianali, potete scegliere le dimensioni e il tipo di farina, da quelle delicatissime e piccole che stanno su di un mignolo, a quelle più grandi e spesse chiamate “orecchie di prete”. A voi la scelta, a Bari, nella città vecchia, in ogni stradina troverete donne che producono orecchiette, e vi consiglio di ordinarle, la richiesta è notevole, soprattutto dalla Signora Nunzia, selezionata per andare a fare le orecchiette fresche dal Presidente Trump, alla casa Bianca. Son cose serie!
Orecchiette con una spolverata di ricotta dura, che bontà!
Non sono da meno i ravioli lucani, però, soprattutto quelli fatti in casa con un ripieno di ricotta, uova, prezzemolo ed erbette tritate in modo finissimo, un pizzico si sale, se occorre e vai! L’impasto che preferisco, i ravioli sono sempre buoni, ma questi hanno tutto il sapore e odore della terra, della pecora, della Pasqua vera con una bella tavola imbandita e tanti famigliari che non sono più tra noi.
Comunque i nostri ravioli o “cauzingidd” lucani sono unici, non me ne vogliano gli amici di altre regioni, che mi hanno anche inviato delle ottime ricette, di ravioli e di cappellacci; Il tutto contornato con il pane pasquale “La Majis” e poi quella carne va servita anche come secondo. Spesso il resto della Pecora viene utilizzato per “U’ Cutturidd” del Lunedì di Pasquetta.
Come dolce la nostra pizza di ricotta dolce e immancabili i taralli glassati, un buon vinello per completare. Un digestivo alle erbe per “sgrassare”.
Poi ve ne parlerò qualcosa di semplice da realizzare direttamente in campagna e soprattutto il compagnia, ballando, mangiando e ridendo, spronati da qualche vinello che scorre a fiumi.
Per ora vi auguro una Buona e serena Pasqua, con tanta pazienza per le restrizioni e tanta nostalgia per quell’atmosfera di festa che stiamo perdendo un poco al giorno. Nonna Camilla
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