Un paese lucano, come un presepe
Un paese si può descrivere con foto, con sentimenti, impressioni; a volte con nostalgia, a volte con odio ed amarezza, quasi fosse stato lui a cacciarti via… Una bella pagina di storia di un paese del meridione.
Maria Catalano Fiore
Foto di Michele Luongo, Faustino Tarillo, Michele Lotito
Un paese lucano: Vaglio Basilicata. Ci sono vari modi di descrivere un paese, lì dove non sei nata, per puro caso, ma dove sono le tue radici e riposano i tuoi morti. Un paese che di sera si accende come un presepe.
Descriverlo tutto e bene, è una lunga impresa da quelle sue prime radici su “Serra di Vaglio”, risalenti all’VIII sec. A.c, (quando Roma non era neppure un’idea), alle genti che lo hanno popolato, al suo agglomerato urbano di spiccata impronta altomedioevale, alle progressive stratificazioni, agli abbandoni, a nuovi quartieri e case.
Ma non solo storia, già scritta da molti. Un paese non è fatto solo di case, ma anche di persone che lo abitano, che restano, che lo tengono in vita; ma anche da chi è stato costretto ad andar via. Tante storie di vita che si accumulano e sovrappongono. Storia come quella della “Principessa di Vaglio”, la giovane donna, dell’VIII secolo a.C. sepolta con tutto il suo ricco corredo, ritrovata, molto tempo fa, durante gli scavi archeologici di Serra, che ha girato il mondo come emblema di una delle civiltà italiane più antiche e progredite.
Un retaggio pressante, ma il tempo scorre comunque, rallentato, ma scorre. Sotto gli occhi di tutti le case vuote, in progressivo degrado, ma si può fare poco, i proprietari, o i loro eredi, esistono, in qualche parte del mondo. Molti nelle Americhe: “Merica ricca” (America del nord, ricca), “Merica pouridd, tendamì” (America del sud, povera con scarse probabilità di rientrare). Emigrati, convogliati, in scelte impossibili, ma obbligate.
Un paese dove il tempo scorre lento, concentrato su una piazza, il suo salotto buono, dove gli uomini sembrano aspettare immobili qualcuno o qualcosa. I frastir (forestieri) non sono molti. Nei tempi andati la provinciale che lo attraversa, e che conduce a Potenza, era più frequentata, oggi ci sono altre scorciatoie.
Tu che sei nu’ paisan ca torn (un paesano in visita) vieni salutato con un cenno, poi qualcuno ti formula le domande di rito: “Com’staj, quann si minur? quann tj ni vai? tja stà assaj? ” (Come stai, quando sei arrivato? quando te ne vai? ti trattieni molto?) e la tipica risposta è “Com’è stacc’ psant? m’ tin azzudd?” (Perché non sono gradita? gravo sul tuo bilancio?), sono solo domande di rito, poi un abbraccio sancisce che comunque chi torna, anche solo per poco tempo, è sempre gradito. Almeno per avere un nuovo argomento di conversazione.
La piazza U’ Cumment’ (ex piazza Convento) per il maestoso, 600esco, Convento, e relativa Chiesa Barocca, di Sant’Antonio, che vi si affacciano, sono sempre li. Convento e Palazzo Baronale come abbracciati, potere laico e religioso spesso indissolubili.
Resti di tanti palazzi antichi, portali e torri inglobate, ora passati di mano in mano, dove soggiornavano, nella stagione estiva, le famiglie dei grandi latifondisti di Roma o di Napoli: gli Spinelli, i Salazar conti di Vaglio, i Massa di Ventimiglia, i Quarto di Laurenzana, i Vergara (Cesare Antonio Vergara n. Vaglio Basilicata 1673-m. Napoli 1716, è stato uno dei più grandi numismatici italiani, che ha catalogato tutte le monete da Ruggiero I il Normanno ai Borboni), i Segni di Siena, ecc…
Latifondisti che perdurarono sino allo smantellamento del feudalesimo ad opera di Giuseppe Bonaparte nel 1806.
Vi è anche una “piazzetta” (più piccola), cuore per i piccoli commerci quotidiani. Artigiani superstiti, botteghe ormai sempre più spesso chiuse…
Le sue vie principali appaiono disposte a spina di pesce: una via centrale che conduce dalla piazza alla chiesa attraversando una delle antiche porte (U’ Spurt) e, costeggiando la sacrestia, finendo sulla porta opposta (La porta vecchia). Le altre due porte, quattro erano le antiche porte rivolte verso i punti cardinali, appaiono inglobate nelle costruzioni.
Due sono le altre strade mediane, e poi un efficiente, a tutt’oggi, sistema di drenaggio, dato dalle “cantagnul” e collegato dai raccordi delle “Cuntane”, una vera istituzione… per descriverle… bisognerebbe considerarle una per una, con le case che vi si affacciano, i ballatoi e la loro autentica funzione logistica ed urbanistica.
Cuspide di questo impianto urbanistico e punto di riferimento per tutta la comunità e la vallata, la sua imponente chiesa sulla cima del monte. Una Chiesa, dedicata all’apostolo Pietro (come tutte le prime chiese cristiane) dalla lunga storia e stratificazioni, realizzata con importante materiale di riutilizzo, pietre scolpite, con impronte di templari e con un’abside, molto particolare, ricavata da una ottagonale torre normanna di avvistamento.
Ma le case spesso sono vuote, i tempo e le incurie le segnano…
I vecchi, ed i pochi giovani rimasti, progressivamente invecchiano…
A volte non è un male. E’ un paese dove si può ancora, liberamente, giocare per strada, dove il tempo si è fermato.
A Vaglio Basilicata si può ancora giocare a nascondino. La “fontana grande” è sempre li, sorveglia silente.
Si può giocare, si può andare in bicicletta, in piazza ed attraversando le antiche porte…
Una delle grandi porte cittadine, “U’ Spurt”, una porta, un camminamento difensivo, che pare attraversare le case, o meglio, le case l’hanno fagocitata, inglobata.
Dalla parte opposta, si apre sulla vallata la “Porta Vecchia”.
Qualche uomo aspetta…
Qualche donna è affaccendata. Qualcun’altra è sola, esce sulla soglia di casa, si gode l’aria, il calore del sole, scambia due chiacchiere con una passante che le si siede accanto in un bel momento conviviale tra donne.
Tutti sembrano fermi come questa scultura, autore, committente, ignoti.
Le la vita scorre lenta tra piazza, piazzetta, passa da “sott u’ spurt”, va in chiesa come l’anziana N’tunetta (Antonietta) la portalettere e N’tiniucc (Antonio) u’ sacrstan che hanno ormai una età indefinibile. La “portalettere storica” la conoscono tutti e si sa, ma…non si dice. E’ la portalettere, e lo sarà sempre, anche se in pensione da tempo, ma un punto di riferimento per i nuovi che non riescono ad orientarsi tra nomi e soprannomi in quel groviglio di “Cuntane”.
La portalettere, all’anagrafe Antonietta Avigliano, figlia di portalettere e portalettere di soprannome, ha macinato chilometri a piedi e con qualsiasi tempo, girando per il paese e non solo. Una istituzione, suo compito consegnare lettere di emigranti, talvolta leggerle ad anziani genitori, e rispondere. Aiutare, sempre. In una comunità si fa anche questo, senza orari di lavoro e senza tempo, la posta del giorno, consegnata dal pulman di linea, “il postale” va consegnata, poi unico momento rilassante, cantare in chiesa, al vespro, la sera. Una bella voce da mezzo soprano, niente male, una Scuola Cantorum. Un gruppo eterogeneo, ma affidabile.
Un sacrestano…. un aiuto Arciprete factotum.
Un arciprete, Don Teodosio Avigliano, preparato e volenteroso che, poverino, arrivato in quel paese da giovane progressivamente invecchia con i suoi parrocchiani. E lui vorrebbe, aspira a celebrare più matrimoni e battesimi, prime comunioni ecc…non celebrare, uno alla volta, come grani di un rosario, i funerali di tanti anziani, troppi in questi ultimi tempi.
Ma neanche il Covid-19 ha intaccato i ritmi di questo paese. Si qualche caso… importato. Qualcuno più o meno grave, ma senza l’angoscia delle grandi città, degli arresti domiciliari non dichiarati, delle scuse per uscire pochi minuti. Un incubo per tanti.
Tutto scorre, tutto si trasforma, ma tutto è stabile e, a fine giornata, cala un ulteriore silenzio, cala la notte, anche in piazza, dove restano uniti solo quei cinque cani randagi, cani della comunità.
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