Falcone: “Cosa nostra non sbaglia mai un omicidio”

Esclusiva askanews: audio inedito del magistrato ucciso 30 anni fa. In copertina la sorella Maria in primo piano

Gianvito Pugliese

L’audio inedito, pubblicato ieri da Askanews, la mia agenzia di stampa italiana preferita, in pochi minuti riassume una montagna di informazioni di prima mano che Giovanni Falcone ci offre, smentendo, peraltro, numerosi si dice sulla mafia assunti a verità accettate. Falcone descrive “la rete tentacolare della mafia, il cui epicentro è e resta Palermo. I legami tra gli uomini d’onore e i voti elettorali, le nuove sfide che si aprono con la riforma del Codice di procedura penale, l’organizzazione “unica ed unitaria” di Cosa nostra”.

Ma non basta si addentra nel ruolo del ‘corto’ Totò Riina, e di Pippo Calò. Poi gli interrogatori estenuanti col pentito Tommaso Buscetta, che apre a Giovanni Falcone squarci illuminanti sull’organizzazione, senza dei quali le indagini che portarono al Maxiprocesso forse avrebbero avuto ben altro spessore. Giovanni Falcone parla a ruota libera. Askanews ha diffuso ieri l’audio in esclusiva (ma anche un podcast dal titolo “Falcone: le parole inascoltate”.


In quell’incontro del marzo 1989 con investigatori della polizia il magistrato disegna i connotati di Cosa nostra come “una organizzazione a raggiera che produce certi risultati”.

Un documento eccezionale ed esclusivo che nel trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio diventa patrimonio di tutti. Un prezioso messaggio, dal sapore profetico: “Non c’è un omicidio sbagliato, finora, in seno a Cosa nostra. Quando si uccise Dalla Chiesa tutti dissero ‘è stato commesso un errore storico’. Poi hanno ucciso Chinnici, anche questo ‘errore storico’, poi hanno ucciso Cassarà e hanno detto, ‘altro errore storico’. E continuiamo a fare errori storici. Non hanno sbagliato. Hanno sempre indovinato: momento opportuno, momento giusto, hanno colpito al momento giusto, il che dimostra, a parte la ferocia e la determinazione, una assoluta conoscenza di notizie di prima mano”.

Erano i giorni quelli in cui si apriva il secondo grado del Maxiprocesso che due anni prima aveva portato alle pesantissime condanne in primo grado del gotha mafioso e Falcone è categorico: “l’epicentro della mafia è Palermo”. “Su spostamenti di consigli di amministrazione della mafia dalla Sicilia altrove, togliamocelo dalla testa. Epicentro della mafia è sempre la Sicilia e Palermo. Non si può far parte e gestire Cosa nostra se non hai controllo del territorio nei punti cardine altrimenti duri lo spazio di un mattino. Piaccia o non piaccia vi è una organizzazione unica ed unitaria che è Cosa nostra. E quella è l’associazione mafiosa. L’organizzazione di Cosa nostra è un qualcosa che investe tanto a reticolo tutto il territorio che basta che solo alcuni diano gli ordini, tutto il resto diventa un fatto automatico”.
Falcone disegna i rapporti tra clan, uomini d’onore e organizzazioni mafiose tra Sicilia e Stati Uniti ed attribuisce il ruolo di capo assoluto al “corto” Totò Riina: “Giuseppe Gambino, parlando del corto cioè di Totò Riina, dice che non si muova foglia senza che il corto non dia il suo benestare”.
Parla del ruolo di “cerniera” rappresentato dal boss Pippo Calò tra Cosa nostra e criminalità organizzata romana: “Pippo Calò era importante a Roma per se stesso, per i suoi importantissimi contatti con la delinquenza locale, la banda della Magliana in particolare. Non era cassiere della mafia, ma era cassiere di se stesso”.
Quindi Giovanni Falcone parla di Tommaso Buscetta, il “boss dei due mondi”, che in centinaia di pagine di verbali gli raccontò per primo la logica e l’organigramma di Cosa nostra: “Quando sono andato a interrogare Buscetta dopo la sua deposizione al processo della Pizza Connection era in particolare stato di prostrazione psichica. Ma cosa è successo? Sono stato addestrato per il processo. Che dall’oggi al domani le persone che qualche mese prima del suo esame le persone che gli stavano accanto, i funzionari addetti alla sua protezione, che prima erano in rapporti estremamente cordiali con lui non gli rivolsero più la parola”.

E conclude: “Ho avuto una lunga discussione, quasi uno scontro con i colleghi di Milano che si lamentavano perché a Palermo non si potevano fare pedinamenti, non si potevano scoprire cose. E dicevo: c’è una piccolissima differenza. A Milano voi fate i pedinamenti, qui si muore per queste cose”. “Vero è che questo impianto del nuovo codice impedisce, impedirà la celebrazione dei maxiprocessi ma questo non significa affatto impedire le maxi inchieste, anzi. Perché finora molto spesso la criminalità è organizzata, mentre la repressione è disorganizzata. Penso al dramma per molti miei colleghi che dovranno scendere dallo scranno del pubblico ministero seduto accanto alla corte e sedersi sui tavoli della difesa accanto ai difensori. Perché saranno parti, così come sarà parte la difesa privata”.

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