Nuova archiviazione per Carola Rackete
Le accuse: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra. Il Gip “salvare i migranti in mare è un dovere”
La redazione
Ennesima archiviazione è arrivata per le accuse a carico di Carola Rackete, la capitana della nave Sea Watch, per l’episodio che coinvolse la sua imbarcazione.
Micaela Raimondo, gip del tribunale di Agrigento, non nutre dubbi: Rackete non ha commesso alcun reato entrando in porto a Lampedusa con i naufraghi soccorsi in mare da Sea-Watch: “Carola Rackete ha agito nell’adempimento del dovere di salvataggio previsto dal diritto nazionale e internazionale del mare”. E’ quanto scrive nel provvedimento di archiviazione.
Qualcuno era riuscito, scorporando le accuse e dividendole in due processi diversi, nonostante l’accusa fosse rivolta a Rackete per episodi strettamente connessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Perché inventarsi, due processi allora, se non per far vivere alla Rackete un’autentica odissea. La comandante Carola era già stata definitivamente prosciolta dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra che scaturiva dal presunto speronamento della motovedetta della Guardia di finanza il 29 giugno del 2019.
Questo secondo procedimento era relativo alla decisione di Rackete di entrare in acque territoriali, nonostante il divieto di ingresso costituito dal Decreto sicurezza firmato dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Quindi, all’accusa di rifiuto di obbedienza a nave da guerra, ora archiviato, si era aggiunta quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per avere fatto entrare sul territorio italiano i naufraghi a bordo, oltre 50, tra cui donne in stato di gravidanza e neonati, già archiviato.
Il provvedimento della gip: “All’esito delle indagini non sono emersi elementi suscettibili di sorreggere l’ipotesi accusatoria nei confronti di Carola Rackete“. La gip ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura, a firma del Procuratore aggiunto Salvatore Vella e della pm Cecilia Baravelli.
E prosegue: “Non potendosi considerare ‘place of safety’ il porto di Tripoli come anche sottolineato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati che ha di recente evidenziato, in un rapporto, come alcune migliaia di richiedenti asilo, rifugiati, migranti presenti in Libia versino in condizione di detenzione arbitraria e sono sottoposti a torture e a trattamenti disumani e degradanti in violazione dei diritti umani”.
Dunque, la nave Sea Watch, nel giugno del 2019, “non poteva essere considerato temporaneamente un luogo sicuro, c‘erano persone particolarmente vulnerabili, tra cui donne in stato di gravidanza, sei minori di cui due neonati, migranti con ustioni da carburante e soggetti con sospetta tubercolosi“. scrive la gip di Agrigento, che aggiunge che il porto di Tripoli, in Libia, “non si può considerate un pos” cioè un porto sicuro.
Ma la Gip approfondisce, ulteriormente e si sofferma anche sull’applicazione del Decreto Sicurezza Bis, sottoscritto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, “che presupponeva la violazione, da parte dell’ex comandante di Sea-Watch 3, delle norme nazionali e internazionali”. Ebbene lo sbarco degli oltre 50 naufraghi a bordo della nave Sea watch, nel giugno del 2019, a Lampedusa “non era pericoloso”. “Rilevato che il provvedimento interministeriale adottato il 15 giugno 2019“, cioè il decreto di sicurezza a firma di Matteo Salvini, “nel vietare l’ingresso, il transito o la sosta dell’imbarcazione nel mare territoriale italiano non faceva riferimento a specifiche situazioni di ordine e sicurezza pubblica che avrebbero potuto fare ritenere pericoloso lo sbarco in Italia dei naufraghi”, Dunque “non sussistono elementi sufficienti per ritenere che il passaggio della imbarcazione possa definirsi ‘non inoffensivo'”.
“Quest’ennesima archiviazione abbatte il pretestuoso muro legislativo eretto da Salvini e, nelle sue motivazioni, conferma quanto già stabilito dalla Corte di Cassazione: soccorrere chi si trova in pericolo in mare e condurlo in un luogo sicuro è un dovere sancito dal diritto internazionale” il commento laconico di Sea Watch.
OPEN ARMS – “Da quello che leggiamo, nella sentenza viene ribadito come una nave non possa essere considerata un luogo sicuro per persone soccorse da un possibile naufragio e, dunque, in condizioni di fragilità. Questo mi pare un punto fondamentale anche per la vicenda che vede l’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona” lo dive Veronica Alfonsi, portavoce di Open Arms Italia. “Durante l’ultima udienza – del processo a carico di Salvini sul caso Open Arms – l’avvocata Bongiorno ha molto insistito su questo punto tentando di far passare l’idea che il fatto di essere in acque territoriali al riparo vicino Lampedusa significasse che i naufraghi a bordo erano al sicuro – aggiunge Alfonsi -. Un porto sicuro invece, e la legge lo conferma, è un luogo nel quale possano essere garantiti i diritti (quello di chiedere asilo primo fra tutti) e le cure per le persone salvate dal mare. Non è certo il ponte di una nave da soccorso a poter garantire questi diritti“.
Vero che di sentenze contraddittorie tra due diversi giudici ne abbiamo viste tante, troppe, ma l’archiviazione e soprattutto le motivazioni, che l’accusa non mancherà di far acquisire agli atti nel caso Open Arms e che comunque in quanto sentenza costituisce pur sempre un elemento interpretativo di un caso analogo, a prescindere dall’acquisizione o meno.
Noi non auguriamo a nessuno di essere condannato, nel rispetto della presunzione d’innocenza, che valeva per Rackete e vale per Salvini, ma non possiamo fare a meno di osservare che non si mette bene per l’ex ministro degli interni. In questo processo, nonostante, l’ostentata arrogante sicurezza, si gioca molto. Non tanto il rischio di condanna penale, quanto, unito a quello la dimostrazione di quanto da molti sostenuto, ma privo di controprove ufficiali: e cioè che nell’esercizio della funzione di ministro dell’interno Salvini avrebbe riposto unicamente il perseguimento di obiettivi di propaganda politica della sua Lega.
E’ questo il vero pericolo per Salvini, la cui leadership è già messa in dubbio dal dimezzamento dei consensi della Lega in tutti i sondaggi e portare in dote questa macchia potrebbe essergli politicamente fatale.
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