Sergio Mattarella a Pisa
Il Capo dello Stato per la cerimonia inaugurale del 678° anno accademico dell’Università
La redazione
Pisa, 18/10/2021
Rivolgo un saluto molto cordiale a tutti i presenti, alla Ministra dell’Università, al Presidente della Regione, al Sindaco, al Presidente della Provincia, a tutte le Autorità presenti, ai Rettori di altri atenei, al Corpo accademico, al personale tecnico e amministrativo, particolarmente alle studentesse e agli studenti di questo Ateneo.Un saluto ai Sindaci di altri Comuni presenti.
Vorrei ringraziare molto il Magnifico Rettore e coloro che sono intervenuti per le parole così cortesi di accoglienza nei miei confronti, e vorrei dire al Rettore e ai docenti di questo Ateneo, agli studenti e alle studentesse, che sono davvero molto lieto di essere qui, in questo Ateneo che ha una lunga storia. Non molti giorni addietro – era presente anche la Ministra Messa – in un altro Ateneo, ho cercato di sottolineare come la comune cultura d’Europa nasce in larga misura dalle università, particolarmente da quelle che, sorte dopo l’anno Mille, hanno realizzato allora un tessuto di interscambio, di approfondimenti culturali su cui si è impiantata la comune civiltà europea.
Tra questi atenei c’è quello di Pisa che ben prima del 1343 – data della Bolla di Clemente VI, una Bolla arrivata dalla Francia perché era un Papa che risiedeva ad Avignone (se non ricordo male, il quarto Papa avignonese) – ben prima di quella data, già così remota, così antica, in cui questo Ateneo riceveva la definizione di studium, qui si svolgeva attività universitaria, accademica. Nei tre, quattro anni precedenti la data della Bolla di Clemente VI, qui ha insegnato Bartolo da Sassoferrato. Poc’anzi, ho ammirato un volume di una delle sue opere, stampato poi nel Cinquecento, nella Biblioteca di questo Ateneo che raccoglie, nel grande patrimonio librario, alcuni tesori, volumi antichi di grande pregio e valore.
Bartolo da Sassoferrato è stato non soltanto il principale giurista della Scuola dei commentatori, ma una delle figure più importanti nella storia della formazione del pensiero giuridico.
Questa storia così importante di questo Ateneo ha visto tante figure tra i suoi docenti e studenti. Qui hanno studiato personalità di grande pregio e rilievo nella vita del nostro Paese, da Carducci a Enrico Fermi, a Rubbia, a due Presidenti della Repubblica – Gronchi e Ciampi – a maestri della letteratura e dell’arte del cinema. Vi è una grande storia di questo Ateneo che ha trovato impronta nella relazione con cui il Rettore ci ha presentato lo stato dell’Ateneo. Lo ringrazio molto non soltanto per aver dato indicazione dell’ampiezza degli ambiti di impegno e di attività di questo Ateneo per l’insegnamento e per la ricerca, ma per aver fatto comprendere il livello eccellente di questa attività di insegnamento e ricerca, l’apertura alla dimensione internazionale, l’attenzione verso l’innovazione, e anche l’impegno nella terza missione che dà la misura di un Ateneo che si sente comunità.
Ho registrato le sollecitazioni provenienti dal rappresentante degli studenti e dalla rappresentante del personale. Ho ascoltato con attenzione, e con un certo coinvolgimento, le esposizioni fatte dai ricercatori sui loro progetti.
Vorrei raccogliere due tra i tanti spunti che questa mattina sono stati proposti.
Il primo riguarda la multidisciplinarietà. Già nella relazione del Rettore si è colta l’importanza non soltanto dell’offerta di tante discipline, ma della interrelazione fra di esse. La percezione – che il Rettore ha esplicitato – che va accrescendo la consapevolezza della connessione sempre maggiore e indispensabile fra le varie discipline. Se ne è avuta prova in quello che hanno esposto i tre ricercatori.
La Professoressa Binda ci ha sottolineato come siano state preziose le interrelazioni collaborative tra discipline che appaiono lontane ma in realtà lo sono soltanto apparentemente.
L’altro spunto che vorrei riprendere nasce dalle parole del Rettore che ha parlato di questo anno come di un nuovo inizio. E lo è naturalmente, ben lo sappiamo. Lo è senza alcun dubbio per le condizioni che abbiamo attraversato e per quello che riaprire in pieno l’attività accademica significa per il nostro Paese, oltre che per l’Università. È un nuovo inizio che sovente siamo chiamati ad affrontare. La vita ci pone sovente rispetto a nuovi inizi.
Il Dottor Mazzei poc’anzi ricordava che qui, nell’aprile del 1986, si è realizzata la prima connessione a Internet. Ci ha detto che aveva quattro anni, quindi Internet lo ha accompagnato nel corso del tempo, col suo sviluppo, la sua diffusione, le sue evoluzioni. In quell’anno, io ne avevo quarantacinque. Per me è stato un nuovo inizio anche quello, rispetto non soltanto agli strumenti disponibili ma all’impostazione della vita sociale.
Siamo sempre chiamati a nuovi inizi. Vengono in mente le parole che milleottocento anni fa, Gregorio di Nissa scriveva: “Si passa da un inizio all’altro -diceva grossomodo -, una serie di inizi che non hanno mai fine”. Al di là del significato spirituale che lui attribuiva a queste parole, esse esprimono una grande fiducia nel futuro, una grande apertura verso il futuro.
Vorrei riprendere quanto diceva il Dottor Massantini poc’anzi, mettendoci in guardia – mi pare abbia detto – dalla pericolosa illusione di cercare il recupero dal passato di presunte età d’oro, di antichi fasti. È sempre un pericolo questo, che pone a rischio la proiezione verso il futuro cercando di rivolgere lo sguardo verso il passato.
Vorrei mettere in collegamento questa affermazione, che abbiamo ascoltato poc’anzi, con quanto ha detto la Ministra Messa sull’esigenza di contrastare la deriva antiscientifica che si registra un po’ ovunque, anche nel nostro Paese, sia pure in piccole dosi, per fortuna. Una deriva antiscientifica che mira a bloccare il futuro in realtà e porta a ricondurre tutto al passato.
Noi dobbiamo molto alla scienza. Abbiamo attraversato un periodo lungo – oltre un anno e mezzo – che non dobbiamo dimenticare, anche per rispetto dei tanti morti che lo hanno caratterizzato.
Tutti lo rammentiamo ancora. Abbiamo attraversato un periodo con centinaia di vittime ogni giorno. Gli ospedali stracolmi di pazienti di Covid; i sanitari generosamente impegnati fino allo stremo delle forze; i malati con altre patologie che non potevano essere ricoverati; accertamenti sanitari rinviati con grave pregiudizio per la salute di tante persone; il Paese sostanzialmente chiuso; l’attività industriale ridotta ai minimi; una drammatica perdita di posti di lavoro.
Tutto questo è alle nostre spalle perché la scienza ci ha consegnato i vaccini, perché la vaccinazione, le misure e i comportamenti di prudenza – dai distanziamenti alle mascherine – hanno sconfitto la diffusione del contagio. Speriamo – se le manteniamo con saggezza – di averlo sconfitto e posto alle nostre spalle.
Questo lo dobbiamo anche al senso di responsabilità, alla saggezza di gran parte dei nostri concittadini.
Siamo ripartiti: aprono le università; sono aperte le scuole; l’industria lavora a pieno ritmo. La condizione economica del Paese è in una crescita che supera le speranze, ai massimi come media rispetto all’Europa. Crescono ogni giorno i posti di lavoro. Abbiamo prospettive incoraggianti. Sono riaperti appieno teatri e cinema; sono riaperti gli impianti sportivi. Il Paese è ripartito, torna a respirare e a vivere. Tutto questo lo dobbiamo alla scienza e al senso di responsabilità dei nostri concittadini.
Lei poc’anzi, Magnifico Rettore, ha ricordato le parole di uno studente illustre di questo Ateneo, Piero Calamandrei, che nel ‘46 parlava di quel momento come di un’occasione irripetibile di rinnovamento dell’Italia. Siamo nuovamente in questa condizione. Grazie alla scienza, alle vaccinazioni, al comportamento dei nostri concittadini, alla coraggiosa scelta dell’Unione europea con grandi risorse consegnate, abbiamo di fronte a noi la possibilità, irripetibile, di rinnovare il nostro Paese.
Non possiamo perdere questa occasione. Danneggeremmo duramente i giovani e le future generazioni. Dobbiamo collocarla a frutto, condurla a un buon risultato.
Per questo sorprende e addolora che proprio adesso, in questi momenti, non quando vi erano momenti con l’orizzonte oscuro, quando si temeva il crollo del Paese, ma oggi in cui vediamo una ripresa incoraggiante – economicamente, socialmente, culturalmente – in cui il Paese si sta rilanciando, proprio adesso esplodono fenomeni, iniziative e atti di violenza, di aggressiva contestazione, quasi a volere ostacolare, intercettare la ripresa che il Paese sta vivendo e che deve essere condotta a buon fine. Con fatica, con impegno, ma in maniera indispensabile.
Sono comportamenti che creano allarme, o meglio, creano tristezza. Non molto allarme perché si infrangono contro la determinazione, il senso di responsabilità, il senso civico dei nostri concittadini, della stragrande parte, della quasi totalità dei nostri concittadini.
Questa è la vera forza del nostro Paese: il senso civico che la nostra gente esprime, coltiva, manifesta e pone in essere.
E di questo senso civico, questo senso delle comunità, gli atenei sono un punto di formazione decisivo. La formazione, la trasmissione del sapere, del senso critico, del senso verso il futuro è compito degli atenei.
Per questo è importante quanto fanno, e per questo auguro a questo Ateneo buon anno accademico.
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