Taranto: indennizzo ai proprietari di immobili del quartiere Tamburi
Istituzione di un fondo per indennizzare i proprietari degli immobili che hanno subito danni dall’inquinamento da parte dell’Ilva
Rocco Michele Renna
Qualche giorno fa una carissima amica intercetta un messaggio sui social in merito ad all’istituzione di un fondo per indennizzare i proprietari degli immobili che hanno subito l’inquinamento da parte dell’Ilva di Taranto ora Acciaierie d’Italia S.p.A., una azienda costituita da Am InvestCo Italy e Invitalia, la maggior produttrice di acciaio di qualità a livello europeo.
Mi sono subito attivato chiedendo, conferme e informazioni in merito ad un consigliere comunale di Taranto in carica, ma non si è degnato nemmeno di rispondere. Grazie alla mia amica abbiamo chiesto informazione direttamente all’autore del post su Facebook Alessandro Marescotti.
Marescotti e un docente presso IISS Righi Taranto ed è anche fra i fondatori nel 1991 di Peacelink, un’associazione eco-pacifista italiana che si propone di fornire informazioni trasparenti sulle guerre e sulle iniziative non violente.
Marescotti, ci risponde fornendoci la procedura di accesso a questo indennizzo che dalla redazione de lavocenews.it Vi mostriamo ben volentieri:
“Procedura di accesso:
Quest’anno è stato istituito un fondo, presso il Mise, per l’indennizzo dei proprietari di immobili che hanno subito l’inquinamento degli impianti dell’Ilva a Taranto. A favore dei proprietari degli immobili è stato disposto un indennizzo per i danni in virtù di una sentenza definitiva.
Tale indennizzo viene riconosciuto per legge in ragione dei maggiori costi connessi alla manutenzione degli stabili di loro proprietà ovvero per la riduzione delle possibilità di godimento dei propri immobili, nonché per il deprezzamento subito dagli stessi a causa delle emissioni inquinanti provenienti dagli stabilimenti siderurgici del gruppo ILVA.
Pertanto la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza del 28 gennaio 2021, n. 18810, depositata lo scorso 2 luglio 2021, in riferimento al risarcimento danni degli immobili situati vicino allo stabilimento siderurgico, ha confermato le decisioni di primo e di secondo grado (rispettivamente del 2014 e del 2018), evidenziando l’esistenza di un danno da compressione del diritto della proprietà, scaturente dalla ridotta possibilità di godimento degli immobili generato dalla continua esposizione degli stessi al fenomeno di immissioni di polveri minerali.
Il periodo che dà diritto al risarcimento per questo tipo di ricorsi è quello compreso tra il 2015 e il 2019.
Per ottenere l’indennizzo occorre:
- essere stati residenti nel quartiere Tamburi tra il 2015 e il 2019 (occorre esibire di un certificato di residenza storico);
- aver acquistato l’immobile prima del luglio 2012 nel quartiere Tamburi (occorre esibire copia dell’atto di acquisto);
- esibire una visura catastale aggiornata;
- esibire una copia del documento di riconoscimento.
I tempi tecnici per immettersi nella procedura di risarcimento sono piuttosto stretti (entro la prima o al massimo la seconda settimana di dicembre 2022).
Chi ha i requisiti sarà contattato dallo studio legale dell’avvocato Massimo Moretti.
Occorre, infatti, presentare un’istanza giudiziale da presentare al Tribunale di Milano. Trattasi di una domanda di insinuazione al passivo della procedura di amministrazione di Ilva spa. Si tratta quindi di depositare al più presto una istanza per ottenere il riconoscimento giuridico che è poi alla base della successiva istanza che si farà per ottenere il pagamento da parte del fondo.”
Come ben sapete l’inquinamento di Taranto e in maggior parte del quartiere Tamburi è ormai una tragedia atavica per Taranto che mette i suoi cittadini a scegliere se morire di cancro o morire di fame senza lavoro se l’acciaieria chiude.
Il paradosso è che lo stato italiano è socio di maggioranza dell’acciaieria, anche le entrambe le cariche di vertice sono state mantenute da esponenti del socio di minoranza ArcelorMittal, e continua a fornire sussidi alla acciaieria ormai decrepita e pericolosa e non fa partire i progetti di messa in sicurezza, riqualificazione, risanamento e bonifica del territorio che farebbe lavorare molte più persone di quelle che già lavorano in quella industria di morte.
Insomma Taranto oggi sceglie se morire di cancro e far morire i propri figli di cancro o morire di fame da disoccupati.
E se un giorno l’acciaieria chiude? Tanto c’è il reddito di cittadinanza… e no! Toglieranno pure quello, il futuro è sempre più nero per Taranto e i Tarantini.
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