Crisi nel mar Rosso: impennata dei costi di trasporto e implicazioni globali sui prezzi delle merci
Il WCI rivela un triplo aumento nei prezzi del trasporto container dall’Asia all’Europa mentre la crisi costringe le rotte marittime a cambiare, minacciando l’approvvigionamento petrolifero e mettendo a rischio le esportazioni italiane di frutta e verdura.
Rocco Michele Renna
La crisi in corso nel Mar Rosso, intensificatasi con gli attacchi Houthi a inizio dicembre, sta avendo impatti significativi sul commercio internazionale e sui prezzi delle merci. Un’analisi dettagliata del World Container Index (WCI), elaborato da Drewry, rivela un aumento vertiginoso nei costi di trasporto dei container da 40 piedi, l’unità di misura predominante. Da Shanghai a Genova, i prezzi sono quasi triplicati, passando da 1.373 a 5.213 dollari, mentre per Rotterdam hanno fatto quasi altrettanto, aumentando da 1.171 a 4.406 dollari.
Le principali compagnie di spedizione stanno reagendo al pericolo evitando le rotte pericolose. Il cambio di rotta, che evita lo stretto di Bab el-Mandeb, comporta un allungamento dei viaggi, con conseguente aumento dei costi di carburante, delle polizze assicurative e della durata del noleggio. Questo cambiamento ha già causato ritardi nella catena di approvvigionamento, costringendo alcune aziende, come Tesla in Germania, a interrompere temporaneamente la produzione.
Il percorso alternativo attraverso il Capo di Buona Speranza allunga il viaggio di 12-15 giorni, con un aumento di circa 3.200 miglia (5.920 chilometri) da Singapore. Questa situazione solleva preoccupazioni sul futuro del settore petrolifero, con possibili conseguenze sulla sicurezza degli approvvigionamenti e il rischio di una nuova crisi energetica.
Tuttavia, la dipendenza italiana dal petrolio del Medio Oriente è notevolmente diminuita rispetto agli anni ’70, rappresentando solo il 21% delle forniture totali, principalmente provenienti da Arabia Saudita e Iraq. Altri approvvigionamenti provengono da America, Africa e Paesi ex URSS come l’Azerbaijan, evitando il passaggio attraverso il Canale di Suez.
Le ripercussioni si riflettono anche sulle quotazioni del greggio a Londra, con il Brent che ha registrato un aumento fino a toccare 80 dollari al barile nell’ultima settimana. Se questa tendenza dovesse persistere, potrebbe portare ad un aumento dei prezzi di benzina e gasolio, influenzando l’85% delle merci in Italia che viaggiano su gomma.
Il Canale di Suez rappresenta il 40% circa dell’import-export marittimo italiano, equivalente a 154 miliardi di euro secondo un’analisi di SRM Centro Studi e Ricerche, collegato a Intesa Sanpaolo. L’impatto si estende anche alle esportazioni italiane di frutta e verdura, minacciando circa mezzo miliardo di euro destinato al Medio Oriente, India e Sudest asiatico. Il rischio di essere tagliati fuori dai porti italiani è reale, e le conseguenze economiche potrebbero essere significative.
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