I numeri del DEF spaventano l’Italia
La crisi sanitaria causata dal Coronavirus rischia di diventare, soprattutto, una crisi economica. Ecco i numeri del DEF (Documento Economia e Finanza)
Vito Longo
Lo sapevamo: un lockdown, inevitabile per rallentare il contagio da Sars-Cov2, così prolungato, avrebbe avuto un effetto deflagrante in una economia già balbettante o, se preferite, traballante.
E così, ai numeri drammatici dei bollettini di questi ultimi due mesi ormai, rischiano di aggiungersi numeri altrettanto impietosi: quelli della crisi economica alle porte. L’Italia, usando una metafora sanitaria, è ancora convalescente. Margine di errore nell’impostare la prossima fase, quella della c.d. ripartenza, non ce n’è. Non c’è, però, neanche possibilità di perdere altro tempo. L’imprenditoria italiana, soprattutto quella del nord, spinge per riaprire, mentre il governo frena, preoccupato da un riacutizzarsi del contagio. Assieme alla task-force guidata da Vittorio Colao e d’intesa col comitato tecnico-scientifico, il Presidente del Consiglio Conte sta elaborando il piano dettagliato del quale, pare, darà comunicazione entro la fine di questa settimana.
A spaventare gli imprenditori sono i numeri, impietosi, che la crisi da Coronavirus ci sta consegnando.
Giuseppe Conte ha convocato, per questa mattina (venerdì 24 aprile), una riunione ad hoc con i capi delegazione della maggioranza, prima del Consiglio dei ministri, per discutere delle prossime scelte in materia economica. È proprio il DEF (Documento Economico Finanziario), sul tavolo questa mattina, a certificare la drammaticità dei numeri.
Il PIL (Prodotto Interno Lordo) subirà una contrazione pari all’8%. Il deficit, invece, ossia il debito pubblico, salirà di 10.4 punti percentuali su base annua. Ricordiamo sempre che, quello italiano, è uno dei debiti più alti in Europa. Il risultato, tutt’affatto che confortante, di questi numeri è che il rapporto deficit/PIL schizzerà al 155.7%. L’impegno assunto dall’Italia è di riportarlo in una soglia in linea con la media degli altri paesi dell’area Euro entro 10 anni. Un periodo di tempo così dilatato porta con sé, come è facile prevedere, diverse incognite.
Un rimbalzo per l’anno 2021 è possibile, sono le stesse agenzie di rating ad ipotizzare una crescita del 4.7%, a patto, tuttavia, che non arrivi in Autunno una seconda ondata. In un simile scenario, il rimbalzo andrebbe spostato all’anno successivo, realisticamente al 2022.
Cosa spinge ad affermare che questi numeri sono così drammatici?
La domanda può trovare subito una facile risposta nel raffronto su base annua con l’anno appena trascorso. In premessa occorre dire che, già in partenza, le stime per quest’anno erano tutto fuorché rosee. La crisi da Covid-19 ha aggravato un quadro, oseremmo dire, già molto precario. A fine del 2020 si stima una differenza con l’anno 2019 del 3.7%, ossia 126 miliardi in meno nelle casse dello Stato.
La cifra, purtroppo, rischia di estendersi ancora. Ai soldi già stanziati per il decreto “Cura Italia” di marzo, andranno aggiunti i 55 miliardi previsti dal decreto di aprile. Gli interventi che verranno coperti da questo fondo sono molteplici. Si parte dal rifinanziamento della cassa integrazione per i lavoratori dipendenti, prorogata per altre nove settimane. È incluso il bonus per gli autonomi, che sarà aumentato e portato da 600 a 800 euro, garantendo la copertura di aprile e maggio. Anche i voucher destinati alle baby sitter e i congedi parentali saranno rifinanziati. Il reddito di emergenza, infine, avrà un importo medio di 500 euro.
A questo già corposo stanziamento, vanno aggiunti 30 miliardi per le garanzie statali sui prestiti alle imprese e 50 miliardi per il Fondo Cassa Depositi e Prestiti, finalizzati a proteggere e risollevare le aziende strategiche del Paese.
Non è, però, finita qui. La sospensione del Patto di Stabilità, decisa a livello europeo, comporta anche la sospensione, per almeno due anni, delle c.d. “clausole di salvaguardia”.
Che sono le clausole di salvaguardia?
Le clausole di salvaguardia sono norme poste a tutela dei conti pubblici. Tecnicamente, esse prevedono un maggiore gettito dello Stato attraverso un aumento delle imposte o un taglio delle spese. Gli aumenti e i tagli, però, non entrano in vigore subito ma in anni successivi. Di solito hanno un’efficacia differita di tre anni perché seguono l’impianto triennale della legge di bilancio.
Se il governo recupera il gettito previsto attraverso altri strumenti – privatizzazioni, investimenti sui mercati finanziari o altro – le clausole non si attivano. La mancata attivazione scongiura l’aumento delle imposte o il taglio delle spese. Un esempio concreto: se ho una clausola da 4 miliardi, ovvero una norma che mi garantisca l’afflusso di 4 miliardi nelle casse statali, per esempio con l’aumento dell’Iva, o incasso quei 4 miliardi in altro modo – e cioè “sterilizzo” la clausola per l’anno in corso – o altrimenti la clausola viene automaticamente attivata e quindi l’aliquota aumenta.
La discussione sul “decreto aprile” non è ancora conclusa. Permangono, infatti, alcune previsioni da limare, trovando l’equilibrio tra le richieste delle varie anime della maggioranza di governo.
La data ultima sarà giovedì 30 aprile, quando dovrebbe essere approvato il provvedimento. Fino ad allora non mancherà il tempo per decidere. E per discutere.