Cinque Stelle in caduta libera
Giornata ad alta tensione
Di Maio verso l’addio, in corso raccolta firme per un nuovo gruppo autonomo
Giovanna Sellaroli
Un Presidente del Consiglio chiaro e determinato: si aiuti, si armi, si sanzioni, questo è stato concordato con i partner europei!
Ore di grandissima fibrillazione vissuta oggi in Senato, il premier Mario Draghi ha parlato a Palazzo Madama per le comunicazioni sul dossier Ucraina, in vista del consiglio europeo del 23 e 24 giugno: “L’Italia vuole Kiev nella UE … Non smetteremo di cercare la pace, nei termini che vorrà Kiev“. Sul gas: “Dall’anno prossimo ridurremo dipendenza da Mosca. Con il taglio delle forniture è ancora più urgente imporre un tetto del prezzo“.
Draghi ha spiegato come serva “un intervento Onu sul blocco del grano che sta creando una crisi umanitaria straordinaria“. Poi ha ribadito l’utilità delle sanzioni, “stanno funzionando“, e quanto all’accertamento delle responsabilità dei crimini di guerra, “saranno puniti“.
Il discorso del capo del Governo è stato un passaggio delicato per via delle tensioni interne nel M5S, una grana che ha pesato non poco in questo momento così delicato e difficile, in cui si deve mantenere in piedi quanto è già stato deciso dal Governo nel mandato ricevuto proprio dal Parlamento.
Siamo, nostro malgrado, spettatori di una esibizione mediocre in cui sta andando in onda un vero e proprio teatrino messo in scena dai sommovimenti interni ai 5S, protagonisti Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e tutto il circo mediatico grillino. Dopo la riunione fiume di ieri e la nuova fumata nera di stamattina sulla risoluzione, si va verso un testo di una sola riga per blindare le comunicazioni di Mario Draghi in vista del prossimo Consiglio europeo.
È stato, infatti, trovato l’accordo all’interno della maggioranza e con il governo sulla risoluzione dopo le comunicazioni del premier Draghi al Senato. Alla fine hanno dovuto cedere, a sottoscrivere l’accordo ci sarebbe anche il M5S, a confermarlo è la presidente del gruppo a Palazzo Madama, Loredana De Petris.
Bene essere giunti a un accordo di maggioranza, sarebbe stato incredibile il contrario, meno male che Draghi c’è!
A Draghi va detto soltanto di andare avanti nella sua azione, alla ricerca della pace, quella vera e non quella millantata dai finti pacifisti filoputiniani, in cerca di autore.
Da giorni oramai siamo ostaggio della fantomatica risoluzione contro l’invio delle armi in Ucraina, una bozza di risoluzione in cui un gruppo di senatori 5S chiedevano al governo di impegnarsi “a non procedere” a ulteriori invii di armamenti. Linea, sposata da Conte, da cui Di Maio si è subito dissociato.
Di Maio, dopo la diffusione della bozza aveva preso le distanze dal testo, dicendo che “di fatto ci disallinea dall’Alleanza Nato e ci disallinea dall’Ue”. Una linea, secondo il capo della Farnesina, “poco matura”, che metterebbe “a repentaglio la sicurezza dell’Italia” e rischierebbe di creare un precedente per cui la “propaganda russa” potrebbe “dire che l’Italia sta un po’ di più con la Russia che con la Nato: questo non ce lo possiamo permettere”
La risoluzione, da lanciare dopo la comunicazione in Senato del premier, ha rischiato di spaccare definitivamente il Governo.
Repentina la replica del Presidente della Camera Roberto Fico: “siamo arrabbiati e delusi. Non riesco a comprendere che il ministro degli esteri Di Maio attacchi e “mistifichi” su delle posizioni rispetto alla Nato e all’Europa che nel Movimento non ci sono”. Francamente mi sembra il nulla, esplicitato con un lessico da quinta elementare.
E se Conte ha espresso “rammarico” per la linea di Di Maio, i membri più filogovernativi del partito lo hanno appoggiato. Lo ha chiarito subito anche la vice ministra dell’Economia e delle Finanze Laura Castelli: il no alle armi è una posizione che non avrebbe mai potuto vedere “tutta la maggioranza d’accordo”. Il senatore Primo Di Nicola, vicino a Di Maio, a Repubblica aveva spiegato che sulla bozza di risoluzione “nessuno di noi è stato coinvolto. Ne avevamo sentito parlare e per questo avevamo messo le mani avanti da giorni, chiedendo che non ci fosse un atto autonomo di questo tipo“. Duro invece l’affondo del vicepresidente del M5S Michele Gubitosa, che si chiede se Di Maio “ci rappresenta ancora nel governo” come ministro degli Esteri o “sta rappresentando solo se stesso”.
In mattinata, sulla scena era tornato anche Beppe Grillo, deciso nel sostenere il presidente M5s, Giuseppe Conte, sul limite dei due mandati, regola da sempre in vigore nel Movimento e che porterebbe alla impossibilità di ricandidarsi per Di Maio e tutti gli eletti pentastellati della prima ora.
Insomma è piena bagarre, è la disintegrazione dei grillini, dei puri e duri, di quelli che dovevano aprire il Parlamento italiano come una scatoletta di tonno. La scissione è dietro l’angolo e Luigi Di Maio è pronto al divorzio.
E’ in corso in queste ore, infatti, una frenetica raccolta di firme in Parlamento per la creazione di un gruppo autonomo di Di Maio alla Camera. Secondo quanto riferisce l’Ansa è in corso la raccolta firme per la costituzione di un gruppo autonomo alla Camera, dove i numeri ci sarebbero già. Il nome del nuovo gruppo che Di Maio andrà a formare dovrebbe chiamarsi “Insieme per il futuro”. Già 35 parlamentari vicini al ministro Di Maio, tra Camera e Senato, hanno firmato per la costituzione di nuovi gruppi: l’obiettivo, apprende l’Ansa, è raggiungere la soglia di 50 parlamentari. “Difficile, ma l’entusiasmo cresce“, riferiscono alcuni parlamentari coinvolti nell’operazione.
Insomma, salvo clamorosi cambi di rotta, la via oggi è tracciata e il M5S sembra oramai restringersi al partito dell’avvocato del popolo, Giuseppe Conte. Cosa porterà la scissione? Ai posteri l’ardua sentenza.
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