Conte ha rifiutato di candidarsi nel collegio di Gualtieri
Le ragioni dicharate ed i progetti del leader pentastellato occasione per un ragionamento a 360 gradi
Gianvito Pugliese
Dal Nazareno era partito un pressing perché il candidato della sinistra alle suppletive del 16 gennaio, che eleggeranno il successore di Gualtieri nel seggio Roma 1, fosse Giuseppe Conte. Una proposta con doppia valenza; consolidare l’alleanza Pd-M5S, in vista sia del Quirinale che delle elezioni politiche prossime, ma soprattutto avviare un’esperienza di quel “campo largo” su cui Enrico Letta ripone le speranze ed i progetti di successo per le Agorà,
Sta di fatto che Conte, pur apprezzano l’offerta ricevuta e ringraziando, l’ha rimandata al mittente, ora alle prese con la scelta tra due donne, Annamaria Furlan e Cecilia D’Elia, e Enrico Gasbarra. Su quest’ultimo potrebbe convergere Italia Viva. A Roma 1 ha già dichiarato di candidarsi per Azione il suo leader Carlo Calenda, e dunque, sulla successione a Gualtieri, il campo largo è difficile si concretizzi,
Sul rifiuto da parte di Conte si sono avanzate le ipotesi più disparate, tra voli pindarici, esercitazioni di fantascienza e frutti di fantasia scatenata. C’è stato finanche chi ha attribuito il rifiuto al timore di Conte che qualche pentastellato potesse leggere la proposta come un tentativo corruttivo da parte del Pd.
Ed a mettere un poco d’ordine nella vicenda è stato lo stesso Conte, intervistato in proposito dall’Aria che tira della 7. “La ragione politica” del no alle suppletive “è che un leader che sta realizzando questo progetto ha l’ambizione di presentarsi col M5s alle politiche, con un programma di governo per migliorare la società. Vorrei entrare dalla porta principale“.
Ed ha aggiunto, a proposito di Quirinale: “Il M5s non ha come candidato Silvio Berlusconi. Rispetto il leader di un’altra forza politica, ma abbiamo bisogno di un presidente che possa unire il Paese e sia garante di tutti, non solo di una parte. I percorsi, gli obiettivi, i principi e i valori di Fi e M5s, se mai sono stati simili, nel tempo si sono dimostrati diametralmente opposti. C’è rispetto nei confronti di una figura che ha avuto un ruolo importante nel Paese, ha fatto anche alcune cose buone. Ma, sicuramente, complice un conflitto pervasivo di interessi, ha compiuto dei passaggi che non sono nel dna del M5s“.
Per poi concludere: “Vedrei bene una donna al Quirinale, senz’altro. Ho in testa un profilo: una personalità di cui poter essere tutti orgogliosi”.
Dichiarazione che rappresenta certamente un contributo alla chiarezza, una sorta di interpretazione autentica del Conte-pensiero utile, se non altro, a sgombrare il campo da interpretazioni forzate, ma non prive di una punta di malignità, in quanto spesso finalizzate a portar acqua al proprio mulino.
Si è compreso, se non altro, che il tentativo di Berlusconi di blandire i cinque stelle in vista della “discesa al Colle” non ha sortito l’effetto desiderato dall’autore.
Così come, chi ha letto in quel rifiuto una rottura dell’asse tra Pd e M5S, ovvero del progetto Letta-Conte, è destinato ad essere deluso. La linea è quella e si va avanti a consolidare l’alleanza con prudente gradualità, senza accelerazioni che potrebbero non essere accolte favorevolmente dalle rispettive basi. Sia Letta che Conte sanno fin troppo bene che certi processi richiedono tempo e pazienza, oltre che costanza per dare i propri frutti, né più né meno di quello che fa il contadino che pianta l’albero, lo concima ed innaffia per anni prima di vederlo dapprima fiorire poi dare frutti. Viceversa, per seminati e piantine, dalla semina al raccolto basta un anno, spesso assai meno, solo che dopo un raccolto finisce tutto e occorre rifare tutto d’accapo. I frutti dell’albero, destinati a ripetersi nelle stagioni, non si creano dall’oggi al domani, richiedono appunto tempo, pazienza, tanto lavoro e soprattutto grande costanza.
Difficile dire se quei frutti arriveranno e quando, se ci saranno ricchi raccolti o meno. L’agricoltore deve mettere in conto le grandinate, le gelate, la siccità, l’infestazione parassitaria e non solo, il politico prevedere nei limiti del possibile i desiderata di una società che cambia e si evolve a ritmo continuo e con la velocità della luce. Sta di fatto che un minimo di osservazione dei fenomeni politici, al pari delle altre vicende umane, ci convince che le scalate improvvise, le crescite esponenziali, soprattutto se fondate su una fascinosa idea giusta al momento giusto, sono immancabilmente seguite da rovinose cadute.
Mi sovviene il ricordo dell’idea, geniale al tempo, che fu lanciata della rottamazione politica. Sembrò opera di un genio ed i risultati positivi esponenziali arrivarono subito. Il Pd raggiunse il 40%. Si pensò di aver scoperto il novello uomo della provvidenza. Era cosi? Non mi sembra. Infatti, nonostante la sua grande capacità di ordire manovre ed intessere trame, lo dico in senso neutro, senza né lode né critica, il leader dell’exploit al 40% ora raggiunge appena il 2,5% nei sondaggi più attendibili ed autorevoli.
Non occorre scomodare Vico ed i suoi corsi e ricorsi storici. Sappiamo tutti che la storia si ripete inevitabilmente e senza eccezioni e che la discesa è inversamente proporzionale alla salita sia nei tempi che nella quantità.
Una lezione che sembra sia stata ben compresa ed applicata sia da Giuseppe Conte, l’avvocato pugliese catapultato improvvisamente in politica, che diventa presidente del consiglio di ben due governi, sia da Enrico Letta, il docente universitario sbarcato a Parigi come docente di Sciences politiques, politico di lungo corso e di grande esperienza.
Nonostante nei sondaggi la sostanziale parità dei due schieramenti politici inviterebbe alla prudenza, Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia, invoca come un mantra le elezioni anticipate. Antonio Tajani le “minaccia” come deterrente alla candidatura di Draghi al Quirinale, che spazzerebbe via tutte le altre. Berlusconi compreso. In realtà nessun’altro le prende come una cosa seria. Se i leader, infatti, si mettessero tutti d’accordo, ipotesi semplicemente impossibile, e optassero per le elezioni anticipate in parlamento ci sarebbe la rivolta dei peones, che sì contano poco o niente, ma sono la stragrande maggioranza dei parlamentari e che sanno, con la riduzione di un terzo dei seggi sia alla Camera che al Senato, che con la fine di questa legislatura si scrive la parola fine pure sulla loro presenza in parlamento, ed io, a dire il vero, in questo nostro Parlamento non vedo la figura di un solo Samurai disposto a fare harakiri per difendere onore e fedeltà all’imperatore dio, ovvero onnipotente segretario di partito.
E mentre si consuma questo scampolo di legislatura, dal 2023 ci separa poco più di un anno, questo Parlamento di donne e uomini, consapevoli che se lo sognano di essere rieletti, stanchi e delusi, ha un solo interesse che accomuna: tirare la carretta fino all’ultimo giorno. Fa davvero spavento che la nuova legge elettorale, indispensabile dal giorno dopo il referendum per la riduzione dei parlamentari, dorme da qualche parte il sonno dei giusti. La voteranno in zona Cesarini costoro. Non serve essere un profeta o un indovino per prevedere quello che partorirà questo Parlamento.
Draghi, grandissimo economista e uomo d’istituzioni bancarie (da Governatore della Banca d’italia a Presidente della Bce, la Banca centrale europea) ha già le sue belle gatte da pelare per trovare un equilibrio tra i desiderata dei componenti della sua maggioranza “Arlecchino” e la necessità di far portare avanti il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Sia per preparazione che per dure necessità quotidiane la legge elettorale non è di certo tra i suoi pensieri prioritari.
Ha dell’assurdo questo Paese e la sua politica. Ora tutte le attenzioni sono puntate sul Colle e l’elezione di febbraio, con buona pace di Enrico Letta che, molto simile all’uomo che strilla nel deserto, richiama l’attenzione sulla legge di bilancio come strumento primario della ripresa economica e sociale dell’Italia, nell’indifferenza generale dei più, interessati piuttosto alla dotazione di questo o quel capitolo di spesa dove si concentrano gli interessi dei propri elettori o finanziatori.
Intendiamoci non smetterò mai di spingere i miei connazionali ad andare a votare. Se metà e più degli Italiani non votano, le truppe cammellate di voti pilotati e comprati moltiplicano la loro influenza sul risultato finale dell’elezione, le istituzioni che si formano sono scarsamente rappresentative ed autorevoli, in una parola un autentico disastro. So bene che non mi ascolteranno ma la coscienza m’impone di provarci.
Ma è pur vero che la politica che i cittadini vedono vissuta e praticata quotidianamente, sempre più spesso suscita nausea, a dir poco. Oggi il partito di maggioranza assoluta, alla luce dei numeri delle ultime amministrative, tradizionalmente elezioni con il maggiore appeal sui cittadini, è diventato quello dell’astensione: più della metà non vota. E come dar loro torto, nonostante le precedenti affermazioni, se per esempio al parlamento mi hanno tolto le preferenze e i papabili sono stati scelti senza appello dalle segreterie di partiti dai quali non mi sento rappresentato e nei quali non m’identifico più.
Siamo incredibili, davvero. La fine delle ideologie avrebbe dovuto portarci verso la maturità democratica, un Paese in cui, a prescindere dal tuo colore, se hai governato bene ti confermo, diversamente ti mando all’opposizione. Da noi la fine delle divisioni ideologiche è diventata la fine dei valori, della passione politica, della possibilità d’identificarsi in partiti tutti alla ricerca del facile consenso che hanno perso per strada, se mai l’hanno avuta, la capacità di battersi per cause giuste a prescindere dai voti connessi.
Ma è possibile che anche ai no vax, una tragedia per il Paese ed un freno nella guerra alla pandemia, la cui ideologia mette in serio pericolo la salute e la stessa vita dei cittadini, ci siano partiti che accarezzano il pelo, per fini di accattonaggio elettorale.
Il giorno dopo i risultati elettorali comunicati dal Viminale, a partire dal numero di coloro che hanno votato, un coro unanime di preoccupazione per l’astensione. Ti dici, allora vorranno finalmente porre rimedio? E’ solo “ammuina”, una sceneggiata tanto per farla. Sotto sotto serve a tutti l’astensione, proprio perché è un moltiplicatore della valenza del voto delle truppe cammellate, di cui tutti negano l’esistenza, ma al quale tutti ricorrono.
Una visione apocalittica, penserà qualcuno. Credo invece sia realistica. Certamente dura e senza sconti per nessuno, ma tristemente avvinghiata alla realtà che riflette questa immagine.
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