Cosa sta succedendo tra Armenia e Azerbaijan
Ricominciano gli scontri a fuoco tra i due Paesi per il controllo del Nagorno-Karabakh. Un conflitto che prosegue dal 1991 e che ha causato oltre 30mila morti
Giovanna Sellaroli
Risveglio agitato per Vladimir Putin quello di stamattina 13 settembre. Nelle prime ore dell’alba si è visto arrivare la telefonata del primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, che gli ha chiesto aiuto per via dell’escalation militare al confine armeno-azero. A mezzanotte tra lunedì e martedì la linea di confine tra Armenia e Azerbaijan si è accesa di fiammate seguite dal boato delle esplosioni. Lo stesso Nikol Pashinyan, ha annunciato in Parlamento che 49 soldati armeni sono morti negli scontri scoppiati al confine con l’Azerbaijanan. Insomma un’altra guerra, un nuovo pericolosissimo fronte di fuoco a Est del mar Nero.
Ricordiamo che l’Azerbaijan è uno dei Paesi che si è impegnato a fornire più gas all’Europa e all’Italia.
Mentre al momento sembra che la situazione si sia congelata, con le due nazioni che hanno concordato un cessate il fuoco, ripercorriamo le ore più drammatiche della notte passata con le parole del leader armeno.
“Il Primo Ministro ha fornito dettagli sulle azioni provocatorie e aggressive delle forze armate azere in direzione del territorio sovrano dell’Armenia, iniziate a mezzanotte e accompagnate da bombardamenti di artiglieria e armi da fuoco di grosso calibro. Il Primo Ministro ha considerato le azioni della parte azerbaigiana inaccettabile e ha sottolineato l’importanza di una risposta adeguata da parte della comunità internazionale“, si legge nel comunicato del servizio stampa del Gabinetto dei ministri dell’Armenia.
Il ministero della Difesa armeno ha anche annunciato che alle 00:05 del 13 settembre, unità delle forze armate azere hanno aperto un intenso fuoco in direzione delle città di Goris, Sotk e Jermuk utilizzando artiglieria, armi di grosso calibro e leggere. Così comunica la Tass, Agenzia di stampa russa, tra le prime a informare il resto del mondo sulla ripresa delle ostilità.
Nella notte tra lunedì e martedì dunque nuovi scontri armati si sono verificati nel Nagorno-Karabakh, territorio nel sud del Caucaso conteso dal 1991 da Armenia e Azerbaijan. Insomma si riaccendono le tensioni al confine fra i due Paesi alle prese con l’annosa disputa per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, su cui hanno già combattuto due sanguinose guerre.
Giorni neri per Putin. La guerra in Ucraina è al 202esimo giorno e “La controffensiva ucraina nel sud avanza in modo significativo, anche se la visibilità su quest’asse è limitata dal focus sulla regione di Kharkiv“, scrive nel suo bollettino giornaliero il think-tank americano Institute for the study of war (Isw), riportando le notizie di un possibile ritiro russo da Kyselivka, alle porte di Kherson. “L’apparente ritiro delle truppe russe da questa posizione potrebbe compromettere la capacità russa di difendere la periferia nordoccidentale di Kherson e suggerisce che le truppe russe si sentano minacciate in questa posizione“, osserva l’Isw.
E Putin è sempre più furioso.
“Siete una manica di incapaci!”, e se a dirlo è Vladimir Putin c’è da avere paura, avrebbe tuonato venerdì lo zar in una riunione a porte chiuse al Consiglio di Sicurezza ai siloviki, i capi degli apparati militari e dell’intelligence, che lo ascoltavano come “scolaretti in silenzio”, racconta il Corriere che cita fonti ben informate da Mosca.
E di questa riunione ne danno conto anche fonti con accesso diretto ad alcuni membri del massimo organismo strategico russo attraverso canali Telegram. Insomma, a Mosca tira una brutta aria, e si fa sempre più insistente la notizia che Putin sia sottoposto a contestazioni interne. In queste ore, secondo la TV spagnola, un centinaio di consiglieri russi hanno chiesto le dimissioni di Putin, accusandolo di tradimento.
Del resto chi semina vento raccoglie tempesta. Ora, con le tensioni al confine fra le due ex repubbliche del Caucaso, Armenia e Azerbaijan, i venti di guerra soffiano anche fuori dell’Ucraina e Putin potrebbe rischiare anche su un altro fronte.
Entrambe le parti, Armenia e Azerbaijan, hanno accusato l’altra di aver innescato lo scontro militare, che sembra abbia causato già numerose vittime nei due schieramenti. Yerevan, la capitale dell’Armenia, sostiene di aver subito vittime, mentre Baku, capitale dell’Azerbaijan, non ha ancora fornito dettagli, pur confermando la presenza di perdite tra le proprie fila.
“Diverse posizioni, rifugi e punti di rinforzo delle forze armate dell’Azerbaijan sono state sottoposte a intensi bombardamenti da parte di unità dell’esercito armeno, con armi di vario calibro, compresi mortai – si legge in un comunicato del ministero della Difesa azero, riportato dal Guardian. “di conseguenza, abbiamo subito perdite di personale e danni alle infrastrutture militari”.
Il governo azero ha accusato le forze armene di aver spostato armi e truppe nella zona di confine e aver avviato delle operazioni di intelligence per preparare l’attacco. Dall’altra parte, l’Armenia ha sostenuto di aver spostato le truppe per un’esercitazione e di aver risposto a una provocazione “su larga scala” da parte dell’Azerbaijan, alla quale avrebbero reagito “lanciando una risposta proporzionata”.
Dopo la notte di scontri, Yerevan ha chiesto il sostegno militare russo, in base all’accordo di cooperazione tra i due paesi, e ha comunicato di aver già fatto appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Così il primo ministro armeno Nikol Pashinyan che avrebbe sentito non solo il leader russo Vladimir Putin, ma anche il presidente francese Emmanuel Macron e il segretario di Stato degli Stati Uniti Antony Blinken per riferire sulla disputa.
L’enclave del Nagorno-Karabakh, un territorio separatista dell’Azerbaijan che viene sostenuto dall’Armenia in quanto abitato in gran parte da cittadini armeni e da cristiani (il cristianesimo è la religione prevalente in Armenia, mentre la popolazione azera è a maggioranza musulmana), ha dichiarato la propria indipendenza dall’Azerbaijan nel settembre del 1991, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nei decenni successivi la situazione è rimasta precaria e ci sono stati scontri continui, fino alla ripresa della guerra di due anni fa.
Il mancato riconoscimento da parte di Baku, la capitale azera, ha innescato quindi un conflitto militare che ha portato alla scissione de facto del Nagorno-Karabakh, ancora oggi in lotta per la propria autonomia.
Mosca è un alleato storico dell’Armenia, che fa parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, un’alleanza militare di sei Stati guidata dalla Russia. Tuttavia mantiene anche rapporti buoni con l’Azerbaijan, che le fornisce materie prime. Proprio per questo, il Cremlino è sempre stato un mediatore fondamentale tra le due parti e anche dopo la tregua del 2020, ha inviato migliaia di soldati per controllare l’ordine.
Ma c’è da aggiungere che alle rivendicazioni nazionaliste dei paesi coinvolti, oltre alle aspirazioni politiche e strategiche di potenze come la Russia, che sostiene l’Armenia, c’è la Turchia alleata dell’Azerbaijan, anch’essa confinante con la regione del Caucaso.
Come si affretta a riferire la Tass, le due ex colonie hanno concordato il cessate il fuoco nelle aree interessate: “Dopo le misure di risposta adottate dalle forze armate azere, le parti hanno concordato un cessate il fuoco dalle 09:00 ora locale. Allo stesso tempo, la parte armena ha violato questo accordo, ma dalle 09:15 è stato installato il cessate il fuoco“.
Il governo degli Stati Uniti ha chiesto l’immediata cessazione di tutte le ostilità militari tra i due Paesi e ha ricordato che a suo avviso “non esiste una soluzione militare per il conflitto“. In una dichiarazione, il segretario di Stato americano Antony Blinken si è detto “profondamente preoccupato” per le notizie di nuovi attacchi tra i due paesi, compresi gli attacchi alle enclavi civili e alle infrastrutture all’interno dell’Armenia“.
E anche Mosca ha subito chiesto di “dare prova di moderazione e rispettare un cessate il fuoco“. E non interviene. La mediazione sembra aver dato i suoi frutti, al momento.
Quel che è certo è che si profila un altro guaio per il Cremlino, una violenza riesplosa proprio nella fase più critica della guerra sul fronte russo in Ucraina.
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