Femminicidio: scarsa protezione alle vittime

Rapporto della commissione d’inchiesta del Senato sul fenomeno

GP

Queste cose le abbiamo (noi della redazione de lavocenews.it) denunciate con forza, talvolta sentendoci come l’uomo che grida nel deserto.

Ricorderete certamente, gentili lettrici e lettori, le grida di manzoniana memoria. Più grida venivano periodicamente emesse, più le pene crescevano, a dimostrazione del fallimento della precedente, più crescevano quei bravi, contro i quali erano indirizzate, che, al servizio dei potenti signorotti dell’epoca, divenivano di fatto intoccabili.

Inutile continuare a discutere sull’opportunità della legge sul femminicidio. Il problema poteva essere risolto con un’aggravante specifica, certamente in molto meno tempo e forse con più efficacia, ma cosa fatta capo ha, dunque, procediamo oltre.

Si legge nella relazione del Senato: “La Convenzione di Istanbul, che prescrive di rendere concreto il diritto delle vittime alla protezione, resta in larga parte ancora disattesa in Italia“. E conclude: “Serve molta più formazione e specializzazione per riconoscere e affrontare con efficacia la violenza contro le donne, sanzionarla, prevenire escalation, sostenere le donne che denunciano”. 

Parole pesanti quelle scritte dal legislatore. Parole però quanto mai opportune ma che temo non risolveranno un problema atavico. La prepotenza, la sopraffazione, la violenza affondano le loro radici nella convinzione del criminale di poterle mettere in atto impunemente.

Scopro l’acqua calda affermando che non è l’entità della pena a dissuadere chi sta per commettere un reato, ma la probabilità di essere scoperto o meno. Per farla semplice, occorre dimostrare al prepotente violento che le probabilità di farla franca sono poche o nulla. A quel punto la violenza è vinta, non diversamente.

Alle norme sul femminicidio è sempre poi mancata sul piano operativo regolamenti capaci di rendere quel bene che s’intendeva proteggere concretamente tutelato.

Sembrerà banale, ma mettere in qualsiasi posto delle forze dell’ordine una donna, particolarmente preparata, a raccogliere le denunce per violenza sarebbe il primo importante e concreto aiuto alle vittime e le spingerebbe a denunciare. La vittima della violenza deve superare la vergogna di raccontare quanto subito. Sembra assurdo che se ne vergogni la vittima e non il carnefice, ma purtroppo è così.

E poi non meno importante la protezione della vittima ed il costante monitoraggio della sua incolumità. Nella stragrande maggioranza dei casi la denuncia viene trasmessa a chi di dovere e le forze dell’ordine se ne lavano le mani, salvo a riscoprire la denuncia quando la vicenda ha avuto un epilogo drammatico.

Non posso che apprezzare le conclusioni a cui è giunto il Senato, ma temo che abbia fatto il lavoro a metà. Analisi dei mali, ottima diagnosi, ma la terapia qual’è? Chi deve prendere concrete iniziative di tutela? Credo che una raccomandazione al Viminale di più attenta prevenzione di quel crimine sia il minimo. Poi gli Enti locali potrebbero essere chiamati ad incentivare i servizi sociali, magari creando appositi nuclei specializzati.

Troppo? A me sembra il minimo indispensabile se vogliamo evitare di tornare alle inutili grida.

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