Fibrillano le coalizioni per il voto al Colle

Berlusconi boicotta il piano B e tra Pd e M5S solo il rinnovo di Mattarella riesce a trovarli d’accordo

Gianvito Pugliese

A dirla tutta sinceramente, mi spiace dover dare per una volta ragione a Matteo Renzi quando afferma che, per le elezioni al Colle, non valgono le regole di coalizione e che il voto segreto favorisce risultati imprevedibili, e che un’abile regia, riesce a sovvertire le indicazioni dei partiti. Mi spiace più del solito oggi, perché ieri ho avuto occasione di leggere il suo ultimo “enews”, L’apoteosi dell’autoincensamento, largamente diffuso tra i politicanti ed i leader in particolare, tanto da far pensare che si sia verificato un contagio, fortunatamente epidemico (contenuto all’Italia) e non pandemico. Per una volta il mondo è salvo.

Mio padre mi ripeteva: “Chi si loda s’imbroda”, Non credo serva chiarire il senso. Ma infastidisce, a dir poco, l’apertura della new: ” Un anno fa l’Italia non aveva futuro. Aver tolto Giuseppe Conte per sostituirlo con Mario Draghi ha decretato la salvezza del Paese. Negarlo è tecnicamente impossibile.” Apodittico, come di consueto, il senatore di Rignano torna sul luogo del delitto, come fanno inevitabilmente, i criminologi lo sanno, tutti i colpevoli di delitti. E torna per farsene vanto, per rammentarci le sue ben note capacità di tramare. I numeri della pandemia ci dicono inequivocabilmente che non la staffetta Conte-Draghi, ma la staffetta tra le maggioranze a sostegno dei due governi è stata la fossa delle Marianne che ci ha portato a questi numeri, che francamente terrorizzano. Ed a fronte di 126.888 nuovi contagi, i morti lasciamoli nella pace del Signore, le prime parole della new sono: “Si chiude il 2021 e noi lo facciamo con il sorriso“. Ma che ………. tieni da sorridere? E non aggiungo gli epiteti che mi sovvengono. L’editoriale del 29 “La Germania riduce drasticamente i contagi, noi sembra che abbiamo messo il lievito” affronta ed approfondisce il tema.

Torniamo al tema centrale. Da un lato, a fronte dell’apparente unità e serafica calma ostentata, il centrodestra non sta vivendo sonni tranquilli. Berlusconi ha posto la sua candidatura (ma non l’ha mai voluta ufficializzare). Meloni, a prescindere dalla sortita del Presidente “patriota”, quella candidatura l’ama come i guelfi amavano i ghibellini e viceversa. Lo ha fatto capire sempre e comunque. Capisce l’improponibilità dell’auto candidatosi. Salvini, per natura tranchant e logorroico in ogni occasione, tace. La mossa di Berlusconi sulla scacchiera politica ha infilato la coalizione in un cul de sac. Berlusconi non vuol sentire parlare di piano B, teme che il signor o la signora B possa tramare alle sue spalle aumentando i problemi che la sua candidatura registra. E’ chiaramente invisa ai cespugli del centrodestra, formati al 98% da esuli di Forza Italia, che non amano di certo l’ex padrone. In più la Meloni è stata chiarissima, vuole Berlusconi al Colle per ottenere subito le elezioni anticipate. Ora il partito più forte in Parlamento è quello di chi vuol stare lì fino all’ultimo giorno della legislatura, conscio che la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari lo condanna a tornare a casa senza appello. Motivo più che sufficiente per non votare Berlusconi. A prescindere dalla discutibilità del personaggio e della sua storia, anche e non solo giudiziaria, il leader (il padrone in realtà) di Forza Italia ha commesso una ingenuità da neofita, incredibile per uno della sua esperienza: candidarsi troppo presto. L’ideale per bruciarsi. Faccio fatica a dar ragione a chi ipotizza che la sua autocandidatura sia strumentale al fatto di rafforzare il consenso sul suo partito. In realtà dall’annuncio i sondaggi danno Forza Italia in crescita. Avessero ragione? D’altra parte se Salvini o Meloni dichiarano apertamente di non appoggiare la candidatura dell’alleato, la coalizione dell’armonia e della compattezza implode e si squaglia più velocemente della neve esposta al sol leone. Come ne usciranno? Quien sabe, direbbero gli spagnoli. Meglio non tradurre nell’italiano corrente.

Non sta certo meglio il centrosinistra. Lo scafato Enrico Letta, segretario nazionale del Pd, mentre propugnava la coalizione ampia, cioè aperta a nuovi contributi, allargando lo steccato del centrosinistra, rinviava a gennaio la discussione interna sul Colle. Ora che è arrivato il momento si capisce perché. i due principali interlocutori sembra che si troverebbero d’accordo solo su un’eventuale, quanto improbabile, rielezione di Sergio Mattarella. Per i resto qualunque candidato dell’uno fa storcere muso e naso all’altro. Leu e Sinistra italiana, sono in rispettosa attesa. Sanno che i loro numeri li fanno contare quanto il due di picche e, pur disponendo di animali di razza nel tessere orditi per candidati vincenti, uno per tutti Pierluigi Bersani, si sono dati, sembra, la consegna del silenzio. La romperanno? Certamente, ma solo quando la partita a scacchi volgerà verso una soluzione. Intanto se Pd e M5S non trovano accordo su uno o più candidati di alto profilo, altro che cul de sac, è una Waterloo.

Renzi, Calenda ed il resto della cosiddetta ala centrista sembrano in stand by. Renai, dopo essersi proposto al centrodestra come regista e non aver ottenuto il contratto di scrittura artistica, si è paralizzato. Ma è una paralisi temporanea, al tempo ricomincerà a guizzare. Calenda ha buttato lì il nome di Marta Cartabia, e lo ha fatto in contemporanea al momento in cui la Cartabia aveva suscitato le ire funeste dei giornalisti tutti e dei loro ordini professionali per il decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza.

Il tre febbraio Mattarella dovrebbe sloggiare dal Quirinale, non vorrei vederlo andar via, ma i miei desideri non è che non contano, semplicemente non esistono, come quelli analoghi della stragrande maggioranza del Paese. Ma ormai Paese e politica, si è capito sono come le rotaie dei binari, non s’incontrano mai.

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