Financial Time e la corsa al Quirinale

Il Quotidiano finanziario britannico ha dedicato un’analisi in prima pagina alla successione a Mattarella

Gianvito Pugliese

Chi si aspettava alla notizia di leggere, sull’autorevole testata inglese, anticipazioni ed ipotesi sui possibili candidati, rimarrà inevitabilmente deluso.

L’analisi appunta la propria attenzione unicamente sul candidato numero uno: Mario Draghi.

Il dilemma dell’Italia mentre Mario Draghi emerge come favorito per la presidenza. La prospettiva che l’ex capo della Bce si faccia da parte come primo ministro fa rischiare il ritorno dell’instabilità politica”. E’ questo il punto di partenza dell’analisi.

La prospettiva che Mario Draghi si dimetta da primo ministro italiano per assumere il ruolo di presidente minaccia di far piombare il paese nell’instabilità politica proprio mentre il governo intraprende ambiziose riforme strutturali e un piano di ripresa dal coronavirus sostenuto da quasi 200 miliardi di euro di fondi UE”. Un dato francamente incontrovertibile.

Il Financial Times riferendo ai suoi lettori dell’applauso prolungato della platea della prima della Scala a Sergio Mattarella, da una lettura molto particolare delle richieste di un suo bis alla Presidenza. Le interpreta, infatti, come un “segno di preoccupazione dell’establishment italiano“. Con tutto il rispetto per il FT, premesso che Mattarella è il politico più amato dagli italiani, forse in realtà l’unico amato, la spiegazione più logica ed attendibile è quella di un’invocazione a rimanere al Colle, perché lo amano e non credono che il suo successore, chiunque sia, possa essere alla sua altezza, per come ha gestito il mandato presidenziale, in tempi e circostanze impossibili per chiunque altro.

I giornali sono fatti dagli uomini che li scrivono, hanno al pari degli esseri umani una sorta di mentalità comune, che se da un lato è la linea editoriale, dall’altro riflette il luogo in cui nasce quotidianamente. Un inglese ha difficoltà a capire ed interpretare un fatto, come quell’applauso di sei minuti, che è la più classica delle manifestazioni della spontaneità degli italiani. A chi applaudiva e sapeva bene che Mattarella non avrebbe cambiato idea, importava solo di manifestare e far arrivare all’amato Mattarella il messaggio del suo affetto e della sua ammirazione. I retropensieri letti dagli analisti del Financial Time sono tipicamente frutto di mentalità fredda e razionale, tipicamente anglosassone, non viscerale, spontanea ed irrefrenabile come italiana. Non che un popolo sia superiore od inferiore all’altro. solo profondamente diversi, ed interpretare i gesti dell’uno attribuendogli la mentalità dell’altro porta a valutazioni errate.

Chiarito questo punto, l’articolo ricorda esattamente che la candidatura Draghi non è un fatto recente. E’ stata, da prima dell’incarico, ricevuto proprio da Mattarella di provare a formare il governo, quella di Mario Draghi la figura del maggiormente papabile alla successione. L’aver dovuto prendere in mano le redini del governo ha reso “più complicata una possibile transizione“. Se le elezioni anticipate non sarebbero necessariamente l’esito dell’elezione di Draghi al Quirinale, il FT riferisce che “funzionari e analisti ritengono che senza Draghi, è improbabile che il governo sopravviva nella sua forma attuale“.

Siamo in Italia alla vigilia dei momenti delle grandi decisioni ( e delle grandi liti fra i partiti). Incombono la riforma fiscale, quella del mercato del lavoro e delle pensioni, ed alla testata britannica un ministro, non meglio precisato, avrebbe dichiarato: “Draghi è l’unico che può tenere a freno questa situazione“. Intanto, secondo l’articolista, il lavoro dell’esecutivo è finalizzato a mettere in sicurezza il Pnrr a prescindere da eventuali cambiamenti dell’esecutivo stesso.

Dappoichè “entrambe le potenziali coalizioni”, centrodestra e centrosinistra, “hanno la possibilità di superare la soglia del 40% richiesta per formare un governo, secondo i dati di YouTrend. Ciò aumenta l’attrattiva delle elezioni anticipate per entrambi i campi”. Anche qui mi permetto di osservare che l’analisi sembra non tenere conto che della riduzione del numero di parlamentari e della certezza matematica, per molti degli attuali componenti di Camera e Senato, di non essere rieletti. Forse neanche ricandidati. I leader che volessero davvero il voto anticipato si troverebbero a dover fare i conti con la rivolta dei peones, cioè quei parlamentari senza reale potere, chiamati sempre e solo ad alzare o meno la mano a comando, pardon a schiacciare il pulsante elettronico della votazione secondo indicazioni.

Ricordato che Silvio Berlusconi è nuovamente “sceso in campo”, questa volta per il Colle, anziché Palazzo Chigi, e che la Lega potrebbe essere, invece, interessata ad avere Draghi al Quirinale, l’analisi prosegue: “a parte Draghi, ci sono pochi potenziali candidati in grado di ottenere il necessario sostegno di due terzi in Parlamento”. I due terzi per l’analista non sarebbero utili solo nelle prime tre votazioni, ma una larghissima maggioranza è indispensabile anche oltre, dato che una elezione non condivisa da parte del centrodestra o del centrosinistra, potrebbe “provocare disordini politici anche se Draghi rimanesse primo ministro“.

Ma, conclude l’analisi, Draghi non è eterno “politicamente” e prima o poi ci sarà un altro Presidente del Consiglio: “Alla fine i partiti dovranno assumere la gestione del piano Next Generation EU, che hanno votato in parlamento” e “anche se Draghi resta presidente del Consiglio, è solo per un altro anno, non per sempre”.  

L’attenzione che un quotidiano economico inglese tra i più autorevoli al mondo riserva alle prossime elezioni del Capo dello Stato in Italia non può che essere letta in chiave dell’interesse e dell’attenzione che suscita nel mondo economico la figura di Mario Draghi e questo significa che, se da un lato il Paese deve tantissimo all’ex Presidente della Bce, dall’altro deve anche pensare a riconquistare, in Europa anzitutto, ma poi anche oltre, quell’autorevolezza che il Paese ha perduto negli anni, a causa di decenni in cui la politica ha espresso solo figure mediocri che hanno solo gettato discredito. Figure, purtroppo, ancora fin troppo presenti nella politica, dal momento che la politica italiana è particolare ed unica. Il leader che perde le elezioni non torma a casa, come nel resto del mondo avviene, rimane lì e magari cambia il nome del suo partito o se ne fonda uno nuovo.

E questa, cari lettori, è purtroppo una, se non la grande tragedia targata Italia.

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