Giorno 117
Ancora sotto la lente d’ingrandimento il Forum economico di San Pietroburgo con il discorso del kazaco Tokayev ed il video del cinese Jinping (in copertina) e le relative implicazioni
Orio Giorgio Stirpe
Ieri ci siamo soffermati su un passaggio del discorso ufficiale di Vladimir Putin al Congresso di San Pietroburgo; un “congresso internazionale” a cui però hanno partecipato quasi esclusivamente personalità locali e del cosiddetto “mondo russo” (a parte qualche minion italiano, ma stendiamo un velo pietoso per via dell’irrilevanza della cosa). Fra i partecipanti del “mondo russo”, cioè di quelle Nazioni nate dalla frantumazione dell’Unione Sovietica e con una sostanziale popolazione di etnia russa, c’era il nuovo Presidente del Kazakistan, che ha tenuto a sua volta un discorso passato forse un po’ troppo sotto traccia ma che, personalmente, trovo estremamente interessante.
Il Kazahstan è la più grande delle ex Repubbliche dell’URSS dopo la Russia per superficie, e come la Russia è estremamente ricca in carburanti fossili; ha quasi un terzo di popolazione di etnia russa, l’intera metà settentrionale del suo confine è con la Russia, ed è reduce da una grave crisi interna risolta sei mesi fa con l’intervento delle truppe russe.
Insomma: si tratta di una Nazione “allineata” con la Russia, membro del CSTO (la “NATO russa”) e fra l’altro ospita sul suo territorio le installazioni spaziali della Federazione Russa, la famosa Baikonur.
Bene: il Presidente del Kazakhstan, interrogato in merito alle sanzioni occidentali alla Russia per la guerra in Ucraina, ha espresso simpatia per tutti; poi però ha aggiunto che “le sanzioni sono sanzioni”, e che il suo Paese si guarderà bene dal violarle… Per aggiungere di sostenere l’integrità territoriale di tutti, compresa quella dell’Ucraina.
Insomma: la seconda Nazione del mondo per numero di cittadini russi residenti, partecipa al sistema di sanzioni internazionali contro la Russia; e il suo Presidente lo riafferma senza mezzi termini in un’intervista rilasciata di persona in territorio russo.
Attenzione: non sono qui a tessere le lodi democratiche del Kazakhstan. Non si tratta affatto di una democrazia liberale da prendere ad esempio. Il punto è un altro.
Pur avendo vissuto in prima persona appena sei mesi fa l’esperienza dell’intervento militare russo, questo autocrate minore si è sentito abbastanza sicuro di sé, prima nel rifiutare di partecipare direttamente all’invasione dell’Ucraina come richiesto dal Comando russo del CSTO, poi ha aderito al regime delle sanzioni occidentali riconoscendo, esplicitamente, il diritto dell’Ucraina alla propria integrità territoriale, e infine ha anche l’ardire di venirlo a dire personalmente a San Pietroburgo in faccia a Putin.
Qui non si tratta di rimarcare il coraggio personale di un autocrate che evidentemente non teme di fare la fine di altri alleati della Russia non sufficientemente allineati del passato: qui si tratta di un autocrate che non ha più timore della potenza militare di un vicino pur notoriamente portato alle “soluzioni forti”.
Si tratta di un “insider” del “mondo russo” che ritiene che la Russia non abbia più una capacità di coercizione militare nei suoi confronti; una capacità che sussisteva solo sei mesi prima, come dimostrato dal suo intervento ad Astana.
In molti hanno commentato i miei post caustici sulla caduta del prestigio militare russo dopo il fallimento dell’invasione dell’Ucraina; secondo diversi di loro, il mio sarebbe solo “wishful thinking”: ragionamento dettato solo dai miei desideri, a loro volta ovviamente originati dalla mia “russofobia”. Perché secondo loro, naturalmente, la Russia era e rimane una Superpotenza; non ha ancora schiacciato l’Ucraina solo perché si muove lentamente per evitare danni collaterali a differenza degli americani, la ritirata da Kyiv è dovuta al fatto che si trattava di una semplice diversione, mentre l’avanzata nel Donbass è continua e inarrestabile…
Mentre l’avanzata inarrestabile fra le macerie di Severodonetsk continua anche oggi (ma da quanto dura? Non è mica New York…), quello che, insieme alla Bielorussia, dovrebbe essere il più stretto alleato della Russia, non solo si sfila rifiutandosi di prendere posizione contro l’Ucraina, ma aderisce perfino al sistema di sanzioni occidentali.
Anzi, per unire la beffa al danno, conferma anche l’intenzione di sostituire il cirillico con il latino quale alfabeto ufficiale del paese. Un affronto al “mondo russo”.
Il Kazakhstan è una potenza economica, non certo militare. Eppure, a dispetto dei precedenti storici, non ha paura di offendere l’orso a casa sua, per meglio badare ai propri interessi.
Considerato il modo di reagire di Putin nei confronti di chi offende i suoi principi – Ucraina docet – questo significa una cosa sola: il Kazakhstan, pur ospitando oltre un terzo di etnia russa sul suo territorio ed avendo solo un piccolo esercito, non teme una rappresaglia militare russa, né immediata, né a medio termine.
Dal punto di vista strategico, si tratta di una conferma fondamentale di perdita di prestigio militare: la Russia non fa più paura neppure a chi la conosce molto bene.
A parte i buffoni entusiasti che replicherebbero con un “Vladimir dovrebbe tirargli una bella testata nucleare sulla capitale”, questo dovrebbe dare da pensare. Non si tratta più di “wishful thinking”: la Russia ha subito tali perdite e dimostrato tale inconsistenza militare, da non proiettare più deterrenza militare offensiva oltre i suoi stessi confini.
La posizione strategica russa nel mondo è da decenni sostenuta da due pilastri fondamentali: uno sono le risorse energetiche esportabili relativamente a buon mercato, che garantiscono una leva economica; l’altra sono le Forze Armate, considerate finora le seconde al mondo per capacità convenzionale.
Le sanzioni occidentali hanno azzoppato il potere economico russo, poiché ora la Russia si trova nella scomoda posizione di doversi cercare i clienti e di vendere al loro prezzo anziché il contrario (in sostanza deve svendere i suoi prodotti al prezzo deciso dalla Cina). La guerra in Ucraina ha eroso il suo potere militare, risucchiandolo completamente all’interno di un conflitto regionale che non riesce a vincere e dal quale non può più sottrarsi, lasciandola nell’impossibilità di sostenere una qualsiasi altra emergenza: perfino i “peacekeepers” in Armenia e in Siria sono stati ritirati, abbandonando a sé stessi alleati di lungo tempo.
La capacità di proiezione militare della Russia lungo il suo confine non esiste più… Per la prima volta da tempo immemorabile.
Il cambio di situazione è drastico.
Un altro discorso importante a San Pietroburgo è stato quello di Xi Jinping. L’importanza del discorso del leader cinese non consiste nel suo contenuto, ma nel suo formato: a differenza del collega kazako, Xi non si è recato di persona al convegno, ma ha mandato un messaggio registrato.
Si fa un gran parlare dell’”Alleanza” russo-cinese. Ma non c’è alcuna alleanza. C’è un rapporto strategico dettato dal comune interesse, che non è formalizzato in alcun modo e non prevede alcun impegno reciproco. Un rapporto in cui Putin ha sempre cercato di apparire quale l’azionista di maggioranza, irritando Xi in maniera crescente fino al momento dell’invasione dell’Ucraina, di cui l’”alleato” è stato informato solo all’ultimissimo momento.
Con il regime delle sanzioni occidentali che hanno messo la Cina nelle condizioni di dettare il prezzo delle esportazioni russe e la scomparsa della capacità di proiezione militare convenzionale russa, ormai la Cina ha bisogno di una cosa sola dal suo “alleato”: la protezione del suo “ombrello” nucleare per il proprio confronto strategico con l’America.
Per la Cina è come disporre di una “triade” strategica (missili basati a terra, su sommergibili e su bombardieri) gratis: gentilmente fornita da una Russia disperatamente bisognosa di “alleati”, e per questo costretta a svendere le proprie risorse non rinnovabili e il proprio supporto strategico.
Nella situazione attuale, a parte i suoi minions, l’orso Vladimiro non ha più alleati; ha solo clienti, che per di più acquistano sottocosto.
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