Giorno 219
Dagli attentati al North Stream 1 & 2 all’opzione nucleare minacciata da Putin e compagnia cantante dell’Orso Vladimiro.
Orio Giorgio Stirpe
Gli attentati al North Stream 1 & 2 non hanno una grande valenza militare: in realtà, visto che erano non funzionanti, non ne hanno nemmeno una economica, ma solo dimostrativa.
E gli attentati dimostrativi sono di stampo mafioso, un po’ come il regime di Putin, che ama colpire i propri oppositori in modo “artistico” (come con il Polonio) in modo da incutere più timore possibile.
Non sappiamo con certezza chi sia l’autore dell’attacco; però tempistiche e modalità sono quelle tipiche delle azioni ibride russe: non a caso l’attacco è stato “agganciato” in tempo zero a un discorso improvvido di Biden di prima del conflitto, in modo da costruire una narrazione plausibile.
Naturalmente basta riflettere in maniera non del tutto superficiale per vedere che se davvero gli americani avessero voluto “punire” gli europei per la loro dipendenza dal gas russo, avrebbero colpito il gasdotto quando funzionava e non dopo che era stato chiuso. Inoltre, lo avrebbero fatto in una zona meno facile da investigare per le autorità europee, in modo da evitare una situazione imbarazzante: per esempio in acque russe, in modo da colpire l’opinione pubblica e da umiliare il nemico… Infine, non sarebbe stato difficile effettuare il blocco con metodi informatici, viste le capacità elettroniche della CIA.
Naturalmente il solo pensare che la responsabilità sia americana è ridicolo: proprio il discorso di Biden rende l’idea improponibile, e comunque l’inchiesta in atto da parte delle Autorità danesi e svedesi fornirà chiarezza in breve tempo, e un’eventuale responsabilità americana avrebbe conseguenze devastanti per la solidarietà atlantica, a fronte di un vantaggio minimo per Washington.
L’abitudine di ragionare in base al “cui prodest” indotta da alcuni analisti di origine marxista ossessionati dal primato dell’economia è abilmente sfruttata da anni dalla propaganda del Cremlino. Molto più utile, quando si tratta di geopolitica e strategia e non di criminalità, è ragionare in base agli effetti: quale effetto ha avuto il duplice attentato?
Non ha ridotto i flussi del gas, visto che le linee erano chiuse e non è (era) prevedibile una loro riapertura, però ha determinato una breve impennata del prezzo. Non ha fatto un danno alla Russia (l’investimento era perduto in ogni caso visti i rapporti), però ha generato chiacchiere nell’opinione pubblica e sollevato sospetti fra alleati: esattamente gli scopi dell’azione della propaganda russa.
Infine, c’è un aspetto meno noto al pubblico, che è la riconosciuta capacità russa di attaccare i cavi sottomarini, soprattutto quelli destinati alle comunicazioni via internet: in caso di conflitto globale, con la probabile interdizione delle comunicazioni via satellite in caso di guerra strategica, tali comunicazioni sarebbero vitali per la sopravvivenza dell’Occidente. I russi hanno sviluppato in particolare droni sottomarini capaci di compiere azioni di questo tipo, e perfino condotto esperimenti con cetacei-killer. Con tali mezzi colpire un gasdotto è estremamente semplice anche in acque molto sorvegliate… E dimostrare questa capacità con un esempio pratico è esattamente il tipo di intimidazione mafiosa cui Putin ama ricorrere.
Ribadisco che la certezza non è stata raggiunta e che le inchieste sono in atto, ma ad un analista appare chiaro che la responsabilità possa essere attribuita con un ragionevole grado di sicurezza.
Se attribuiamo la responsabilità alla Russia, diventa particolarmente interessante osservare i punti esatti dove gli attentati hanno avuto luogo: nelle immediate prossimità delle acque territoriali di Danimarca e Svezia, ma immediatamente al di fuori di esse.
Proprio come se gli autori avessero voluto massimizzare l’effetto intimidatorio senza però attraversare quella linea che avrebbe attivato il famoso “Articolo 5” del Trattato Atlantico.
Cosa ci dice questo?
Ci dice che Putin sta cercando disperatamente di forzare la mano il più possibile, ma che, nel contempo, vuole assolutamente evitare un intervento diretto della NATO, perché sa che questo darebbe il colpo di grazia al suo malandato esercito.
Un intervento NATO per salvare l’Ucraina dal baratro nel momento in cui la Russia fosse stata sul punto di vincere avrebbe richiesto un’azione occidentale a tutto campo, che avrebbe non solo portato a perdite significative da entrambe le parti, ma anche ad un coinvolgimento diretto del territorio della Federazione Russa, elevando il rischio di escalation strategica a livelli non solo credibili ma anche probabili.
Al contrario, un intervento NATO a questo punto, con l’esercito russo che ha perduto l’iniziativa ed è costretto alla difensiva da quello ucraino, assumerebbe invece una fisionomia umiliante per la Russia, in cui gli occidentali potrebbero facilmente infliggere danni gravissimi e decisivi senza dover necessariamente colpire in profondità il territorio russo.
Per assurdo questo rende l’idea di un ingresso in guerra della NATO ancora meno desiderabile, in quanto lungi dall’attivare il patriottismo russo in stile 1941, porrebbe fine alle capacità operative russe in Ucraina in un tempo dolorosamente breve.
Ho cercato disperatamente di evitare di discutere di opzione nucleare sui miei articoli, in quanto oltre a considerarla del tutto irrealistica, ritengo che la propaganda russa che vi fa cenno sia rivolta esattamente allo scopo di farne discutere in Occidente, minando il morale dell’opinione pubblica europea… Anche questo in una prospettiva di intimidazione mafiosa.
Vi accenno però qui proprio per indicare che la precisione nella scelta del punto per gli attentati indica proprio una precisa volontà di evitare l’intervento occidentale: una precisione che non sarebbe necessaria se l’opzione nucleare fosse realmente sul tavolo.
Non ripeterò ancora che l’opzione NON è sul tavolo in quanto riceverebbe una risposta immediata, proporzionale e automatica, e che chi è intorno a Putin intende continuare a godersi i propri privilegi e le proprie famiglie senza sacrificarli all’orgoglio narcisista del dittatore; ma insisterò su un altro punto.
L’impiego di armi nucleari tattiche non è affatto decisivo di per sé: può esserlo se esiste un bersaglio tale per cui colpirlo ribalterebbe le sorti del conflitto senza danneggiare troppo chi lo effettua.
Purtroppo per Putin, il fronte è vicinissimo al territorio russo e le forze sono a contatto ovunque, per cui attacchi nucleari in massa oppure con testate troppo potenti danneggerebbero i russi tanto quanto gli ucraini indipendentemente dalla successiva reazione occidentale (e pertanto i generali russi rifiuterebbero di effettuarli). Attacchi “chirurgici” contro bersagli specifici invece potrebbero avere un effetto sia pure limitato… Ma da tempo gli ucraini pianificano la loro manovra proprio per evitare di offrire bersagli di questo genere: non esistono punti nelle retrovie ucraine che valgano il rischio di un attacco nucleare. Distruggere un singolo battaglione o un singolo deposito logistico per gli HIMARS non varrebbe il rischio/certezza di una ritorsione NATO.
Si è fatto un gran parlare di una ipotetica possibile “risposta convenzionale” NATO ad un attacco nucleare russo qualora questo risultasse abbastanza ridotto.
Questo, ovviamente, rientra nel novero delle possibilità teoriche. Ma a parte che tale risposta richiederebbe ovviamente del tempo e quindi non risulterebbe affatto “immediata”, danneggiando quindi il principio della deterrenza a discapito di tutti, una risposta del genere infliggerebbe, comunque, molti più danni ai russi di quelli che subirebbero gli ucraini per effetto di una testata dimostrativa a basso potenziale (potenziale abbastanza basso – appunto – da non generare una risposta nucleare da parte occidentale).
Insomma: anche una risposta di questo tipo sarebbe tale da rendere non conveniente né ragionevole un’escalation nucleare da parte russa.
Ultima considerazione, e poi non tornerò più sull’argomento: l’esercito russo non è più quello di febbraio: ha subito perdite terribili e una metamorfosi che lo ha trasformato in un insieme di malconce unità scelte, di milizie irregolari e di reparti mobilitati, in larga parte privi dell’equipaggiamento per combattere in ambito nucleare. Pertanto un’escalation nucleare sancirebbe la fine dell’esercito russo prima ancora di quello ucraino, che per assurdo a questo punto è più preparato ad affrontarla.
Non esiste una seria opzione nucleare sul tavolo dell’orso Vladimiro. Lui potrà anche sognarla, ma nessun generale russo lo seguirebbe nelle sue fantasie.
Per seguirci su Facebook mettete il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivetevi al gruppo lavocenews.it. Grazie.