Giorno 791

Il fulcro della situazione in Ucraina è la disponibilità di armi ed ora c’è il si da Capitol Hill

Orio Giorgio Stirpe

Bene, siamo al dunque: abbiamo finalmente un evento che altera una situazione ferma da mesi, e vale la pena di tornare a discutere di operazioni militari.

Il motivo per cui ho tanto diradato i miei interventi, era la scarsità di argomenti di cui parlare, visto che io non ho ambizioni giornalistiche o tantomeno politiche, per cui non mi occorre “fare presenza”. Sono almeno quattro mesi che la situazione militare è stagnante, e quindi offre poco spazio a commenti tecnici; naturalmente una situazione stagnante in guerra non significa che non ci siano combattimenti, bombardamenti, dramma e tragedie. Ma a descrivere l’orrore della guerra ci pensano i reporter dal fronte: quei pochi che effettivamente ci vanno, e quei tanti che amano commentare in modo più o meno banale le immagini che trovano sulla rete. Chi deve commentare gli aspetti tecnici non ama ripetere sempre le stesse cose, e per almeno quattro mesi non si poteva fare altro che ribadire argomenti già trattati: ucraini in sofferenza da carenza di munizioni per artiglieria terrestre e contraerea, russi con ampia disponibilità di fanterie finalmente addestrate e equipaggiate almeno a livello basico, con sufficiente supporto di fuoco a massa ma senza capacità di penetrazione, e conseguentemente avanzate esasperatamente lente ma costanti, pagate ad un prezzo esorbitante che però la leadership russa appariva disposta a pagare.

Questo scenario, ripetuto giorno per giorno, per mesi… Con gli aiuti americani bloccati al Congresso.

Aiuti americani, si badi bene, che sono fondamentali per la loro natura, più che per la quantità. Perché se misuriamo in termini finanziari, gli aiuti europei all’Ucraina superano di molto quelli americani; però il sostegno europeo è sostanzialmente economico, e i cannoni, come già detto, non sparano contante: sparano munizioni, che devono essere prodotte e consegnate. L’Europa non ne dispone quasi per niente, e deve produrle oppure reperirle sul mercato, dove ormai non ce ne sono praticamente più; quindi il sostegno europeo è a lungo termine, mentre quello che serviva da mesi era un aiuto immediato. Munizioni che possano essere sparate immediatamente: e quelle le hanno solo gli americani nei loro depositi.

Il blocco del Congresso che ha impedito le consegne per sei mesi è il massimo trionfo della guerra ibrida russa, che influenzando la politica interna americana ha creato una “finestra di opportunità” sul campo quale francamente io non mi sarei mai aspettato: un vero e proprio “cigno nero”, che ha consentito ai russi non solo di riprendere l’iniziativa, ma anche di mantenerla e di concretizzarla con una serie di successi tattici privi o quasi di valore operativo ma comunque dolorosi e spendibili sul piano della propaganda.

I progressi russi sul terreno sono stati reali: nel settore centrale del Donbas, in prossimità del terminale ferroviario di Donetsk (che ricordiamo essere l’unico in grado di supportare logisticamente operazioni offensive prolungate da parte russa), gli invasori sono avanzati di qualche decina di chilometri in direzione dell’unico obiettivo operativo significativo teoricamente alla loro portata e di cui parliamo ormai da due anni: Kramatorsk.

L’avvicinamento a tale obiettivo però non è particolarmente significativo sulla scala del Teatro ucraino, dove le distanze si misurano sulle centinaia di chilometri e non sulle decine.

Ormai ho rinunciato a cercare di convincere l’opinione pubblica che misurare l’andamento delle operazioni in base ai movimenti minimi del fronte sia fuorviante in una guerra di attrito dove lo scopo dei combattimenti non è prendere un villaggio o una collina, ma piuttosto logorare l’avversario riducendone le capacità e le risorse per avvicinarlo al collasso, preservando nel contempo il più possibile capacità e risorse proprie. Purtroppo però una informazione pubblica tesa a produrre titoli drammatici, tende a esaltare la percezione di ciò che appare dinamico, anche se in realtà è praticamente statico, e questo porta a drammatizzare la situazione.

Il blocco al Congresso ha avuto poi un effetto ulteriore: nel tentativo di superarlo, anche i sostenitori dell’Ucraina hanno cominciato a enfatizzare i successi russi, cercando di creare una sensazione di urgenza e di disastro imminente, e così per assurdo lo scenario prospettato dai filo-ucraini è andato a sommarsi a quello propagandato dai filo-russi, validandolo agli occhi dell’opinione pubblica.

Di qui, l’immagine di una situazione catastrofica e di una Russia sull’orlo della vittoria.

La situazione è ben diversa.

La crisi del munizionamento, per quanto provvisoria e dovuta a cause contingenti da vero e proprio “cigno nero”, ha posto per sei mesi i russi nella migliore condizione operativa possibile, e gli ucraini nella peggiore. Eppure, proprio nel loro momento di massima forza relativa, i russi non hanno ottenuto alcun successo operativo.

Non solo: il loro tasso di perdite è tornato ad essere estremamente alto, e continua ad aumentare nel momento in cui vedono la “finestra” che si sta chiudendo, per cui tendono ad accelerare la spinta nel tentativo di massimizzare le ultime opportunità.

Ci aspettano giorni particolarmente difficili, perché la pressione aumenterà fino al massimo, finché l’arrivo del materiale americano darà agli ucraini la potenza di fuoco necessaria per spezzare la spinta offensiva nemica, elevando le perdite degli attaccanti oltre la soglia di sopportazione.

Soglia che è estremamente alta, va detto. Nessun esercito occidentale tollererebbe niente di simile, e effettivamente tanto gli Stati Maggiori occidentali che quello ucraino (e pure io) sono stati sorpresi dal mancato crollo del morale russo di fronte alle perdite subite.

Ora, la produzione bellica russa si avvicina al suo picco, e la disponibilità di mezzi è al massimo. Questa disponibilità però si basa sul consumo delle riserve di magazzino molto più che sulla produzione di materiale nuovo; e il consumo delle riserve aumenta in maniera progressiva man mano che si scava: prima ogni tre carri se ne ricavavano due utilizzabili cannibalizzando il terzo, poi la proporzione è passata a due per uno, e adesso da tre se ne ricava solo uno, e di tipo sempre più obsoleto. Se ogni mese i russi schierano cento carri armati in più, di questi venti sono nuovi di fabbrica, e ottanta recuperati da magazzini sempre più scarsi di materiale decente; e quegli ottanta sono ogni mese più antiquati e più costosi in termini di numero di rottami da cannibalizzare… E anche i rottami ormai cominciano a scarseggiare.

Anche le perdite umane sono pesantissime. Qui il calcolo è molto più difficile, ma è un fatto che se da una parte i soldati ai russi non sembrano mancare, è anche vero che aumenta il numero dei non-russi arruolati in maniera più o meno coatta. Se la disponibilità fosse così ampia come la propaganda russa vorrebbe far credere, che bisogno ci sarebbe di arruolare cittadini indiani attirati con il miraggio di un lavoro ben pagato (non lo dico io, lo dice il governo indiano membro dei BRICS)?

La Russia ha effettuato uno sforzo erculeo in questi mesi di “finestra di opportunità”, pagando un prezzo altissimo per guadagni minimi che NON l’hanno avvicinata alla vittoria ma hanno consumato risorse non rinnovabili in termini sia umani che di materiale immagazzinato negli ultimi ottant’anni. La finestra ancora non è chiusa, e assisteremo nelle prossime settimane ad uno sforzo supremo ancora più doloroso per entrambe le parti in campo.

La finestra però si chiude, e rapidamente. Ancora una volta l’esercito russo si appresta a culminare dopo aver divorato parte di sé stesso.

Le armi e soprattutto le munizioni americane stanno arrivando. Cosa comporteranno?

Al prossimo pezzo…

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