Grosso guaio a Palazzo Chigi

Oggi giurano nelle mani del Capo dello Stato fedeltà alla Costituzione i ministri della XIX legislatura che fanno parte del Governo Meloni.

Gianvito Pugliese

Oggi col giuramento dinanzi al Capo dello Stato, pronunciando la formula di rito: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione” acquista ufficialità il Governo Meloni, che apre -in quanto esecutivo- la XIX legislatura.

Fermo restando che, così come ha fatto il “gambizzato” Mario Draghi, non possiamo che augurarci che Meloni e compagni sappiano affrontare e risolvere gli enormi problemi che il Paese sta attraversando: la pandemia che è tornata a dilagare (ieri oltre 35mila nuovi contagi diagnosticati, e sappiamo tutti -anche senza Cartabellotta-, che sono mediamente solo un terzo degli effettivi casi esplosi), la guerra ibrida dichiarata da Putin all’occidente, di cui l’invasione dell’Ucraina, col conseguente massacro e deportazioni delle popolazioni civili degli sfortunatissimi ucraini, è solo la punta dell’Iceberg, il caro energia (gas, luce, carburante esplosi – e bene ricordarlo agli smemorati- già a fine 2021, quando mancavano oltre due mesi da quel maledetto 24 febbraio 2022, una data che rimarrà nella storia, al pari dell’11 settembre del 2001. Senza contare l’inflazione ed il conseguente aumento dei tassi che per un Paese con il debito pubblico come il nostro, pari a circa il 150% del Pil (Prodotto interno lordo). Quest’ultimo è “pari alla somma dei beni e dei servizi finali prodotti da un paese in un dato periodo di tempo. Si dice interno perché si riferisce a quello che viene prodotto nel territorio del paese, sia da imprese nazionali sia da imprese estere“. Quindi non si riferisce a utili, su cui si pagheranno tasse ed imposte, ma al valore del prodotto nazionale, spese di produzione comprese. Il rapporto debito reddito prodotto è davvero impressionante. Non si sa quante generazioni dovranno fare immani sacrifici per colmarlo. E con l’inflazione la disoccupazione, che non si risolve certamente facendo altro debito pubblico, come un partito di governo propugna a spada tratta. Tanto poi loro non pagano mai, ma noi poveri italiani sì, certo.

Tutte cose, e se andiamo nei tettagli possiamo scrivere la divina commedia, da far tremare i polsi a chiunque. Auguro, insieme alla mia redazione ed ai miei lettori, ogni bene a Giorgia Meloni, ma -francamente- non vorrei stare al posto suo.

Altri piccoli dettagli. A conti fatti per effetto l’alta astensione verificatasi, che significa sfiducia o disgusto verso la politica dei politicanti in giro, e -sarò distratto- ma non ho sentito nessun partito, fare una seria riflessione in proposito, il 43,8% di consenso ottenuto dal centrodestra alle elezioni politiche 2022 di fatto ammonta a qualcosa in meno del 29%. Qualche politicante dall’altro lato politico concluderebbe che “hanno oltre il 71% del Paese contro”. E’ un’inesattezza: contro più o meno il 56,2%, cioè la percentuale di voti totalizzati il 26 settembre scorso dalle attuali opposizioni, mentre gli astenuti 37,06 alla Camera e 36,10 al Senato, sono “non a favore”, che è diverso da contro.

Ed ancor meno tranquillizzante è il fatto che le opposizioni, che hanno perso le elezioni per non aver saputo far fronte unico, nonostante fossero obbligati a coalizzarsi stante una legge elettorale vigente, che il prof. Gianfranco Pasquino ha definito la “peggiore mai esistita”, con buona pace del duo Rosato-Renzi, il primo firmatario del Rosatellum ed il suo ispiratore e suggeritore. L’eterna storia della sinistra: dividersi, vien da dire “per non governare”. Molti “cespuglietti” effettivamente trovano più redditizio e facile protestare, piuttosto che costruire faticosamente. Meno tranquillizzante, scrivevo, perché nei momenti che verranno certamente, in cui ci sarà bisogna di coesione nazionale, come li metti insieme costoro che hanno fatto prevalere l’odio e le divisioni interne alla necessità di non consegnare il Paese alla destra “tanto odiata e vissuta -da sinistra- come una catastrofe nazionale”?

E se tutto ciò non bastasse, fin dalle trattative si è capito in quale clima dovrà operare la Meloni. Berlusconi non ha fatto a Mattarella il nome della Meloni come candidata Presidente del Consiglio (in Italia in premier semplicemente non esiste, così come non esiste il nucleare sicuro di quinta generazione, proposto e voluto in campagna elettorale da un leader dell’attuale maggioranza per la semplice ragione che la V generazione non esiste). Non appena arriveranno al pettine del Consiglio dei Ministri i provvedimenti che toccano gli interessi delle categorie di riferimento della Lega o di Forza Italia, i due bisseranno quanto fatto con Draghi: “o mi dai, anche se non puoi, o cadi”. E la Meloni non s’illuda di essere al sicuro dagli strali del gatto e la volpe. E’ una pia illusione quella “che a me non lo possono fare”, possono e lo faranno se conviene loro e la loro convenienza non coincide mai con l’interesse del Paese.

Un Paese in cui può accadere che il leader politico che riscuote il massimo consenso degli Italiani pari al 67,91% possa essere “gambizzato” da una congiura di palazzo, che vede il primo protagonista Giuseppe Conte premiato dall’elettorato che dal 10% porta i suoi pentastellati al 15,4 nelle urne e gli altri due killer politici (Berlusconi e Salvini) premiati indirettamente col consenso all’alleato Fratelli d’Italia, che produce l’effetto di rendere la coppia determinante per la tenuta del nuovo governo.

Certo in Inghiltetta la neo-premier Liz Truss, che sbaglia e abbattendo le tasse, fa crollare la borsa di Londra, vede i suoi conservatori, sulla spianta del popolo, provvedere a sostituirla dopo appena 44 giorni al timone. In Italia quando tutto va male si cambiano i nomi dei partiti ed i leader rimangono in sella più potenti che mai.

C’è poco da fare, siamo un popolo di smemorati e la storia non perdona chi ignora i suoi insegnamenti ed avvertimenti. Spero che questa analisi sia sbagliata e che aver parafrasato nel titolo, il film del 1986 “Grosso guaio a Chinatown”, diretto da John Carpenter, sia un’inutile esagerazione, ma troppe volte come Cassandra, mi è capitato di aver ragione e qui mi sembra che il ragionamento sia conseguenziale e a stretto fil di logia. Poi, chi vivrà vedrà.

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