Hater e complottista
Due facce della stessa medaglia, modi differenti di esternare un disagio verso qualcuno o qualcosa.
Gianvito Pugliese
Lo so perfettamente, questo editoriale non mi arrecherà troppi consensi, anzi. Siccome, fortunatamente per me e per Voi, non devo candidarmi ad alcunché, nun me passa manco pà cap, direbbero a Napoli, del consenso a buon mercato, che un prezzo lo ha ed è quello della rinunzia alla coerenza e della negazione delle proprie idee, giuste o sbagliate che siano.
Anticipo, come già fatto nell’occhiello, le conclusioni: hater e complottismo, due modi di esprimere il medesimo disagio di fronte a qualcosa che, a ragione o torto, non ci tranquillizza.
Non occorre essere né sociologi, né psicologi, per sapere che certe reazioni violente, fortunatamente, solo verbali – ma che talvolta istigano squilibrati a forme criminali – che oggi hanno superato, ancora una volta, la soglia di tolleranza, altro non sono che il frutto della paura, più o meno inconscia, che un fatto, un evento, un personaggio, suscitano in alcuni di noi.
I “leoni da tastiera” o haters, il più delle volte coraggiosamente nascosti dietro l’anonimato di un nick name ed una triangolazione del segnale, mirabilmente dipinti dall’ironia di Crozza, hanno accolto il ritorno in Patria di Silvia Romano con una ridda d’insulti, minacce, affermazioni diffamatorie, se non calunniose, che, vorrei poter scrivere “non ha precedenti”, ma purtroppo li ha, e non pochi. Si scarica sulla malcapitata di turno tutto il rancore verso la società di questi derelitti, umanamente falliti, prima che socialmente e lavorativamente.
Piaccia o meno, sono, al pari di buona parte dei criminali comuni, anche loro frutto del fallimento di un modello di società, incapace di trasmettere valori diversi dal politeismo degli dei danaro-potere-sopraffazione individuale o collettiva.
La volgarità, la stupidità, il non riflettere, l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro, da limiti oggettivi, si sono trasformati – soprattutto grazie ad un trentennio di trasmissioni tv e films dozzinali, ma ben mirati – in qualità e coraggio leonino.
Certo al bar, soprattutto dei paesi più arretrati, ma anche delle periferie metropolitane, senza escludere qualche quartierino snob, questi individui ci sono sempre stati, ma tutto rimaneva lì, tra i “quattro amici al bar”, giusto per citare le parole di una bella canzone di Gino Paoli.
I social che, come ogni cosa umana, hanno lati positivi e negativi, sono autostrade percorse da chiunque, dai soccorritori agli spacciatori, hanno amplificato a dismisura la platea e l’interconnessione fra costoro. Non sono più due o tra quelli che insultano e cinque o sei quelli che ascoltano, magari dissentendo, ma in silenzio per non finire in rissa. Oggi di parla di migliaia, quando non di decine di migliaia. La colpa grave dei social, con proventi da capogiro, loro beati, è quella di non preoccuparsi minimamente di questi usi impropri. I moderatori, pochi, mal pagati ed impreparati, se non c’è una denunzia, un esposto. non si muovono e, se per caso accade, sono mosche bianche.
Maggiore responsabilità morale pesa su chi dell’odio, del disprezzo verso il diverso, per razza, fede, religione, ceto, etc ha fatto una ragione d’esistenza, politica, religiosa, sociale, culturale, magari giornalistica (non sempre “cane non mangia cane”), poco cambia. Troppo facile stigmatizzare il comportamento degli haters, di chi li aizza e sfrutta. E’ la scoperta dell’acqua calda.
C’è un’altra categorie di persone che non ha totalmente perduto, come i primi, i freni inibitori. Ha ricevuto una qualche formazione pedagogica e scolastica, spesso corposa. Ebbene, anche in costoro quella paura aleggia in egual maniera, la misura sarà certamente diversa caso per caso. La reazione, molto diversa nella forma, ma non nell’obiettivo finale. Si perché alla fine del ragionamento il soggetto di partenza si dissolve, e l’attenzione viene catalizzata sui misteriosi e non ben definiti burattinai, quelli che tirano i fili di ogni evento, umano o naturale che sia.
Sono i complottisti. Loro non insultano, mostrano spesso umana compassione e comprensione, altre volte una larvata forma di simpatia e, finanche, moderata ammirazione per il diverso vincente. Si, ma nei loro ragionamenti non c’è il coerente senza se e senza ma. Al contrario, i se ed i ma si rigenerano e moltiplicano, nei ragionamenti espressi, peggio di un virus pestilenziale.
Non spetta a me giudicare né i primi, né i secondi. Per certo so che hanno presa su differenti fasce di “utenza”. I primi sui derelitti di ogni ordine e grado, i secondi sui “benpensanti”. Non. saprei, francamente, a chi assegnare il primo gradino sul podio della negatività.
Che ad ognuno di noi venga da pensare dopo queste considerazioni a Silvia Romano, credo sia naturale, io stesso l’ho citata in apertura, ma desidero inviarVi, lettrici e lettori, a ripensare ad Antonio Stano, il pensionato 66enne di Manduria, affetto da disagio mentale, perseguitato, torturato ed alla fine morto il 23 aprile dello scorso anno per le vessazioni subite da una banda di una decina di bulli, quasi tutti minorenni, salvo tre. Non perché Silvia Romano non abbia tutta la mia considerazione, ma perché lei oggi ha una sovraesposizione mediatica, l’altro il contrario.
Pochi giorni or sono il PM ha chiesto vent’anni per questi bulli, divenuti assassini. Vedremo come finirà il giudizio. Ma, mi chiedo, i cittadini per bene, i vicini, tutti quelli che potevano e dovevano intervenire in prima persona dov’erano? Oggi che fanno? Si lavano la coscienza con i se ed i ma? Ma sì il povero anziano, colpito dalla sorte con la malattia, e dagli uomini con la crudeltà e l’indifferenza, ……….. cosa pretendeva da noi? Cosa poteva e doveva fare se non sperare in un aiuto, Antonio Stano? Questo il suo nome! Ma le sue grida durante le innumerevoli aggressioni in casa sua, mentre non dava fastidio ad alcuno, non risuonano nelle Vostre coscienze? Non serve a lavarle chiedersi dove fossero le Autorità, attribuire anche quel delitto ad altri, magari ai servizi sociali, al sindaco, ai poteri forti ed ai complotti internazionali.
Certo più è il potere che si ha, altrettanto il dovere e la responsabilità conseguenti, ma se ciascuno di noi non fa la sua parte non andiamo da nessuna parte, o meglio andiamo verso qualcosa che neanche i più sfrenatì racconti di fantascienza ed horror hanno mai immaginato.