I dolori della vecchia Europa

La guerra e l’attacco alla democrazia.
La Francia sceglie l’Europa

Giovanna Sellaroli

Giorno 62 la guerra non si ferma, Zaporizhzhia, che ospita la più grande centrale nucleare d’Europa, è sotto attacco. Proprio oggi si ricorda il disastro nucleare di Chernobyl: era la notte del 26 aprile 1986 quando la centrale nucleare viene scossa da un’esplosione, è il reattore numero 4 che innesca un incendio in tutta la centrale. Un disastro dalle proporzioni immani.

In queste ore, il Ministro degli esteri russo Lavrov ha detto che un terzo conflitto mondiale è un pericolo reale. E accusa la Nato di “proxy war”.

Oggi intanto il segretario generale delle Nazioni Unite Guterres vola a Mosca per una missione diplomatica al limite del disperato.

Missili russi abbattono l’infrastruttura ferroviaria vicino a Zhmerynka, mentre il fronte dei combattimenti è sempre più intenso nelle zone del Donbass, dove sono state bombardate 5 stazioni ferroviarie. Il corridoio umanitario a Mariupol per evacuare l’acciaieria, è fallito. “La Russia non ha raggiunto gli obiettivi che si era posta”: sono le parole del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che ieri si è recato in visita a Kiev e ha rinnovato il sostegno a Zelensky.

E sale la tensione anche in Transnistria, dove si sono avvertite esplosioni nei pressi dell’edificio del ministero della Sicurezza dello Stato a Tiraspol, enclave russa in Moldova. In strada sono stati rinvenuti tubi lanciagranate. Giorni fa, il ministero della Difesa russo aveva affermato che tra gli obiettivi della seconda fase dell’operazione speciale c’è anche l’accesso alla Transnistria.

E mentre Draghi prepara il viaggio a Kiev e lima il dl aiuti-energia, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan prevede per oggi un colloquio telefonico con il presidente russo Vladimir Putin. Lo ha reso noto lui stesso, aggiungendo che chiederà al capo del Cremlino “un cessate il fuoco sostenibile e poi la pace” in Ucraina. 

La guerra scatenata dalla Russia in Ucraina sta eccitando anche un altro “ometto”, il leader coreano Kim Jong-un, che durante le celebrazioni per i 90 anni dell’esercito, si è detto pronto a sviluppare le capacità delle sue armi nucleari.

Evidentemente la pace non è più di moda.

Tutto questo in giornate in cui la vecchia Europa, alle prese con una guerra in casa, tira un sospiro di sollievo, per la verità lieve,  per la conquista della presidenza di Emmanuel Macron. Scongiurato il rischio di una sovranista come Marine Le Pen all’Eliseo, amica di Putin, ora si guarda al futuro europeo con maggiore fiducia, forti anche degli esiti delle elezioni in Slovenia che hanno premiato la svolta liberale di Robert Golob, penalizzando il premier uscente, Janez Jansa.

Eppure, la vittoria di Emmanuel Macron non è piaciuta in patria, e non solo. Ha scatenato reazioni violente in casa, con manifestazioni e scontri in varie città, come se sentissimo la mancanza di fuoco e fiamme in questo momento, e ha acceso un turbinio di commenti al vetriolo anche nel nostro bel Paese.

Una vittoria a metà, si è detto a gran voce, un successo dal sapore amaro per via dell’astensionismo, si è gridato. E ancora, senza i voti abbondanti sfilati alla sinistra di Mélenchon, Macron non avrebbe potuto festeggiare, hanno sogghignato gli odiatori del Presidente. Ha vinto l’astensionismo, il 60% dei francesi è contro di lui, gridano gli acuti analisti.

Al grido di “Macron vattene”, “né Macron né Le Pen, rivoluzione”, “Quello che non avremo dalle urne, lo avremo dalla piazza”, manifestanti dei gruppi antifas, sono scesi nelle piazze di Parigi e di altre città francesi, protestando violentemente contro la rielezione del presidente Emmanuel Macron. E torna lo spettro dei gilet jaunes.

Chissà se i due valorosi esponenti del Movimento 5 stelle torneranno anche stavolta a Parigi per incontrare i capi della protesta francese?

Ma tornando a Macron, certo, la sua è stata sicuramente una vittoria a metà, i numeri sono incontrovetibili. “Macron è il presidente peggio eletto della Quinta Repubblica. Galleggia in un mare di astensioni, schede bianche o nulle” ha tuonato Mélénchon, leader degli Insoumis.

Mala tempora currunt, ma i giochi politici ed elettorali non cambiano. Neppure i pesanti venti di guerra che soffiano minacciosi sulle nostre teste, li fermano.

Ebbene, che piaccia o no, il risultato incassato dal giovane Presidente è un successo. Emmanuel Macron, infatti, con il secondo mandato presidenziale, entra in una ristrettissima cerchia di presidenti francesi che hanno avuto la fiducia dei loro connazionali per due volte consecutive. È il terzo a ottenere un secondo mandato nella Quinta Repubblica dopo Mitterand e Chirac.

E vanta anche un altro successo essendo l’unico eletto che non veniva da una coalizione. Un successo, in particolare a Parigi che l’ha votato in massa.

A 44 anni resta il più giovane Capo di Stato a essere eletto. E possiede una visione di “rifondazione” di un’Europa più sovrana. Mai come in questo momento l’Europa ha bisogno di una difesa comune, il tema è centrale.

Macron ha riaffermato la sua posizione in tal senso e le sue priorità per la presidenza francese dell’Ue, che includevano l’impegno per un’Europa “più sovrana”. Riformare l’area Schengen, spingere per una strategia di difesa comune europea, e un nuovo modello di crescita europea erano tra le altre priorità delineate. La guerra ha reso tutto ciò drammaticamente più urgente.

Marine Le Pen perde, ma forte del suo 41%, rivendica il successo di aver portato l’estrema destra francese a un livello mai così alto dall’inizio della Quinta Repubblica francese.

Ma vogliamo ricordare che Marine è alla terza sconfitta all’elezione presidenziale? Anzi, a ben contare, ammontano a otto le elezioni presidenziali che i Le Pen perdono!

Emmanuel Macron definito il “Presidente dei ricchi”, accusato di essere troppo di destra, ha perso voti sia a destra che a sinistra, non è stato votato soprattutto nelle campagne, la Vandea della Francia.

Certo è difficile pensare che le produzioni francesi di vini e champagne soffrano la crisi… Eppure il potere di acquisto nelle aree geografiche rurali resta uno dei grandi temi con cui il Presidente dovrà confrontarsi.

Ed è vero che eredita un Paese profondamente diviso, dilaniato dalle proteste dei gilet jaunes, dalla crisi pandemica e dalla guerra in Ucraina.

Ma la drammaticità del momento deve portare tutti a una battuta d’arresto, la pace e la libertà vanno difese a tutti i costi. Le elezioni presidenziali francesi si sono presentate tra le più critiche e sofferte, non solo per la Francia, ma per l’Europa che, ribadisco, sta vivendo un momento storico drammatico in cui una sterzata della Francia avrebbe potuto compromettere non poco l’equilibrio dell’intero continente europeo.

Certo viene da chiedersi come sia possibile che in momenti tragici come l’attuale, si possa solo lontanamente immaginare di dare consensi alle destre estreme e guerrafondaie, che sanno solo cavalcare il malcontento delle classi sociali, sacrosanto per carità, ma totalmente strumentale a imporsi.

E l’Italia? Beh, anche noi non scherziamo, sembra che la guerra sia cosa che non ci appartiene.

Ho trovato emblematico quanto riportato dal CorriereAdriatico.it in merito a un gruppo di imprenditori del calzaturiero delle Marche, 48 aziende, che, sfidando l’Europa e le sanzioni, hanno deciso di andare a Mosca in occasione della fiera Obuv Mir Kozhi in programma da martedì 26 a venerdì 29 aprile all’Expocentre. Sono aziende che non possono fare a meno del mercato russo perché il business non si ferma. Fortemente critici verso le scelte del nostro Governo, questi imprenditori dicono di non avere alternative. È evidente, come negare che le difficoltà sono enormi per un settore che, a loro dire, lo Stato ha completamente abbandonato?

Ma non so quanto sia proprio necessaria questa sortita. Anche da un punto di vista strettamente morale, pur con tutte le criticità del caso.

Insomma, qualcuno dovrà pur fermare il criminale di guerra che sta cercando di cambiare i connotati geografici dell’Europa, o no? E come possiamo cercare di fermarlo se non con le sanzioni e con gli sforzi diplomatici? Forse non si è compreso o non si vuole ammettere che stiamo rischiando una guerra nucleare. O no?

Solo la scienza politica può venerci in aiuto, ma per metterla in atto servono menti preparate, anche burocrati, ma cervelli, non chiacchiere estreme. Macron sarà pure espressione delle  élite, un tecnocrate che sa fare del linguaggio un uso studiato, ma certamente è intelligente e colto.

Un valore aggiunto? Beh, se penso ai disastri di un imbianchino diventato capo del partito nazionalsocialista tedesco, nonchè ideologo, o al povero ragazzino Vladimir che cacciava topi e meditava il riscatto, forse studi importanti e cultura chissà, possono aiutare …

La battutta, finemente ironica di Mario Draghi sui condizionatori, e tanto sbeffeggiata dai fini critici, era una provocazione che avrebbe dovuto indurci a riflettere e renderci conto che la pace non è scontata e che va guadagnata sul campo, anche a costo di sacrifici che non siamo, evidentemente, per nulla disposti neppure a prendere in considerazione.

“Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie” diceva l’indimenticabile Sandro Pertini. Ma anche la più imperfetta delle democrazie bisogna guadagnarsela e preservarla.

Per seguirci su Facebook mettete il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivetevi al gruppo lavocenews.it. Grazie.