Il caffè con il lettore
Gianvito Pugliese In una giornata come il 27 gennaio, dedicata all’Olocausto o, se preferite, alla Shoah od alla Giornata della
Gianvito Pugliese
In una giornata come il 27 gennaio, dedicata all’Olocausto o, se preferite, alla Shoah od alla Giornata della Memoria, trattare l’argomento nell’editoriale è quantomeno doveroso.
Care/i ospiti per la chiacchierata del mattino, che poi fornirà spunti, come al solito per la rubrica che condividiamo, devo partire dalla constatazione che, se sempre il ricordo delle atrocità compiute dai nazisti nei campi di concentramento-sterminio, è stato oggetto di qualche distinguo e non sono mancati negazionisti, generalmente neonazisti, convinti nella loro patetica e bieca ignoranza, che bastava negare un evento storico per farne venir meno il valore, oggi il tema è divenuto assai più divisivo e controverso.
Ma partiamo dalla storia. Hitler ed il suo nazismo, mettono al bando gli ebrei, prima confinandoli nei ghetti, poi deportandoli in campi di sterminio, dove le atrocità compiute superano ogni più fervida immaginazione malefica. Ma, contrariamente a quanto siamo stati abituati a ricordare, non furono solo gli ebrei a subire quei comportamenti disumani. Con loro, indubbiamente in stragrande maggioranza, ci sono stati anche gli zingari. Comunque li vogliate chiamare, sinti o rom, o altro subirono crudeltà e stermini come gli altri deportati. E con loro i detenuti politici (prevalentemente comunisti), i prigionieri di guerra (prevalentemente sovietici), gli omosessuali, coloro che avevano la disgrazia di malformazioni fisiche ed i malati di mente. Non credo di aver dimenticato o trascurato nessuno.
Nessuna delle parti ha mai negato che ci fossero anche vittime diverse da loro ma, sarà per i numeri abnormemente più grandi, sarà perché gli ebrei sono un popolo compatto ed unito, aldilà dal vivere sul medesimo territorio, quel capolavoro di architettura e di acustica che è l’Auditorium di Ter Aviv è stato edificato con i proventi dei concerti e delle altre rappresentazioni nel mondo di artisti ebrei che hanno devoluto cachet ed incassi a quell’opera maestosa- sarà anche per la potenza economica degli ebrei diffusi sul pianeta e sulla potenza di riflesso sui media, sta di fatto che alla fine la Shoah è stata in qualche modo monopolizzata dagli ebrei che pian piano hanno fatto della Giornata della Memoria, la giornata del massacro ebraico.
Non è così, è di certo la giornata in cui si ricorda il massacro e le crudeltà del nazismo hitleriano, che ripeto sterminò prevalentemente ebrei, ma non solo, e che nella coscienza di molti è un ricordo che si celebra non fine a se stesso, ma per evitare che la storia si possa ripetere. Per mettere un argine all’umana disumanità (scusate la cacofonia!). E questo significa che il suo significato trascende il fatto storico, che rimane importantissimo ed indelebile, e finisce per comprendere in un abbraccio di vera umanità tutte le ingiustizie perpetrate nel mondo che vanno dal più deteriore colonialismo e sfruttamento degli ultimi, alle guerre tribali e di confine, non note certo come le invasioni dell’Ucraina o di Gaza, ma non perciò meno crudeli e cruente.
Ed oggi la Stella di Davide, simbolo di un popolo che ne ha subite nella storia tante, troppe, si è trasformata in simbolo di uno Stato, il popolo non è dello stesso avviso, usurpatore, massacratore, di criminali che inseguono il genocidio palestinese per impossessarsi indisturbati di Gaza e dintorni.
Intendiamoci, non sopporto chi, discretamente e sommessamente, ricorda tra le righe, che furono gli ebrei a condannare un certo Gesù Cristo alla croce, preferendo la liberazione di Barabba a quella del Nazareno, e che poverini, dunque … sono un popolo maledetto.
La maledizione ha un altro nome: Netanyahu e nazionalisti estremisti suoi alleati di governo,
Leggo che Benjamin Netanyahu ora non arriva più neanche al 15% del gradimento e che alle elezioni è destinato a scomparire, e finalmente sarà chiamato a rispondere dei suoi innumerevoli reati, a prescindere dagli efferati crimini di guerra di cui dovrà pure un giorno rispondere, come il suo omologo Putin.
Sarebbe il caso di fare del Giorno della Memoria il primo dei trecentosessantacinque giorni all’anno in cui dobbiamo impegnarci perché le ingiustizie e la fame sulla terra possano divenire prima possibile solo un brutto ricordo, ma da non dimenticare anch’esso perché non si ripeta.
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