Il caffè con il lettore
Una riflessione sulle primarie del Partito Democratico.
Gianvito Pugliese
Lo so perfettamente che quando si parla di politica, molte nostre care lettrici e gentili lettori, storcono la bocca. Lo so dai miei tempi nel Corriere del Giorno o BariSera. Ed è un fenomeno diffusissimo, se è vero come è vero che il vero partito di maggioranza in Italia non è Fratelli d’Italia, come erroneamente o superficialmente si scrive -ma l’astensionismo, pari al 36,1% dell’intero corpo elettorale. I dati 2022 degli eletti nei partiti, e degli stessi partiti complessivamente, vanno quindi decurtati del 36,1%, in quanto la loro percentuale è conseguita sul 63,9 % del corpo elettorale, non sul tutto come l’astensionismo. Quindi il 23% circa, conseguito da Fratelli d’Italia, in termini di confronto con l’astensione. si riduce al 14,5%, che ne fa comunque l’unico vero vincitore delle elezioni, e qui non ci piove. Resta il fatto che sul prezzo della benzina, sull’inflazione e sui costi della vita (costi energetici, costi delle tasse, anche la spesa quotidiana) incide la politica. Il mercato ha il suo peso, ma è la politica a manovrarlo e a doverlo controllare ed orientare.
Chiarito che con la politica, che purtroppo sono costretto a scrivere con la p minuscola, la maiuscola si è persa da tempo immemorabile, dobbiamo fare i conti e confrontarci quotidianamente, vorrei dare un’occhiata con Voi lettrici/ori, alle elezioni del nuovo segretario del Pd, a seguito delle dimissioni di Enrico Letta, unico leader di partito che, preso atto del risultato non positivo -largamente diffuso anche tra tanti altri partiti- ha fatto un passo indietro.
Quattro i candidati alla successione. Nell’ordine: prima le donne, Paola De Micheli ed Elly Schlein, poi gli uomini Stefano Bonaccini e Gianni Cuperlo.
Si sta discutendo veramente di dare una svolta al partito per fermare l’emorragia di voti e consenso, che pare inarrestabile, e ridargli quell’anima di asse portante della sinistra, smarrita nel percorso? Non mi occupo di politica attiva dai tempi del Movimento per l’Ulivo di cui sono stato coordinatore per la Puglia e braccio destro del responsabile nazionale dell’organizzazione. In pratica, sono tra i nonni del Pd e francamente mio nipote lo trovo irriconoscibile, non sembra proprio figlio di quell’innesto storico tra Margherita e Quercia, faticosamente realizzato, una conquista epocale nel mondo della sinistra, che fin dall’epoca non si smentì con i tanti distinguo e partitini. Poi una brevissima parentesi da assessore, ma da tecnico.
Ora osservo la discussione nel Pd con l’immensa tristezza, che aggredisce un nonno, che scopre che il nipote è drogato ed irreversibilmente malato.
Tutti, indistintamente, hanno affermato che il cancro da estirpare nel Pd era e sono le correnti, per cui, mai l’uomo giusto al posto giusto, ma con tanto di manuale Cencelli, l’uomo indicato dalla corrente a cui spetta la nomina. Ebbene, i candidati sono pesati attualmente dai media (favorito Bonaccini, seconda la Schlein, in forza non delle loro idee o del programma presentato, ma dell’appoggio ricevuto dai vecchi capi corrente, che mi viene da chiamare col loro vero nome, capi bastone. Si tratta di quegli stessi, signori delle tessere o delle correnti, che tutti dicevano di voler cancellare, pena la non rinascita del Partito democratico.
La discussione finora si è concentrata sull’ammissibilità o meno del voto on line, sponsorizzata da chi vanta un consenso maggiore tra i giovani e avversata da chi ha una base meno giovane.
Tanto porta un vecchio politologo, come il sottoscritto, a trarre la conclusione che tutto ciò che conta è la poltrona di segretario, e che lo stato di salute del partito è l’ultimo dei pensieri dei candidati alla segreteria nazionale. Le correnti, alle spalle dei candidati, lungi dallo scomparire saranno più o meno rafforzate a seconda del cavallo vincente o meno sul quale hanno puntato.
Mi ha fatto male, nonostante io abbia stracciato da anni la tessera del Pd, senza prenderne altre, non identificandomi più con nessun partito, e la politica la faccio dal giornale e da alcune iniziative sociali, vedere che ora la battaglia cruciale è diventata mettere i paletti su chi può votare e, soprattutto, su chi non può e non deve votare.
Che tristezza ricordare i tempi in cui alle primarie, per gli amministratori locali, regionali, o per le cariche di partito di facevano versare due euro per votare. Quanta tensione morale si viveva in quei giorni. Quelle primarie hanno rappresentato sempre un rilancio del partito, aperto a discutere la sua vocazione nella società, che moltiplicava gli iscritti ed i simpatizzanti in quella occasione.
Ora nulla di tutto ciò. Si respira una voglia di contenere i votanti per controllarne più facilmente gli esiti. Si taglia col coltello il rinvio del rilancio ad un momento successivo, a giochi fatti di direzione nazionale. Ma si perde l’occasione d’oro del congresso per l’elezione del Segretario Nazionale, un momento che avrebbe potuto riportare il Pd a rappresentare quelle classi sociali che ormai hanno scelto di ingrassare l’astensione, salvo sporadiche eccezioni dì chi si è rifugiato nel terzo polo, destro-simpatizzante, o nei cinque stelle, tornati alle origini di movimento di sola protesta, prima che di opposizione.
Caro prof. Gianni Letta, il tuo sacrificio e la tua onestà intellettuale, meritavano forse miglior causa. Mi consola pensare che lo stesso Letta, parecchio maramaldeggiato in questi ultimi tempi e non solo dall’eterno nemico Matteo Renzi, tornerà ad insegnare a Parigi, che in realtà è una gran bella città, dove si vive, certamente, meglio che da noi, soprattutto ultimamente.
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