Il caffè con il lettore
Il giudice respinge la richiesta di immunità di Trump nel caso delle elezioni del 2020
Gianvito Pugliese
Buona domenica mie care e miei cari ospiti del caffè del mattino. Oggi vi proporrei di fare un salto negli Stati Uniti, dove venerdì è accaduto qualcosa di significativo e che non potrà non incidere sul futuro politico del Paese, con tutte le conseguenze che seguono chi sarà il prossimo inquilino della White House.
Donald Trump, con i suoi legali, aveva chiesto al giudice distrettuale Tanya Chutkan che fosse archiviata la procedura intentata dal procuratore speciale Jack Smith contenente l’accusa di comportamenti illegale. per ribaltare la sua sconfitta elettorale del 2020.
La giudice distrettuale. riferisce l’Agenzia di stampa Reuters “non ha trovato alcuna base legale per concludere che i presidenti non possono affrontare accuse penali una volta che non sono più in carica“. E Trump è stato in carica come Presidente degli Usa dal 2017 al 2021.
Per inciso, viene dato in ambienti repubblicani come il favorito nelle primarie che dovranno stabilire chi affronterà nelle elezioni presidenziali americane l’attuale Presidente, il democratico Joe Biden.
Nella sentenza di Chutkan si legge testualmente: “Qualunque sia l’immunità di cui può godere un presidente in carica, gli Stati Uniti hanno un solo amministratore delegato alla volta, e tale posizione non conferisce un lasciapassare permanente per uscire di prigione“.
Per quanto ne può capire uno come me, con oltre mezzo secolo di professione di legale alle spalle, è un provvedimento che fa presagire sviluppi assolutamente non rosei per il tycoon.
Una sentenza che potremmo definire apri pista in un Paese dove il precedente giudiziario è assolutamente determinante per la futura interpretazione e applicazione del diritto e della giustizia. Infatti, Trump è il primo caso di presidente Usa (in carica o scaduto) che dovrà affrontare accuse penali, grazie alla sentenza Chutkan, “la prima emessa da un tribunale statunitense che afferma che i presidenti possono essere accusati di crimini come qualsiasi altro cittadino“.
La difesa di Trump aveva anche sostenuto nel dibattimento la tesi che le accuse giudiziarie violerebbero i diritti di libertà di parola del loro assistito previsti dal Primo Emendamento della Costituzione americana. In altri termini l’accusatore “tenta di criminalizzare il discorso politico fondamentale e la difesa politica”. Il giudice ha respinto con decisione tale tesi.
Non è solo una mia opinione, ma condivisa da autorevoli Colleghi, che la sentenza di venerdì, pronunziata dal giudice Chutkan, avvicini sempre più Trump al momento di dover affrontare una giuria alla quale rispondere dell’accusa di “aver complottato per interferire nel conteggio dei voti elettorali e ostacolare la certificazione del Congresso della vittoria di Biden“. , Una prova difficilissima, alla luce del carattere di chi si è autopromosso al di sopra dei cittadini comuni, di coloro cioè chiamati a giudicarlo.
Trump, infatti continua a dichiararsi non colpevole, nonostante le prove schiaccianti che lo inchiodano, ed ad accusare i pubblici ministeri di voler danneggiare la sua campagna elettorale.
Il processo innescato dalla sentenza di venerdì scorso dovrebbe iniziare a marzo. Ma Trump potrebbe impugnare subito la sentenza, ottenendo di ritardare il processo finche una corte d’appello e teoricamente anche la Corte Suprema non si siano pronunciate in proposito.
Trump, affermano i suoi legali, ha tenuto una condotta, che non giustificherebbe le accuse mosse dai pubblici ministeri. Ma il caso portato avanti da Smith non è il solo caso penale a carico di Trump. L’ex presidente è sotto accusa penale anche in Georgia, per le sue azioni volte a rimediare alla sconfitta del 2020 ed anche in altri due Stati Usa. Anche qui si è dichiarato non colpevole.
I pubblici ministeri hanno dichiarato che se è vero che “il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha da tempo una politica interna che prevede di non incriminare un presidente in carica, … non esistono analoghe restrizioni una volta che un presidente lascia la Casa Bianca”.
Gli avvocati di Trump vorrebbero che l’immunità di cui godono i presidenti degli Stati Uniti dalle cause civili venisse estesa anche alle accuse penali.
I pubblici ministeri hanno obiettato che se così fosse il presidente degli Stati Uniti sarebbe al di sopra della legge, in violazione dei principi fondamentali della Costituzione.
E’ chiaro che per Trump, aduso a violare la legge e farla franca per il rotto della cuffia (si veda i casi di evasione e frode fiscale), si sta mettendo proprio male. Troppe le prove a suo carico. Non può mettere a tacere la controparte con una manciata di dollari, come spesso ha fatto.
Non gli rimane che guadagnar tempo evitando, prima delle elezioni, che ci sia una condanna che gli impedisca di candidarsi alla Casa Bianca e sostenere di essere vittima di congiura che vede uniti i democratici ai giudici? Riuscirà a darla a bere alla maggioranza degli americani? Francamente, credo che la sua carriera politica sia finita ora che la morsa della giustizia si stringe attorno alle sue malefatte. Se andrà secondo le mie previsioni o meno lo sapremo alla fine di quest’anno o forse anche un po’ prima, se il partito repubblicano, messo davanti ad una sconfitta certa, decide di abbandonarlo e non fargli vincere le primarie.
Tutto è possibile. A domani.
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