Il caffè con il lettore
Continuano i guai giudiziari per un Trump inguaiatissimo, ma troppo arrogante per fare un passo di lato
Gianvito Pugliese
Stamane, care/i ospiti fa davvero troppo freddo per limitarci a sorseggiare un caffe. D’accordo le famose tre C hanno il loro peso, ma decisamente insufficiente. Propongo, dunque, di abbinargli un vin brulè, accompagnato da biscotti inglesi, per non bere alcool a stomaco vuoto ed anche perché nella dispensa ho trovato solo quelli. Accontentatevi!
Torniamo, dopo appena due giorni, ad occuparci nuovamente di Trump, che equivale a ficcanasare nei suoi problemi giudiziari. Lo avevamo lasciato sconfitto, ma non domo, nella vicenda del tentato colpo di stato, per aver tentato in vari modi di ribaltare i risultati delle ultime presidenziali e bloccare l’insediamento di Biden. Da ultimo, aizzando i suoi seguaci ad assaltare ed occupare il Campidoglio il 6 gennaio 2021, circostanza in cui c’è scappato il morto. E Trump. in concomitanza con questo evento. ebbe un diverbio violento con la sua scorta, dal momento che voleva raggiungere il Campidoglio “per poter impiccare con le sue mani il vicepresidente Mike Pence”, reo di non aver accolto il suo invito a bloccare la proclamazione di Joe Biden. Dicevo , “sconfitto” dal momento che la giudice distrettuale Tanya Chutkan ha respinto la richiesta di archiviazione, non riconoscendo un presunto diritto all’immunità vantato e preteso da Trump stesso.
Andiamo all’udienza di ieri in cui il Tycoon voleva ottenere il permesso di “presentare ricorso alla più alta corte dello stato contro la decisione che ripristina gli ordini di silenzio nel suo caso di frode civile a New York”.
Infatti, il 3 ottobre scorso il giudice Arthur Engoron ha imposto a Trump un ordine di silenzio, che costringe al divieto di parlare del personale del tribunale in pubblico o con mezzi rivolti al pubblico, come i social.
Trump aveva, infatti, pubblicato sui social una foto della più alta dipendente del giudice Engoron con il leader della maggioranza al Senato, Chuck Schumer, un democratico, definendola falsamente la “fidanzata” del Senatore. Post che ha fatto inondare la corte da centinaia di minacce da parte dei sostenitori di Trump.
Engoron, con separato e successivo provvedimento, ha posto limiti anche alle considerazioni degli avvocati di Trump sul suo staff. Il ragionamento è che Trump, non potendo più screditare e calunniare direttamente, avrebbe potuto farlo. imponendo ai suoi legali un comportamento illegale.
Il 16 novembre Trump aveva ottenuto da un giudice della corte d’appello la sospensione temporanea degli “ordini di silenzio”, ma giovedì scorso sono stati ripristinati da una corte d’appello statale di medio livello.
Engoron, inoltre aveva multato di 15.000 dollari Trump per aver violato due volte l’ordine di silenzio ed aveva aggiunto che, se avesse continuato, le sanzioni sarebbero state più severe, fino alla reclusione.
Il procedimento penale di cui si occupa il giudice Engoron nasce dall’accusa a Trump “di aver sovrastimato illegalmente il suo patrimonio netto di miliardi di dollari per ingannare finanziatori e assicuratori. Il processo si è concentrato sui danni, perché Engoron aveva già accertato che i rendiconti finanziari di Trump erano fraudolenti” riferisce un pezzo pubblicato da Reuters.
Trump, lunedì scorso tramite il suo avvocato Clifford Robert, ha chiesto alla corte d’appello di medio livello, nota come Divisione d’Appello, di permettergli di presentare ricorso contro il ripristino degli ordini alla Corte d’Appello di Albany. Secondo Robert gli ordini violerebbero la Costituzione degli Stati Uniti e dello Stato di New York, dove è intentato il processo, limitando il “diritto del Primo Emendamento di Trump di evidenziare le serie preoccupazioni sollevate dalle attività pubbliche e partigiane del principale impiegato legale del giudice Engoron durante un processo in corso“.
E lo stesso lunedì un giudice del Primo Dipartimento ha deciso di respingere la richiesta di Trump di poter ricorrere in appello contro gli ordini in via accelerata. Il giudice Sallie Manzanet-Daniels ha quindi concesso tempo per rispondere alla richiesta di appello di Trump fino all’11 dicembre al procuratore generale dello stato di New York, Letitia James, che ha portato avanti l’accusa contro Trump e la società immobiliare di famiglia.
James ha richiesto ai giudici di comminare sanzioni da 250 milioni di dollari e che Trump sia bandito dalle attività immobiliari dello stato di New York.
Trump, secondo copione, ha negato ogni addebito, accusando James di pregiudizi politici nei suoi confronti.
Riassumendo: Trump deve affrontare quattro accuse penali federali e statali. Ovviamente, sempre secondo copione in tutti i quattro casi si è dichiarato non colpevole.
E’ evidente a tutti, fuorché al diretto interessato che la pacchia, ovvero la tolleranza nei suoi confronti è divenuta tolleranza zero. Non è, come lui vuol far credere a quei quattro bovari dei suoi fans, e spesso riesce a darla a bere, una questione di “vendetta politica”. E’ questione che, a furia di tirare la corsa, questa si spezza. Trump se l’è cavata “per il rotto della cuffia” in tanti, troppi processi, Ben difeso, ma anche ben protetto e sostenuto anche dai suoi stessi soldi e potere, più ne usciva indenne più maturava la convinzione di essere intoccabile e quindi libero di commettere impunemente qualsiasi nefandezza.
Dobbiamo, onestamente, riconoscerlo e dirlo, che a cominciare dai democratici, i suoi avversari politici, troppo si è tollerato delle malefatte di quest’uomo sia come privato, sia come uomo pubblico. E Trump caratterialmente non è capace di comprendere che “la pacchia e finita”, la corda si è spezzata e tenere un profilo basso gli avrebbe giovato. Lui non sa proprio cosa sia un profilo basso. E’ sempre stato uno sopra le righe.
Solo in un caso, Trump si è fatto tappetino, ha taciuto, non ha reagito ed ha scelto di far cadere l’accusa nell’oblio, contando sulla scarsa memoria dei cittadini e sul fatto che, inondati di notizie sempre fresche, le vecchie contano poco.
Mi riferisco all’accusa mossagli da Yuri Shvets, una ex spia del KGB, rifugiatosi in America, dove si è naturalizzato, di essere stato per quarant’anni una risorsa russa. Ne abbiamo scritto a suo tempo. Trump, aveva tenuto un profilo così basso da non negarle neanche, la sua strategia far cadere tutto nell’oblio. Chiaramente, era terrorizzato dall’idea di dover rispondere di “alto tradimento”, e forse. essersela cavata pure in quella circostanza. lo ha reso talmente arrogante da scavarsi la fossa da solo, come ora sta facendo. E le recenti parole del suo avversario repubblicano alle primarie, Ron DeSantis suonano tanto in questa direzione.
A domani, per un altro caffè superlativo.
Per seguirci su Facebook mettete il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivetevi al gruppo lavocenews.it. Le email del quotidiano: direttore@lavocenews.it o info@lavocenews.it.