Il silenzio codardo del popolo russo
Sono 40 i morti accertati dopo l’attacco russo a Dnipro, due i bambini. Le bombe russe hanno ucciso anche Elya, la bimba di sei anni morta di infarto per la paura
Giovanna Sellaroli
Il 327esimo giorno di guerra registra uno dei momenti più drammatici e crudeli di questa sporca guerra che sta distruggendo la terra d’Ucraina. La pioggia di missili russi caduta sul Paese nelle ultime 48 ore ha preso di mira anche un edificio residenziale di 9 piani, provocando decine di morti e feriti.
La strage del condominio di Dnipro ha ulteriormente allontanato ogni possibilità, già remota in verità, di colloquio tra Russia e Ucraina, col Presidente Zelensky che parla di “silenzio codardo” da parte di Mosca.
Al momento, come riporta il Guardian, è salito a 40 il bilancio dei morti a seguito del raid russo di sabato su Dnipro.
Secondo la polizia nazionale, ”Le operazioni di soccorso e di salvataggio a Dnipro stanno andando avanti da 40 ore circa. Di notte, i soccorritori hanno estratto altri morti dal condominio distrutto da un missile russo”, queste le parole del governatore regionale Valentyn Reznichenko. La Russia, intanto, ha negato di avere bombardato l’edificio residenziale, le forze armate di Mosca “non colpiscono edifici residenziali“, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
“L’attacco ha raggiunto i suoi obiettivi’, ha aggiunto poi Mosca, in maniera contraddittoria, nel suo spietato bollettino. Putin ha affermato lucido e gelido che in Ucraina “tutto procede come previsto“.
“Il vostro vile silenzio, il vostro tentativo di aspettare che passi ciò che sta accadendo, finirà solo con il fatto che un giorno questi stessi terroristi verranno a prendervi“, ha detto invece, il leader ucraino Zelensky, visibilmente provato.
Il sindaco di Dnipro, Boris Filatov, non esclude che le forze russe con il potente missile finito contro il condomino sabato scorso, volessero colpire la centrale termica di Prydniprovsk,
A conferma che è stato usato un missile anti-nave X-22 (o Kh-22), un bombardiere supersonico. “Ma capite cos’è l’X-22: è un assassino di portaerei, un missile che spara, come si suol dire, alle piazze“, ha proseguito il sindaco ipotizzando che in Russia abbiano erroneamente mancato il bersaglio.
Errori questi imperdonabili visto che coinvolgono civili inermi e comportano perdite in termini di vite umane.
Mentre si continua a scavare sotto le macerie, le autorità comunali di Dnipro hanno annunciato tre giorni di lutto cittadino. Come in altre città tra cui Leopoli, Vinnystia e Sumy, i missili russi hanno raggiunto i bersagli prima che le sirene antiaeree suonassero, una situazione tutt’altro che consueta, legata alla natura dei missili balistici impiegati da Mosca, più veloci dei vettori da crociera o dei droni.
Quella che si è abbattuta sabato sull’Ucraina è stata una pioggia di missili, come non succedeva dall’1 gennaio: secondo il generale Valeriy Zaluzhny, comandante in capo delle forze armate ucraine, la Russia ha lanciato 33 missili da crociera, 21 dei quali sono stati abbattuti. Gli attacchi hanno preso di mira anche la capitale Kiev, e ha segnato la fine della pausa di 2 settimane negli attacchi di Mosca alle infrastrutture elettriche e ai centri urbani dell’Ucraina.
Giorni orribili segnati da notizie al limite dell’insopportabile, come quella che ha riguardato la storia della piccola Elya, morta di infarto a soli sei anni, provocato dalla paura per le bombe russe.
Per undici mesi ha vissuto nascondendosi con la famiglia nelle cantine, nei sotterranei, per sfuggire ai bombardamenti, ma la paura è stata così forte che il suo piccolo cuore non ha retto.
La sua storia è stata raccontata dall’Ambasciata ucraina presso la Santa Sede: la piccola, residente a soli 5 chilometri dal fronte, ad Avdiivka, nell’Oblast di Donetsk, non ce l’ha fatta a sopportare i bombardamenti, è morta di notte al buio per un attacco di cuore.
La casa di Elya, a soli 5 chilometri dal fronte, la esponeva a una vita di tensione, a uno stress costante; la bambina evidentemente ha “assorbito” il dolore e il terrore che l’hanno sopraffatta. È questa una delle immagini della guerra che azzerano tutte le analisi sul conflitto.
Secondo i dati ufficiali dell’Unicef, sono 1.170 i bambini direttamente colpiti dalla guerra in Ucraina, di cui 415 uccisi e 755 feriti al 20 novembre, con il numero reale probabilmente molto più alto, data l’entità di vittime civili nelle aree accessibili, gli intensi combattimenti e gli attacchi missilistici in corso.
L’obiettivo russo è sempre più l’indebolimento dell’Ucraina a livello civile, provocando blackout di emergenza in mezzo Paese. Sono state danneggiate in maniera decisiva le infrastrutture energetiche nelle regioni di Kharkiv, Leopoli, Ivano-Frankivsk, Zaporizhzhia, Vinnytsua e Kiev. Un attacco ampio e mirato, che interessa anche le aree più occidentali dell’Ucraina. “Il nemico ha nuovamente attaccato gli impianti di generazione e le reti elettriche del Paese”, ha confermato il ministro dell’Energia ucraino, German Galushchenko.
Le notizie e le immagini dei tanti inviati di guerra che oramai, da circa un anno raccontano con coraggio e professionalità il conflitto, non lasciano spazio a nessuna invenzione e soprattutto lasciano sorgere dubbi su tutte le elucubrazioni di chi afferma che la Russia è a corto di armi.
Solo alla luce degli accadimenti delle ultime due settimane, il Cremlino vi sembra a corto di missili?
Gli eventi delle ultime ore, ma non solo, fanno sorgere dubbi anche sulla solitudine e l’isolamento dello zar; Putin è davvero così solo da non poter più contare sugli “amici”?
Nell’ultima videochiamata di fine anno, tra Putin e Xi, è certamente emerso il pressing di Pechino per la pace. Mosca, che ovviamente non è credibile, ha definito le relazioni russo-cinesi “le migliori di sempre”, puntando a “rafforzare la cooperazione militare”, mentre Pechino ha affermato di apprezzare “la disponibilità russa a una soluzione pacifica” in Ucraina. Parole di facciata, certo, propaganda certo, ma, stando ai fatti, se Mosca chiama, Pechino, per ora, risponde.
L’Institute for the Study of War di Washington a proposito dell’ultima, sanguinosa battaglia di Soledar, una cittadina di 10 mila abitanti prima della guerra, praticamente distrutta dall’artiglieria russa, la definisce “una vittoria di Pirro dei russi”. È la prima avanzata in sei mesi e per il comando russo è un valore più propagandistico che sostanziale.
La vittoria è stata resa possibile dalla sinergia tra le famigerate squadre di mercenari della Wagner, reclutati da un oligarca ex galeotto tra detenuti condannati per crimini gravi (omicidi, rapine, stupri), e i militari “convenzionali” dell’esercito russo.
Il fondatore del gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin, sfidando il ministero della Difesa russo, ha rivendicato polemicamente il merito esclusivo della conquista di Soledar.
Tutto ciò si sta rivelando piuttosto pericoloso in quanto potrebbe far scattare la convinzione che il gruppo Wagner rappresenti non soltanto un’unità da combattimento più efficiente dell’esercito, ma rappresenti anche “l’avanguardia del nazionalismo militarista eletto a ideologia neoimperiale”
Putin sa bene che non può rischiare di dare ai militari troppa autonomia, e sta gestendo cinicamente lo scontro tra Prigozhin e i militari: ha tolto il comando della “operazione militare speciale” dalle mani di Sergey Surovikin, considerato il candidato di Prigozhin, ha recuperato Aleksandr Lapin, un altro generale inviso a Prigozhin, cercando di frenare l’avanzata dei falchi supernazionalisti che potrebbero finire fuori controllo. E il ministero della Difesa si è preso il merito sulla battaglia di Soledar, riconoscendo ai “coraggiosi” Wagner solo un ruolo minore nell’offensiva.
Insomma, Putin ha il suo bel da fare nel consolidare le istituzioni e nel tamponare le beghe di potere interne.
Anna Zafesova, su Affari Internazionali, analizza il fronte interno al Cremlino, concludendo che:
“Il consenso sul fatto che l’invasione dell’Ucraina sia stato un errore è abbastanza diffuso, molto meno condivisa è l’idea che la guerra vada fermata, e nello schieramento di chi vorrebbe vincerla – rendendosi conto che una sconfitta della Russia comporterebbe la fine del regime nel quale hanno finora prosperato – si fa sempre più strada il sentimento che non saranno Putin e i suoi generali a portare la vittoria. Una situazione in cui il tentativo di correggere gli equilibri del potere rinforzando le istituzioni potrebbe arrivare troppo tardi. Uno dei lati forti che Putin offriva al suo elettorato era uno Stato forte e monolitico che il presidente rappresentava, ma il patto diabolico firmato con un’armata di galeotti ha messo in crisi questa percezione”
Un’armata di galeotti che comincia a preoccupare anche gli Stati Uniti. Il consigliere del Dipartimento di Stato americano Derek Chollet ha espresso forte preoccupazione per le attività del gruppo Wagner e i suoi presunti tentativi di reclutare soldati in Serbia.
Il consigliere americano ha detto di aver espresso queste preoccupazioni durante i colloqui a Belgrado con il presidente serbo Aleksandar Vucic. “Abbiamo visto che il Gruppo Wagner sta cercando di reclutare soldati dalla Serbia e altrove e questo è qualcosa che pensiamo non si possa sopportare”, ha detto ai giornalisti dopo l’incontro il politico americano.
Il Wagner group di Prighozin si è vantato della sua presenza in Serbia, l’unico stato europeo oltre alla Bielorussia che non ha aderito alle sanzioni internazionali contro la Russia per la guerra ai danni dell’Ucraina. Il gruppo avrebbe annunciato l’apertura dei suoi uffici a Belgrado, cosa poi smentita.
La guerra, interna ed esterna, è oramai una necessità per Putin.
La foto del 7 gennaio, giorno del Natale ortodosso (ndr. di rito russo, cioè degli ortodossi minoritari), in cui il Presidente appare solo nel partecipare alla funzione religiosa nella Cattedrale dell’Annunciazione, all’interno del Cremlino, completamente vuota, racchiude il silenzio codardo del popolo russo.
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