Le follie della narrazione politica in Italia

In copertina un’immagine del Parlamento che rispecchia perfettamente questi nostri giorni autunnali.

Gianvito Pugliese

Sarebbe comico se non fosse tragico, titolava uno spettacolo che metteva a confronto due autori della commedia del ‘900, Karl Valentin, antesignano del teatro dell’assurdo e Achille Campanile, uno dei padri della commedia all’italiana.

Ebbene, mai definizione fu più azzeccata a proposito della narrazione della politica italiana. Salvini, diserta la riunione di maggioranza e ci propone ed impone un presidente della Camera dei Deputati (eletto), dichiaratamente omofobo, misogino, sessista, razzista, anti abortista, anti divorzista e chi più ne ha più ne metta, mentre Berlusconi scrive un pizzino (lo chiama così La Repubblica) che, “casualmente”, lascia esposto ai cannoni dei fotoreporter a Palazzo Madama, in cui riempie di epiteti ingiuriosi e sgradevoli la leader di Fratelli d’Italia, l’unica che ha stravinto le elezioni, portando il suo partito a valere percentuali più del resto della coalizione e cioè della Lega, Forza Italia e Noi al Centro messi insieme. La Meloni risponde a Berlusconi: “Io non sono ricattabile“. Ed ora, dopo le consultazioni di Mattarella, il 19 e 20 p.v., ad incarico esplorativo assegnato, dovrebbero sedersi ad un tavolo da bravi commensali per l’assegnazione dei ministri, dei sottosegretari e compensazioni di sottogoverno varie.

Poco da dire, la coesione granitica e la compattezza ferrea del centrodestra, di cui ha appena finito di tessere le lodi a Rai news24 Maurizio Gasparri, da sempre in ritardo nello scoprire le novità, si è squagliata come neve al sole il day after della votazione. Tra parentesi Ignazio La Russa è diventato Presidente del Senato con l’aiutino da casa di 17/19 voti dell’opposizione, dopo che Berlusconi ha fatto astenere i suoi dal voto. Voteranno, infatti, di Forza Italia solo lui e la Casellati.

Poco da dire, Meloni e FdI sono sotto il fuoco amico incrociato di Lega e Forza Italia. Difficile che i due maschi alfa del centrodestra italiano accettino di essere subordinati ad una donna, che -per giunta- nelle urne li ha letteralmente stracciati.

A sinistra andrebbe quasi peggio, se fosse possibile. Servirebbe l’unità, almeno ora, e ci ritroviamo tre opposizioni, che odiano più i colleghi che gli avversari: prima Pd e Si+Verdi (+Europa e Di Maio-Tabacci non hanno passato la soglia di sbarramento), con il 26,13%; seconda i pentastellati di Grillo-Conte, rinnovati e col vestitino nuovo, al 15,43%; terza ed ultima Azione e Italia Viva col 7,79% (dati Viminale relativi a Camera dei deputati).

Esulta Salvini “per essere il secondo partito della coalizione vincente”, anche se dal 33% delle Europee del 2019 cala a percentuali ad una cifra, ergo sotto il terzo di quel momento favorevole. E gioisce pure Conte, che rispetto alle precedenti politiche cala alla metà, cioè dal 34 al 16,9% e che, in effetti, senza la mossa grillina del totale rinnovamento, si sarebbe trovato anche lui ad una cifra. In un altro Paese occidentale leader politici che avessero un tale comportamento sarebbero immediatamente sottoposti ad un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio, per malati mentali pericolosi per se e per gli altri).

Matteo Renzi, nel bel mezzo dell’elezione, cala la rete e pesca Carlo Calenda. Grazie all’alleanza con Azione, Italia viva resta viva e supera la soglia di sbarramento col 7.9% come totale tra i due. E pur rimanendo Italia Viva intorno al 2%, incarta 5 parlamentari al Senato contro i 4 del presunto socio di maggioranza. L’abilità di Renzi a far ingrassare la sua formazione, alle spalle dei soci, è proverbiale. Calenda sembra non se ne sia ancora accorto.

Tutti contro Enrico Letta, reo di aver portato i resti della coalizione di centrosinistra al 26,13 ed a conti fatti (ancora approssimativi) il PD al 18,5%, mentre lo aveva ereditato da Zingaretti, segretario uscente, col 17,9%. I dati reali li avremo a gruppi definiti a Palazzo Madama e Montecitorio.

Letta si dimette, in realtà, per non essere riuscito a tenere insieme quel campo largo che, a conti fatti avrebbe superato, anche se di stretta misura il centrodestra. Vero, ma vero pure che le divisioni e sottodivisioni tra le forze di sinistra sono altrettanto proverbiali. Basta una virgola in più o in meno nel resoconto finale di un incontro, per provocare una scissione interna e la formazione di un’altra componente.

La cosa assurda e che, alle facce di corno che si vantano di memorabili sconfitte, nessuno (tra Colleghi dei media e accalorati cybernauti, che sentenziano dall’alto, manco fossero un incrocio tra Biagi e Montanelli) oppone nulla. Spopola la caccia all’unico incolpevole, se non di aver parlato agli elettori dicendo la verità (imperdonabile in un’elezione italiana) e così facendo condannando a morte il suo partito. Il nuovo sport nazionale, oltre che saltare sul carro del vincitore, gettare la croce addosso ad Enrico Letta.

Quest’ultimo una colpa effettivamente ce l’ha, ed è quella di non essere riuscito ad eliminare a suo tempo le deleterie correnti e ridimensionare il potere dei rispettivi capi bastone. Non si possono definire diversamente. I nomi? Non servono, li conoscete tutti benissimo, è una vita che sono li a disputarsi poltrone. Epperò, tutti “i cittadini cosiddetti informati” criticano, per scimmiottamento ed imitazione degli arruffa popolo, eternamente loquaci, senza che nessuno provi a ragionare seriamente sui numeri e sull’accaduto. Che pochi, in questo popolo sventurato di smemorati, ricordano esattamente,

La tristezza è che non abbiamo più veri leader ed uno era comparso all’orizzonte e ci aveva riportati per mano al vertice dell’Europa ed è stato subito gambizzato. Metodi da mafia? Infatti, mica Vi sbagliate, care lettrici e lettori.

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