Medico ottantenne uccide la moglie malata
Un dramma di disperazione e di amore. ha commentato il pm
Gianvito Pugliese
Avrei preferito, anche oggi, scrivere solo di cose allegre, ma il mondo è fatto di gioie e dolori, più secondi che prime, se è vero che si cresce, purtroppo, nel dolore, e a noi, che abbiamo scelto di fare questo mestiere, tocca raccontare onestamente i fatti del mondo, e talvolta interpretarli. Mi piaccia o no il dolore fa parte della vita, devo rassegnarmi a scriverne e Voi, gentili lettrici e cari lettori, a leggerne.
Il fatto. Un medico ottantenne, ovviamente in pensione, nella notte tra il 24 ed il 25 ha ucciso con due colpi di pistola la moglie coetanea, gravemente ammalata da tempo. Ultimamente, la povera donna si era aggravata in modo irreversibile.
I magistrati incaricati del caso cercano di capire se la vittima possa aver in qualche modo sollecitato il marito a sottrarla alle sofferenze. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Barbara Mazzullo, sono affidate ai carabinieri, che sono arrivati immediatamente sul luogo del delitto, allertati da uno dei figli della coppia, che si trovava insieme alla sua fidanzata ed alla badante dei due anziani, in casa dei genitori al momento dell’omicidio.
L’arrestato è un medico, la moglie un’ex insegnante, entrambi molto conosciuti ad Amelia e nel territorio.
Al pm che lo ha interrogato, subito dopo l’arresto, ha confessato il delitto “serenamente e con grande dignità”. E, durante l’interrogatorio l’anziano medico sì sarebbe descritto come particolarmente “angosciato” per le condizioni della moglie.
Il Procuratore capo di Terni ha dichiarato: “un gesto di disperazione, di amore per quanto appare un ossimoro” .
Il Sindaco di Amelia, comune umbro di meno di 11.500 abitanti in provincia di Terni: “ Amelia è una città sconvolta da questa tragedia” Poi: “Una famiglia conosciuta e stimata, non solo nell’ambito professionale, una donna solare, socievole e giovanile. Questa notizia ci addolora e sconvolge profondamente tanto più in un giorno particolare come quello di oggi”. Ed ha aggiunto che l’amministrazione comunale valuterà nelle prossime ore eventuali iniziative ufficiali.
Anche Francesco Soddu, vescovo della Diocesi di Terni – Narni – Amelia, nella messa di Natale ha ricordato l’ex insegnante uccisa dal marito.
Proviamo ad articolare qualche riflessione in proposito. Il medico. di cui non conosciamo il nome, ma poco importa, sembra abbia inteso alleviare le sofferenze dell’adorata moglie, la cui vita si stava spegnendo nel dolore sempre crescente.
Una sorta di suicidio assistito o morte “dolce”. Nel nostro Paese, la legge relativa, tra un rinvio e l’altro sembra sia una riedizione aggiornata e corretta de “La storia infinita”. La chiesa, grazie ad un’iniziativa forte di Papa Francesco ha già fatto un grosso, dal suo punto di vista, passo avanti. Si è pronunciata contro “l’accanimento terapeutico”, ma sul suicidio assistito non è che faccia orecchie da mercante, è proprio sorda come una campana: “la vita appartiene a Dio e solo Lui può toglierla”.
Ora siamo in uno stato laico. Dare a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio è un sano principio, non sempre applicato fino in fondo. La pressione della Chiesa cattolica si fa sentire in diverse occasioni e questa è una di quelle. Finanche recentemente sul disegno di legge Zan, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, la Chiesa ci ha messo del suo per fermarlo. Sollevava questioni marginali che interessavano le scuole cattoliche, ma ha fatto da sponda a quella destra retriva, omofoba e razzista che quel disegno di legge lo vedeva e lo vede come un toro un drappo rosso. Intendiamoci non tutti fortunatamente nel centrodestra condividevano, ma l’ala più oltranzista, tanto per cambiare, ha preso il sopravvento ed ha condizionato il verdetto finale, una bocciatura che suona come una campana a morto su una norma di civiltà ben vista dalla stessa Unione europea.
E se sul disegno di legge Zan la chiesa obiettava questioni marginali, mentre ad oggi sul suicidio assistito c’è un’avversione ideologica totale, giustificata come questione fondamentale di fede.
A volte mi chiedo se il potere temporale del Papa re sia davvero finito con la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870). La pretesa d’influire profondamente, fino ad incidere sulle norme di un Paese, ed in Italia, ogni volta che una norma sfiora semplicemente principi o interessi della Chiesa, l’intervento e la pressione sulla politica è scontato, è tuttora viva e vegeta. Il potere temporale, sia chiaro, non lo si adopera unicamente esercitandolo su una porzione di territorio con truppe e sgherri (lo Stato pontificio fu uno degli ultimi ad abolire la pena di morte, sic!), lo si usa assai meglio condizionando le scelte legislative di un Paese, per altro dichiaratamente e formalmente laico.
Ma non è questa la sede per chiarire i rapporti Stato-Chiesa. Sta di fatto che in assenza di attività tempestiva del legislatore, nella magistratura è invalsa l’abitudine di surrogare il legislatore omissivo con l’interpretazione “creativa”. Interpretando, dove c’è il vuoto, di fatto si crea una disciplina per sentenza e non per opera del legistatore.
Così la Corte Costituzionale (sentenza 242/2019), per accedere alla morte “medicalmente assistita” fissa quattro condizioni che dovranno essere verificate dal Comitato etico. Se rispettate, viene meno il delitto a carico di chi in qualunque modo abbia assistito il malato.
Un iter fatto di decisioni e controdecisioni dei Tribunali, con la Asl che tende ad affossare in mancanza di regole prefissate, che richiede tempo di cui spesso e volentieri il paziente, che soffre più di un cane, non dispone.
L’anziano medico conosce per mestiere le difficoltà, sa pure che la Chiesa non è certo generosa nei confronti dei suicidi, quale che sia la ragione del gesto. Decide allora di porre fine alla vita, ormai non più degna di quel nome, fatta solo di sofferenze fisiche e psichiche della donna che ama ed ha amato per tutta la vita. E decide pure di assumere su di se tutte le colpe. Lei non è suicida, è una vittima e, anzitutto, provvede a mettere fine in un attimo a degrado e sofferenza.
La sofferenza alla quale non può porre fine è la sua. Una sofferenza che lo tormenterà ogni volta che ricorderà, che ci penserà, che l’assenza di quella mano da stringere sarà incontenibile.
E questo rende il suo gesto qualcosa che va oltre l’eroismo. Il procuratore capo ha usato due parole per qualificare il gesto: “disperazione” ed “amore”. Ha ragione. Ma c’è qualcosa di più complesso e profondo, che solo chi dalla vita è condannato a vivere determinati momenti e certe esperienze segnanti, può capire fino in fondo.
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