Meglio prevenire che curare!
Il 9 maggio di Putin e l’altro 9 maggio
Giovanna Sellaroli
Giorno 76 della guerra, stando alle notizie lanciate dalle ultime agenzie è iniziato l’attacco finale alle acciaierie di Azovstal, dove ieri, mentre andava in scena la parata militare a Mosca, sventolava la bandiera ucraina. Una serie di raid missilistici su Odessa ieri sera, tre missili ipersonici hanno colpito un hotel. Si registra almeno un morto, e cinque feriti; colpito anche un centro commerciale. In mattinata, sempre a Odessa, un bombardamento russo aveva costretto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel a cercare riparo nei rifugi. Nella notte un missile ha distrutto il Monastero di San Giorgio di Svyatogorsk di epoca cinquecentesca.
Così l’esercito russo festeggia il 9 maggio, sparando e bombardando all’impazzata contro le città ucraine.
Le ultime notizie dal fronte stridono con le immagini della colorita parata militare messa in scena ieri a Mosca dal regime dello zar di Russia, una gelida pagliacciata d’altri tempi, di hitleriana memoria. “Gloria alle nostre valorose Forze Armate! Per la Russia! Per la vittoria! Urrà!”, con queste parole, Vladimir Putin ha inteso calare il sipario sulla parata per la Giornata della vittoria sulla Piazza Rossa.
Copertina sulle gambe durante la sflilata, tanti i deliri complottisti nel discorso; un discorso tanto atteso quanto fasullo, antistorico e retorico, di cui ogni commento mi risulta superfluo, mi limito solo a una sintesi giornalistica in ottica putiniana: siccome stavamo per invadere la Russia, Putin ha dovuto gioco forza invadere l’Ucraina! Chiaro no? “La Russia ha risposto preventivamente all’aggressione”, dunque come si suol dire, meglio prevenire che curare!
Se non fosse per chi ci crede, sarebbe inutile e ridicolo soffermarsi a commentare certe affermazioni, ma, ahimè, c’è chi ci crede…
Resta il fatto che questo discorso, dagli analisti giudicato in tono minore, va a cozzare con gli attacchi di queste ultime ore, sferrati dai russi in terra d’Ucraina.
Giornata densa quella di ieri: mentre Mosca sfilava, nell’ altro 9 maggio, quello europeo, si celebrava la Giornata dell’Europa, istituita per ricordare la dichiarazione con cui in quello stesso giorno del 1950 il ministro degli Esteri francese Robert Schumann propose la costituzione della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che diede avvio al processo di integrazione europea.
E, sempre il 9 maggio, ricorre anche l’anniversario della fine della seconda guerra mondiale con la resa incondizionata della Germania hitleriana alle potenze alleate. Un anniversario che Putin quest’anno ha insanguinato con i massacri perpretati a Bucha, Irpin, Kramatorsk. Proprio in questi minuti, il governatore di Kharkiv, ha detto che sono stati ritrovati 44 morti sotto le macerie di un palazzo a Izyum. Ammontano a 10.619 i crimini di guerra e di aggressione registrati da inizio conflitto in Ucraina, lo fa sapere la Procura generale di Kiev, diffondendo una sintesi dell’attività svolta dal 24 febbraio. La quasi totalità dei crimini di guerra riguardano il mancato rispetto del diritto bellico.
Nell’altro 9 maggio, un altro discorso, quello del Presidente Emmanuel Macron, che parlando a Strasburgo alla chiusura della Conferenza sul futuro dell’Europa, ha gelato Kiev con l’affermazione che per entrare nell’UE ci vogliono diversi anni.
Ha poi precisato che è l’ora della tregua e che la pace non si ottiene umiliando la Russia.
Ma chi vuole umiliare la Russia?
La nuova Europa di Macron si è andata delineando nelle parole di ieri, in cui, pur non nascondendo le difficoltà, ha proposto, ribadendo una questione già sollevata, la revisione dei trattati dell’Ue, «dei quali si può parlare già nel prossimo Consiglio», e un ampio progetto per migliorare l’indipendenza e la sovranità dell’Unione.
Eppure, a livello europeo continua a rivelarsi incredibilmente difficile la messa a punto delle sanzioni, infatti è ancora stallo sul sesto pacchetto di sanzioni che, tra le altre cose, introduce l’embargo del greggio russo tra 6 mesi e dei prodotti raffinati entro fine anno. Questo malgrado il G7, intanto, abbia messo nero su bianco l’impegno a fermare l’import del greggio.
In tale contesto, oggi Mario Draghi oggi vola a Washington per incontrare il presidente degli Stati Uniti Joe Biden alla Casa Bianca, tra le priorità in agenda il coordinamento con gli Alleati sulle misure a sostegno del popolo ucraino e di contrasto all’aggressione ingiustificata della Russia, le relazioni bilateriali, la sicurezza energetica e non solo, entrambi i presidenti condividono lo scopo di tenere a bada l’inflazione.
E mentre Draghi, un gigante dell’Europa, come lo ha definito il New York Times alla sua elezione, va in Usa, in Italia si scatenano insensati mal di pancia.
Nella maggioranza non si fermano polemiche e distinguo, soprattutto riguardo al nuovo invio di armamenti a Kiev, così come stabilito dal recente vertice Nato a Ramstein. La linea rossa da non oltrepassare, avverte il ministro Luigi Di Maio, è quello della legittima difesa dell’Ucraina. Ovvero: “Dobbiamo supportare l’Ucraina e il suo esercito per la sua legittima difesa e allo stesso tempo l’Italia continuerà a lavorare per la pace. Ma non possiamo pensare di fornire armi per colpire il suolo russo, come ha detto il Regno Unito”, condividendo quello che ha detto Giuseppe Conte.
Considerando i lanci di missili ipersonici piombati in queste ore su Odessa, queste precisazioni risultano quanto meno anacronistiche.
Il presidente dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, aveva infatti chiesto un passaggio in aula sulla cessione di armi all’Ucraina. In tono acceso aveva stigmatizzato il “gran rifiuto” di Mario Draghi, scagliandosi in una crociata personale, ormai quotidiana, contro Draghi.
Intanto ricordo che il passaggio in Parlamento c’è stato, proprio su questo, il 1° marzo è stata votata una risoluzione, e il M5S di Conte votò sì. Non è cambiato nulla da allora.
Insomma un’offensiva su tutti i fronti nei confronti del Premier, quella intrapresa dall’avvocato del popolo, a partire dal delicatissimo tema dell’invio di armi in Ucraina, al decreto Ucraina bis, fino al Superbonus e al termovalirizzatore a Roma. Un attacco a 360 gradi pure sul Dl aiuti, “si è consumato un ricatto”, ha gridato e sulla Rai, riesumando il tema della tv di Stato, tanto da evocare persino la “censura”.
Pruriti da campagna elettorale? Desiderio di vendetta? O più bonariamente, restituire un favore all’amico Vladimir?
Dal canto suo, l’alleato Matteo Salvini incalza: “Spero che il viaggio di Draghi in America porti pace e non altre armi: i due contendenti vogliono sedersi al tavolo della pace, non vorrei che altri non lo volessero…”, e dispensa apprezzamenti anche “per alcuni esponenti del Pd che hanno corretto la linea del falco Enrico Letta”.
Insomma tutti folgorati sulla via di Damasco da un pacifismo in salsa russa.
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