Nel mondiale rosso sangue in Qatar, l’Argentina vola in finale
La coppia Messi – Julian Alvarez neutralizza la Croazia. Attesa per la semifinale tra Francia e Marocco. I diritti negati e la strage di operai in un Qatar che corrompe anche pezzi dell’Unione Europea
Giovanna Sellaroli
Prima semifinale del mondiale in Qatar 2022 con l’Argentina che si impone sulla Croazia per 3 a 0.
Dopo aver rischiato di uscire alla prima partita, persa contro l’Arabia Saudita, l’albiceleste vola in finale, dominando gli avversari croati grazie alle straordinarie magie della “Pulce”, Leo Messi, e di un grande Julian Alvarez.
Con questo risultato la squadra di Scaloni torna in finale dopo 8 anni. Super partita di Messi, bene tutta la tre quarti dell’Albiceleste, mentre la Croazia crolla. Solo Modric si salva: Gvardiol e Lovren sbagliano più volte mentre Perisic delude non poco.
Ritmi bassi in avvio, con le squadre che si alternano nel palleggio, quasi a evitare il tiro in porta, fino al 33′, quando Julian Alvarez solo davanti a Livakovic lo salta con un pallonetto. Il portiere croato cerca di rimediare stendendo l’attaccante di proprietà del Manchester City; l’arbitro italiano Orsato mostra il cartellino giallo e concede il calcio di rigore all’Argentina. Sul dischetto, Messi calcia forte sotto la traversa e porta avanti la sua squadra.
Con il gol alla Croazia, il capitano della Nazionale argentina raggiunge quota 11 gol in carriera, diventa così il miglior marcatore di sempre dell’Argentina ai Mondiali, e scavalca Gabriel Omar Batistuta, che ne realizzò 10 in tre edizioni.
Una manciata di minuti più tardi Alvarez corre per 50 metri palla al piede e segna il 2-0. Nella ripresa, straordinaria azione di Messi che va via sulla destra e mette in mezzo un pallone che Alvarez deve solo buttare in rete. Un magnifico assist ancora per Alvarez che chiude il discorso sul 3-0.
Il resto della gara è noia.
Un Messi straordinario, il degno erede di Maradona, porta la Seleccion alla vittoria netta contro la Croazia.
E ora, per l’Argentina di Messi porte spalancate alla finalissima. Intanto stasera si gioca l’altra semifinale, Francia Marocco, uno strano “derby” che va oltre il campo e rappresenta molto più di una semifinale.
Mi ero ripromessa di non seguire affatto questo mondiale, e in effetti, per quanto appassionata di calcio, di partite non ne ho praticamente viste, ho solo sbirciato le sintesi dei momenti topici; nelle mie intenzioni i mondiali in Qatar, tra i più sporchi e sanguinosi della storia, andavano boicottati.
I dati davvero inquietanti, perlopiù rivelati da un’inchiesta del Guardian risalente al febbraio del 2021, suonano come un sonoro schiaffo alla sacralità della vita e alla dignità umana, ma si sa, è puerile e banale opporsi ai colossali interessi che hanno mosso questo evento. Basti solo pensare a quanto sta accadendo in queste ore a Bruxelles, allo scandalo per corruzione, alle mazzette pagate dal Qatar, che ha travolto il Parlamento europeo e che ha messo più che mai al centro del dibattito la questione della mancanza di una sufficiente trasparenza nei rapporti con le lobby. E poi, lo sappiamo, il calcio è sempre stato l’oppio dei popoli. Toglieteci tutto, ma mai il pallone.
In Qatar sono morti più di 6.500 lavoratori. E questi sono solo quelli provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. Ma non si hanno dati sui lavoratori migranti da Paesi come le Filippine e persino dal Kenya. Insomma una strage silenziosa iniziata molti anni fa.
Secondo il Guardian, che ha raccolto i dati da fonti governative, ogni settimana in media sono morti 12 lavoratori dal dicembre del 2010, da quando è stata assegnata la Coppa del mondo al Qatar.
Ma in realtà il problema dei lavoratori morti nei cantieri risale a tempo addietro. Già nel settembre 2013, l’International Trade Union Confederation aveva messo in guardia che il Mondiale avrebbe potuto costare la vita a circa 4000 persone. Due mesi dopo, Amnesty International aveva diffuso un report nel quale denunciava lo sfruttamento dei lavoratori migranti in Qatar. Poi, nel gennaio 2014 il Guardian scriveva che 185 nepalesi erano morti nell’ultimo anno nei cantieri qatarioti. La prima grande inchiesta giornalistica su questo tema, condotta dal Washington Post, risale al maggio 2015 e individuava 1200 operai morti.
A tutt’oggi è impossibile avere dati certi sulle morti avvenute nei cantieri di Qatar 2022, poiché le autorità tenute a controllare non sono affidabili, anzi secondo le fonti ufficiali del governo qatariota, all’epoca dell’inchiesta del Washington Post non si era verificato alcun decesso nei cantieri dei Mondiali.
Valigia blu, sito web di notizie e media, racconta la storia di Madhu Bollapally, 43enne lavoratore indiano, morto a fine 2019, trovato senza vita nel suo appartamento. “Le autorità locali hanno registrato il suo caso come ‘morte per cause naturali’, senza ulteriori spiegazioni. Bollapally lavorava nei cantieri di Qatar 2022, esposto a turni massacranti spesso sotto il sole cocente, condizioni che avrebbero alla lunga debilitato il suo fisico, fino alla morte. Ma siccome non è deceduto sul lavoro in un chiaro incidente, non è considerato una delle vittime del Mondiale. Così come tutti i lavoratori morti in qualsiasi altro modo in un cantiere in cui non si costruivano stadi, ma strade, hotel o altri edifici che non sono direttamente collegati al torneo, ma che evidentemente vengono costruiti per quel fine”.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite ha evidenziato come i lavoratori siano stati costretti per almeno quattro mesi all’anno ad affrontare un notevole stress da calore quando lavoravano all’aperto. A ciò si aggiungono anche altre tipologie di decessi, come incidenti stradali, suicidi o infortuni sul lavoro.
Sempre secondo le fonti ufficiali del Governo qatariota, la gran parte dei decessi sarebbe attribuibile a “cause naturali”, la ragione usata nel 69% delle morti: in questa casistica rientrano spesso gli infarti o l’insufficienza respiratoria. Cause obiettivamente improbabili per degli individui di giovane età e di buona salute, caratteristiche necessarie per un lavoro nel settore dell’edilizia.
Peraltro, in un Paese con un sistema sanitario altamente avanzato resta un mistero come la maggior parte dei decessi sia stato definito ‘naturale’. “Il tasso di mortalità tra queste comunità rientra nell’intervallo previsto per le dimensioni e la demografia della popolazione. Tuttavia, ogni vita persa è una tragedia e nessuno sforzo viene risparmiato nel tentativo di prevenire ogni morte nel nostro Paese”, ha dichiarato un portavoce del Qatar, come riferito anche dal Guardian.
“Siamo profondamente dispiaciuti per tutte queste tragedie e abbiamo indagato su ogni incidente per assicurarci che le lezioni fossero apprese. Abbiamo sempre mantenuto la trasparenza su questo problema e contestiamo affermazioni inesatte sul numero di lavoratori che sono morti sui nostri progetti”. Le pressioni internazionali hanno obbligato la FIFA ad adottare i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani nel 2016 e a promulgare una politica sui diritti umani nel 2017, senza però chiedere mai al Qatar di seguirne i princìpi, come ha evidenziato anche Human Rights Watch.
Lo sforzo compiuto dal Paese arabo per ospitare a tutti i costi, il Mondiale è stato enorme e folle, probabilmente insostenibile per qualsiasi altra nazione al mondo. Sei stadi sugli otto che stanno ospitando le partite sono stati costruiti in pieno deserto, al costo di oltre 220 miliardi di dollari (quelli stimati), senza contare la costruzione delle infrastrutture necessarie ad ospitare un evento, immaginato e voluto di portata ipertrofica. Tutto questo è stato fatto in soli 12 anni, grazie allo sforzo, e sulla pelle, di 30mila operai arrivati da Bangladesh, India, Nepal e Filippine.
Una prima denuncia sulle condizioni degli operai è arrivata nel 2016 da Amnesty International, secondo cui i lavoratori erano alloggiati in case misere, subivano trattenute dallo stipendio e avevano persino subito la confisca del passaporto. Nel 2021 Human Rights Watch ha denunciato come molti di questi operai siano stati costretti a lavorare col sistema della “kafala”, in pratica una sponsorizzazione del datore di lavoro che impediva agli operai di lasciare il Paese senza l’approvazione di quest’ultimo. Vale a dire schiavitù.
I lati oscuri di questo mondiale rosso sangue sono ancora molti, oltre alle morti sul lavoro, la corruzione pesantissima ha giocato, è proprio il caso di dirlo, una partita fondamentale e lo stiamo vedendo in questi giorni a quali livelli è giunta. Ma, come se non fosse abbastanza, su questo mondiale pesano come un macigno il mancato rispetto per i diritti civili, e la condizione delle donne, la cui vita è ancora legata alla legge sulla tutela maschile.
Prima del fischio d’inizio delle gare, le restrizioni sulla vendita e il consumo della birra hanno sollevato grandi polemiche. Ma c’è un altro tema, forse più rilevante, sul quale sono state elevate disapprovazioni, quello dei diritti degli omosessuali e in generale della comunità LGBT+. In Qatar l’omosessualità tra uomini è un reato, così come lo sono i rapporti sessuali fuori dal matrimonio.
Come ha sottolineato Amnesty international, negli scorsi mesi diverse persone omosessuali e transessuali sono state arrestate in luogo pubblico, e obbligate anche a seguire le terapie di conversione. In un’intervista di inizio novembre all’emittente tedesca Zdf, l’ambasciatore dei mondiali in Qatar, Khalid Salman, ha dichiarato che gli omosessuali in arrivo nel paese per seguire la competizione sportiva “dovranno stare alle nostre regole”, sottolineando poi che “l’omosessualità è un danno psichico”.
Le autorità del Qatar avevano anche vietato l’esposizione di bandiere arcobaleno durante gli eventi sportivi, una proibizione che alcune aziende hanno deciso di aggirare.
Insomma benvenuti nell’inferno dorato qatarino.
E qual è la posizione della Fifa di fronte a tutto questo?
“Per favore, ora concentriamoci sul calcio”. Dice questo la lettera che la FIFA ha inviato a tutte le 32 nazionali che si accingevano a partecipare ai Mondiali in Qatar, resa pubblica da Sky News il 4 novembre.
Qatar 2022 è qualcosa di molto lontano da un evento sportivo, anche se importante: nei quasi dodici anni trascorsi dall’assegnazione del torneo al paese arabo, di tutto si è trattato, fuorché di sport.
E ora, a pochi giorni dal gran finale, la longa manus del potere e del Dio quattrino, è rimbalzata a Bruxelles, sotto accusa per corruzione.
La magistratura ha deciso di convalidare il fermo di quattro delle persone arrestate nei giorni scorsi: l’ex deputato Antonio Panzeri, il suo ex assistente (e attuale assistente di Andrea Cozzolino), Francesco Giorgi, il segretario generale della ong No Peace Without Justice, Niccolò Figà-Talamanc e la vicepresidente dell’Aula Eva Kaili. Quest’ultima, trovata con ingenti somme di denaro contante nella casa in cui vive con il suo compagno Giorgi, è stata già sospesa dal suo gruppo politico, quello socialista, ed espulsa dal suo partito nazionale, il Pasok, e destituita da vice-presidente. Oggi agli arresti.
Del calcio cosa resta?
A parte le acrobazie in volo, i pallonetti, i dribbling, le performance di Messi, la spettacolare sforbiciata di Richarlison (gol del 2-0 del Brasile contro la Serbia) o il bellissimo gol di Mbappè (quasi un calcio piazzato che s’infila sul sette alla destra del portiere polacco Szczesny per il 2-0 di Francia-Polonia), rimane indelebile l’immagine toccante dei calciatori iraniani che non cantano l’inno per protesta contro il regime che opprime, uccide, tortura le donne e i giovani che protestano contro la Repubblica islamica.
E del calcio, soprattutto, rimane scolpita la straordinaria vittoria della nazionale del Marocco, che arrivata in semifinale, ha fatto la storia: è la prima nazionale africana ad arrivarci in un Mondiale. Ma c’è di più, molto di più.
“E’ un risultato incredibile, inaspettato, una vittoria importantissima per chi specula e strumentalizza sul tema dell’immigrazione e dell’integrazione“. A commentare così a caldo con l’Adnkronos la sorprendente vittoria del Marocco che ha clamorosamente sbaragliato il Portogallo, è la giornalista marocchina Karima Moual, che non nasconde l’emozione per la vittoria della sua nazionale. “Nessuno ci credeva, ma noi volevamo crederci, contro ogni pronostico, non ci davano certo come una delle squadre favorite per la semifinale, ma i ragazzi ci hanno messo il cuore“, spiega.
È un segnale molto importante rimarcare il tema dell’integrazione, particolarmente in un Mondiale dove i diritti sono stati i protagonisti in negativo, negati, contraddetti, oscurati.
“Questi ragazzi sono nati o cresciuti all’estero ma non dimenticano le loro radici, e questo è il loro punto di forza: conoscere la propria provenienza rafforza la propria identità e crea identità pacifiche. Questo è il mondo del futuro“. Una vittoria che è dunque, per la cronista Moual, un inno alla pace e all’integrazione.
E quella di stasera tra Francia e Marocco è una semifinale mondiale del tutto inaspettata, una partita dai mille risvolti storici e politici. Nella sua storia, la Francia ha già incontrato su un campo di calcio una selezione di un Paese che faceva parte del suo ex impero coloniale.
Oggi in Francia vive una grande comunità di immigrati marocchini (poco più di 700mila) e molti francesi di origine marocchina hanno la doppia cittadinanza. Le vittorie in serie della selezione marocchina, sottolinea la stampa francese, hanno provocato una sorta di sindrome da ‘Maghreb Unito’, unendo sotto un’unica bandiera anche gli algerini, al di là delle rivalità tra Stati.
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