Qualcuno salvi la Lombardia

Il “modello Lombardia” semplicemente non esiste e rischia di trascinare giù anche Salvini, che appare sempre più nervoso.

Vito Longo

Intendiamoci, in premessa, era facile prevedere che, se il virus avesse sfondato in Italia, in particolare al Nord, la zona più esposta sarebbe stata la Lombardia. La regione del centro-Nord produce, da sola, il 21% del Prodotto Interno Lordo nazionale ed è unanimemente riconosciuta come regione locomotiva d’Italia grazie alla sua forte vocazione industriale. D’altronde, guardando fuori dai confini nazionali, il Covid-19 si è diffuso allo stesso modo, prevalentemente nei tessuti urbani a forte densità abitativa ed industriale. Madrid è stata funestata; anche Parigi e Londra, seppur in maniera meno marcata della capitale spagnola, sono state colpite duramente. Oltreoceano è impossibile non provare dispiacere per l’impatto devastante che il contagio da Coronavirus sta avendo su New York, la città probabilmente più “connessa” nel mondo.

Ciò che, però, non era assolutamente prevedibile era il drammatico numero delle vittime che si sono registrate e che, ancora, continuano ad esserci ogni giorno.

Facciamo qualche passo indietro.

Sin dai primi momenti della crisi in Italia, il rapporto tra regione e governo centrale è stato, quantomeno, all’insegna di freddezza e distacco. Ad ogni nuovo D.P.C.M. la regione guidata da Attilio Fontana controbatteva, ora accusando il governo di scarsa tempestività, ora di scarso polso, ora di eccessiva rigidità. Alle critiche si sommava sistematicamente un rimpallo continuo di responsabilità che, francamente, non è stato edificante per nessuno. Esaurita o, semplicemente, attenuata la fase di vivacità dialettica col governo, è iniziata quella con i sindaci. A finire nel mirino di alcuni primi cittadini lombardi è stata la mala-gestione della giunta Fontana. Il giudizio molto severo è stato, soprattutto, dettato dal ritardo della Lombardia nel “tamponare” tanti cittadini che, pur palesandone i sintomi, non venivano sottoposti a verifica di positività al Coronavirus a causa dello scarso numero di possibili diagnosi garantite.

Veniamo poi ai due nomi che, più di tutti, sono finiti sotto i riflettori in questi due mesi: Attilio Fontana, presidente della giunta, e Giulio Gallera, assessore al Welfare.

Fin da subito, le conferenze stampa dell’assessore sono somigliate più a delle passerelle elettorali, francamente inopportune, che ad aggiornamenti utili sulla situazione. In una di queste, quando ancora si era in una situazione gestibile, anche se già grave, si spinse oltre i limiti del buon gusto, oltre che della decenza, e si propose come prossimo candidato sindaco per Milano. Ognuno ha il sacrosanto diritto di avere ambizioni, ma non era quello né il tempo, né il luogo, né, tanto meno, il modo per sottoporlo all’attenzione. Spiace, in più, constatare come, spesso, le conferenze siano state e continuino ad essere auto-assolutorie e auto-referenziali. Indimenticabile, purtroppo, l’uscita alquanto avventata dell’assessore regionale lombardo al Territorio e Protezione Civile, Pietro Foroni, che ebbe la sfrontatezza di sostenere che loro non avevano sbagliato nulla nella gestione della crisi. Diciamo che con diecimila morti, la frase sembra quantomeno infelice. Francamente suona falsa.

Dispiace, poi, che l’ospedale da campo allestito in fiera, per il quale sono stati raccolti € 21.000.000, sia diventato l’occasione per uno spot elettorale. Si era partiti da 400 posti letto garantiti, con oltre 200 di terapia intensiva, per arrivare, in questi giorni, a numeri molto, ma molto più limitati. La nomina di Bertolaso, l’inaugurazione colma di gente: un gigantesco spot elettorale per (provare a) riabilitarsi agli occhi degli elettori, visto che i sondaggi li davano in deciso calo.

E così arriviamo a questi giorni. Grazie al direttore Gianvito Pugliese, stiamo seguendo costantemente la situazione giudiziaria che si sta sviluppando nel vero fallimento italiano, non solo lombardo. Parliamo delle RSA, o Residenze per anziani. A fare scalpore è, soprattutto, il nome di una struttura, già nota per altri spiacevoli fatti di cronaca giudiziaria: il Pio Albergo Trivulzio. Fu da qui che partì l’indagine di “Mani Pulite” che fece crollare la prima repubblica e segnò l’ascesa al potere di Silvio Berlusconi.
Le verità giudiziarie, come sempre, verranno scritte dai giudici. Quello che desta sospetto è il nervosismo palesato da Salvini negli ultimi giorni. Il leader leghista, non nuovo ad intrusioni del genere, si è spinto a definire l’avvio delle indagini un “atto di sciacallaggio”, seguito, a ruota, da Fontana e Gallera. Facciamo un’ipotesi: proviamo a pensare se la situazione lombarda fosse capitata in una regione del sud, magari a guida centrosinistra. In questo caso, quale sarebbe stato l’orientamento del senatore Salvini? Avrebbe tacciato la magistratura di sciacallaggio o avrebbe calcato la mano per ricavarne un vantaggio elettorale? Bibbiano docet (insegna).
Sente il fiato sul collo di Giorgia Meloni e registra un calo costante nei sondaggi, che premiano l’alleata-concorrente: le notizie che giungono da una regione fondamentale per la narrazione dell’efficienza leghista, non lo lasciano tranquillo. Salvini si gioca molto della sua presa sul popolo leghista su ciò che la Lega ha costruito al Nord: se dovesse crollargli questa carta, avrebbe scarse chances di proporsi come minimamente credibile agli occhi degli italiani. A ciò aggiungiamo anche il pragmatismo che sta mostrando Zaia, leader della Lega veneta. In molti indicano il governatore veneto come il vero e proprio “uomo forte” del centrodestra quando si dovesse andare al voto. Questa situazione delicata, quindi, rischia di compromettere la futura carriera dell’attuale leader del Carroccio, legittimamente preoccupato, dal suo punto di vista.

Anche a seguito di questa situazione, sui social si sta diffondendo l’hashtag: “Commissariate la Lombardia”. Non siamo tra i detrattori della regione, né godiamo a vederla in difficoltà, tutt’altro. E siamo abbastanza certi che questo sia anche il pensiero dominante di chi, in questi giorni, twitta l’hashtag. Un invito a far recuperare alla Lombardia una dimensione più consona al suo reale valore, piuttosto che un atto di dileggio. Perché sia davvero tutelata e preservata, nelle scelte decisive, la salute e la vita stessa, considerata in sé e non come merce di scambio per consenso a buon mercato, di milanesi e lombardi tutti .

Sentendo, infine, le dichiarazioni del presidente Fontana, che in queste ore si schiera a favore di una riapertura generalizzata dal 4 Maggio, si può ancor meglio comprendere lo smarrimento di tanti lombardi. La speranza è che l’intervento di diversi medici, Ricciardi, Galli e altri esponenti di prestigio, che spingono alla prudenza, porti la giunta lombarda a ponderare con molta attenzione le scelte da compiere. Proprio il professor Ricciardi, esponente del comitato tecnico-scientifico nominato dal governo, ha messo tutti in guardia dalla, pressoché acquisita, certezza che una seconda ondata arriverà in autunno. A ragione di ciò, quindi, è fondamentale non affrettare la tempistica della riapertura.

A fare un po’ da contraltare a questa difficile situazione c’è Milano. Anche nel capoluogo lombardo, la situazione invita alla prudenza. Tuttavia, una task-force di sindaci di tutta Europa, ha scelto come leader proprio Beppe Sala, sindaco della città meneghina.

Spiace, quindi, constatare, in conclusione, come non esista un reale “modello” italiano al quale ispirarsi. È certamente vero che abbiamo affrontato il virus per primi in Occidente, senza modelli ai quali rifarsi, eccettuate la Cina e altre realtà asiatiche diverse da noi per storia e cultura, ma, comunque, avremmo potuto far meglio. È anche il pensiero del Deep Knowledge Group, un consorzio privato internazionale coinvolto nell’high-tech, in particolare in materia di salute. Lo studio condotto ha preso in esame alcuni specifici parametri: sicurezza sanitaria, efficienza del trattamento e livello di rischio. Ebbene, in Europa, siamo al 32° posto, davanti solo alla Spagna.

Quali sono le motivazioni di questa posizione?

Diverse, a ben guardare.
Prendiamo in esame la Germania, al primo posto. Le terapie intensive garantite dalla Germania sono oltre 40.000; le nostre intorno a 12.000. La nazione tedesca ha, da subito, consegnato DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) per i sanitari e per i cittadini, predisposto un alto numero di respiratori e ventilatori polmonari ed, elemento che più segna la differenza con il nostro Paese, investito sull’assistenza domiciliare. L’efficacia della scelta di non procedere a ricoveri massicci sta pagando in termini di vite umane. I contagi della nazione tedesca, infatti, non sono di molto inferiori a quelli d’Italia, Spagna e Francia. Ciò che più salta all’occhio, invece, è il bassissimo numero di morti. L’Italia, e la Lombardia, di questo, ne è un esempio lampante, ha un’eccellente seconda linea sanitaria, ossia è in grado di garantire un’alta efficienza ospedaliera. Nella prima fase, però, ossia l’assistenza medica, è molto carente. Proprio in Lombardia si è registrato un duro scontro tra medici e regione. E, d’altronde, è normale che ci siano delle fibrillazioni in un Paese che conta 125 medici morti.

Le ragioni della difficile situazione lombarda, dunque, hanno origine da diverse carenze che, sommandosi, hanno originato la difficile situazione attuale. Ora è il momento di rimboccarsi le maniche e confidare che, presto, una lenta normalità possa ritornare. Proprio perché questo auspicio possa concretizzarsi, però, è non secondario che vengano accertate tutte le responsabilità. Non per trovare colpevoli da esibire in piazza, ma perché la Lombardia recuperi la sua dimensione più consona e possa, davvero, tornare a correre, magari facendo a meno di alcuni soggetti più colpevoli di altri.