Rapporto casi/test al 17,6%
A rischio la riapertura delle scuole avversata da diverse Regioni.
GP
Al momento è il tema del giorno. Qualcuno titolerà “Le Regioni contro la Scuola”, titolo di sicura presa ed effetto ma non certo rispondente ai fatti ed ai contenuti. Nessuno è contro la scuola, cara Ministra Azzolina. Apprezziamo il suo entusiasmo, la sua abnegazione nel difendere il settore a cui Ella è preposta, ma sarebbe un errore considerare o annoverare tra i “nemici della scuola” coloro che hanno perplessità e sollevano dubbi sul fatto che si possa tornare sui banchi come se il Covid-19 fosse sotto controllo nel Paese. I veri nemici della scuola, gentile e simpatica Ministra, sono quelle intere classi politiche che da decenni hanno sempre più falcidiato i bilanci della pubblica istruzione mentre il Paese alla scuola richiedeva sempre di più.
Non nascondiamoci dietro il dito, è inutile, quanto sciocco, in questa società, prima ancora che si parlasse di globalizzazione. E’ la famiglia che è venuta meno. No, non ha ceduto a causa dei divorzi, istituzione civilissima che ha posto fine a matrimoni sbagliati, a convivenze insopportabili, è venuto meno, anche nell’immaginario collettivo, uno di quei valori fondamentali del vivere sociale, maturato nel tempo, che identificava nella famiglia il nucleo primario della società e da questa faceva partire l’insegnamento dei valori morali e sociali di ciascuno di noi. Si diventava, a ragione o torto, grazie a genitori e nonni, al loro amorevole seguirci ed insegnarci, pian piano le donne e gli uomini di domani. Poi è arrivata la società del consumo e del benessere apparente. Il dio denaro ha sostituito in tutto e per tutto valori come onestà, probità, coraggio, abnegazione, amore per il prossimo.
Non sono un prelato e non voglio farvi la predica, per carità, non ne ho né i titoli, né le capacità per farlo, ma genitori sempre più interessati a portare a casa soldi e assicurare beni materiali e sempre meno dediti alla formazione dei figli hanno finito per delegare alla scuola compiti, che la scuola ha cercato di assolvere, ma non essendo né deputata, né preparata a svolgere ha assolto malissimo. I risultati sono stati e sono quelli che abbiamo tutti sotto gli occhi e non mi riferisco ai giovani, mi riferisco piuttosto ai quarantenni e cinquantenni di oggi, figli di quei valori negati.
Oggi alla Scuola, sistematicamente privata dei fondi necessari anche solo per fornire una preparazione culturale e tecnica adeguata ad una società in continua evoluzione a ritmi frenetici, si continua a chiedere troppo e delegare funzioni che non le competono. La scuola, diciamolo francamente e senza mezze parole ipocrite, ha retto solo grazie ad una classe docente non meno eroica di tanti altri “soldati” della nostra società: medici, forze dell’ordine, volontari senza il cui lavoro cosciente e generoso andremmo veramente tutti gambe all’aria. Aggiungete che in Italia i docenti sono i peggio pagati d’Europa e le carte da giocare sono tutte sul tavolo, scoperte.
La Scuola, ci piaccia o no, non è la baby sitter a cui affidare i ragazzi ed è questo il principale problema che emerge nella preoccupazione che si debba andare ancora avanti con la didattica a distanza. Certo è discriminatoria anch’essa, c’è chi ha la fibra ultra veloce e chi non c’è l’ha proprio la connessione, come chi ha computer, pc o tablet potentissimi di ultima generazione e chi non lo ha proprio. Ma non è che la discriminazione non ci sia anche nella didattica in presenza. Una cosa è provenire da famiglie agiate e colte dove si parla una lingua corretta, altro provenire da dove una parola in italiano corretto non viene usata neanche per sbaglio. E la scuola è stata grande anche in questo caso, inventandosi la regola che nessuno deve restare indietro e che il docente deve fare l’impossibile per portare coloro che sono arretrati al livello dei migliori, o quanto meno medio. Tutto questo senza i mezzi indispensabili, tutto sulle solide spalle dei docenti capaci, che non sono poi tutti, sia chiaro.
E, come dai baby sitter, pretendiamo che nulla venga rimproverato ai nostri “gioielli”, per cui non sono pochi i docenti che per aver preso o fatto prendere un provvedimento nei confronti di soggetti “particolari” si sono ritrovati aggrediti e, talvolta, non solo verbalmente dai genitori.
Diciamolo apertis verbis: alla scuola il compito di erudire e, se possibile, acculturare le nuove gererazioni. Non quello di educare che spetta alla famiglia. Salutare è cortesia, rispondere è dovere. Una semplicissima regola di buona educazione. Ma quanti affermati professionisti, manager e illustri personaggi lo ignorano? Vi assicuro tanti, troppi. La verità è che se non te lo hanno insegnato i genitori, o i nonni, non lo imparerai mai più e resterai un buzzurro, magari erudito, per il resto dei tuoi giorni.
L’occasione è stata propizia per ragionare con Voi, lettrici e lettori, di scuola e società a 360°, ma torniamo nel seminato.
Il rullare dei tamburi che annunciava urbi ed orbi il ritorno della didattica in presenza dal 7 gennaio, prima ha trovato un ridimensionamento da parte dello stesso governo nelle percentuali tra presenza ed a distanza, ma stante, come dice il titolo del nostro articolo, il “Rapporto casi/test al 17,6%” ha destato non poche perplessità in quei Governatori a capo di Regioni più esposte, o semplicemente più prudenti.
Nonostante le chiacchiere farlocche i trasporti pubblici sono il jet su cui viaggia a velocità supersonica il virus. La didattica in presenza mette alla prova un sistema pubblico di trasporti, già carente in tempi ordinari e che in tempi di pandemia è un terreno di coltura ideale per monsieur Coronavirus.
E per le regioni parla il Presidente della Conferenza delle stesse Stefano Bonaccini: “credo sarebbe giusto che il governo nelle prossime ore ci riconvocasse e insieme prendessimo una decisione, in maniera molto laica”. Bonaccini è uno che pesa le parole, difficile sentirgli pronunciare qualcosa fuori posto o, semplicemente, sopra le righe. Mi ha colpito la sua richiesta di una decisione “laica”. E’ evidente che Bonaccini ed i governatori ritengano che la riapertura il 7 gennaio sia diventato uno dei tanti totem apparentemente indiscutibili contro i quali s’infrange il buon senso di un Paese fatto da cittadini ai quali si richiedono molti sacrifici, ma che poi sono poco ascoltati.
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