Referendum sulla Giustizia 2022
Al voto il 12 giugno nel silenzio dei media. Perché è importante andare a votare
Giovanna Sellaroli
Il 12 giugno 2022 siamo chiamati alle urne per votare i referendum sulla Giustizia, ma non lo sa nessuno.
O forse lo sanno in pochi. Secondo un sondaggio Swg, Istituto di ricerca, solo un elettore su quattro è informato.
Domenica 12 giugno, si terranno le elezioni amministrative, si voterà infatti per rinnovare i sindaci e i consigli comunali di 970 comuni, tra cui 21 capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di regione: Catanzaro, Palermo, L’Aquila e Genova.
Lo stesso giorno, dalle ore 7 alle 23, in tutta Italia si voteranno anche i cinque Referendum sulla Giustizia, promossi dal Partito radicale, che hanno trovato sin dall’inizio il consenso della Lega, e dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale lo scorso 16 febbraio.
C’è da dire che, per l’effettiva validazione del risultato, è necessario raggiungere almeno il 50% più uno degli aventi diritto. Quindi, sostanzialmente, astenersi dal voto significherebbe decidere per il “no”.
Dall’abrogazione della legge Severino, alla separazione tra giudici e PM, arresti, pagelle ai magistrati, all’elezione del Csm, ecco in breve i temi sui quali sono stati formulati i cinque quesiti:
Abrogazione della legge Severino
Misure cautelari
Separazione delle carriere
Cambio sulla valutazione dei magistrati
Riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm)
Tre di questi cinque quesiti, quelli inerenti a consigli giudiziari, elezione del Csm e separazione delle funzioni, potrebbero essere annullati se prima della data delle elezioni venisse definitivamente approvata dal Parlamento la riforma Cartabia, che interviene sulle stesse questioni.
Una riforma che ha subito pesanti contestazioni da parte dell’associazione nazionale magistrati, che ha proclamato un giorno di sciopero contro la riforma del consiglio Superiore della Magistratura e dell’ordinamento giudiziario, approvata dalla Camera e ora all’esame del Senato. Uno sciopero che ha registrato, a livello nazionale, un’adesione bassa, ben lontana da quel 70% circa del 2002, quando i giudici si mobilitarono contro la riforma dell’ordinamento giudiziario del Ministro leghista Castelli.
“Lo sciopero, più che contro la Ministra Cartabia, è rivolto contro gli emendamenti che sono stati introdotti in sede parlamentare, fortemente peggiorativi del testo iniziale”, ha detto Giuseppe Santalucia, Presidente dell’Anm.
In realtà l’Anm aveva già attaccato la riforma del processo penale studiata dalla Ministra Cartabia, definendola in pratica l’ammazzaprocessi, e giudicandola “dannosa e inaccettabile, incoraggia le impugnazioni e lascia le vittime senza tutela”.
L’intransigente e integerrimo Pier Camillo Davigo, ex magistrato e componente del Csm, ex PM di Mani Pulite, attualmente imputato per rivelazione di segreto di ufficio (è stato rinviato a giudizio dalla gup di Brescia, Federica Brugnara, per la vicenda della diffusione dei verbali di Amara sulla Loggia Ungheria), in una intervista rilasciata a Micromega lo scorso aprile, in proposito ha detto: “La riforma Cartabia? Peggio di così non può andare”, ma ha stroncato anche i referendum, definendoli decisamente “dannosi”.
Insomma, le disfunzioni della giustizia italiana non vengono ricondotte alla inefficienza di chi vi opera e dovrebbe farla funzionare, e nulla s’ha da fare, se non prendere atto che il magistrato è ‘untouchable’ (intoccabile).
Inutile nascondersi che le riforme si fanno, anche rapidamente, quando si tratta di restringere i diritti di chi subisce il processo, ma si inceppano quando si cerca di intervenire sulla disinvoltura di chi il processo lo dirige.
Perché è chiaro che nella magistratura italiana c’è qualcosa che non va. Il malgoverno dei magistrati, emerso con lo scandalo Palamara, le derive carrieristiche, le toghe in politica, le indagini pilotate, l’influenza delle correnti nella determinazione dei consiglieri, la trasparenza delle scelte sui capi degli uffici giudiziari, le valutazioni di professionalità sono lo specchio riflettente di una crisi del sistema e della categoria.
In sintesi, credibilità cercasi!
Al punto che un recupero di credibilità, è stato sottolineato come necessario anche dallo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, vale la pena ricordarlo, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, ne è membro di diritto al pari del Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione e del Procuratore Generale presso la stessa Corte.
I referendum, sicuramente pensati con l’intenzione di “mettere un freno” ai Magistrati, dovrebbero coprire temi che la riforma Cartabia non riesce ad affrontare, una riforma al limite dell’impossibile che, come già detto, raccoglie pochi favori e molte contestazioni e che, come un mantra, una formula oramai ripetuta, divide lo schieramento politico italiano.
I temi di giustizia sottoposti al voto sono complessi, annosi e circondati da una cortina di scarsa informazione, sono temi ritenuti antipatici e poco interessanti, gli italiani sono attratti da altro. Fino a quando non si ha la sventura di ritrovarsi coinvolti in un processo, non si capisce che la magistratura in Italia rappresenta un gran bel problema, è il maligno da estirpare.
La sciagurata riforma Bonafede, tra incostituzionalità e giustizialismo forcaiolo, è stata un’onda alta di analfabetismo giuridico che ha travolto l’Italia. La legge “Spazzacorrotti” del 2019 dell’ex ministro dell’esecutivo giallo-verde, che cancellava la prescrizione dopo la sentenza di primo grado e così non faceva altro che allungare i già infiniti tempi processuali nostrani, dovrebbe averci insegnato qualcosa.
Ricordo solo, che la prescrizione è un istituto di civiltà giuridica, non è una escamotage per i furbetti. La prescrizione, quale estinzione del reato, è prevista dagli artt. 157 e seguenti del Codice Penale, e con tale istituto, previsto da tutti gli ordinamenti giuridici europei, si determina che il reato si estingue passato un certo tempo. La prescrizione ha, quindi, funzione garantistica per il cittadino-accusato. L’eventuale sentenza di condanna, deve essere il risultato di un giusto processo, e la persona accusata deve essere giudicata nel più breve tempo possibile.
Ciò anche in relazione al dettato costituzionale (art. 27 Cost.) che prevede la presunzione di innocenza finchè la sentenza non è irrevocabile.
Ecco, alla luce di quanto accaduto nel recento passato, mi sembra davvero opportuno andare alle urne consapevoli e informati sui cinque quesiti ai quali siamo chiamati a rispondere sì o no.
Primo quesito: stop allo strapotere del Csm.
Nasce con il compito di attenuare l’enorme “movimento” attorno alle correnti della Magistratura, fatto di scambi, favori, come evidenziato ampiamente da Palamara nei suoi due libri scritti con Sallusti. Allo stato attuale, per candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura, è necessario raccogliere almeno 25 firme di colleghi Magistrati. Il quesito in questione eliminerebbe questa norma, permettendo a chiunque di potersi candidare senza dover per forza raccogliere firme e senza andare dunque alla ricerca di favori che torneranno poi utili in futuro e che continuerebbero ad alimentare il sistema delle correnti.
Secondo quesito: i Magistrati non possono essere controllati solo da altri Magistrati
Permetterebbe a chiunque, anche ai membri non togati, quindi tra gli altri anche ai Professori Universitari o agli Avvocati, di partecipare alle deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli Giudiziari. Al momento, infatti, tale partecipazione è fortemente limitata, nonché possibile in larga parte solo ai membri togati, così come solo a loro è possibile formulare pareri sulla professionalità degli stessi Magistrati dentro il CSM.
Terzo quesito: stop alle porte girevoli per ruoli e funzioni.
Il quesito riguarda la separazione delle carriere e, in caso di “sì”, toglierebbe la possibilità della doppia strada Giudice e Pubblico Ministero. Chiunque volesse scegliere la via della Magistratura, quindi, ad inizio carriera dovrebbe scegliere se svolgere la funzione di uno o dell’altra. Allo stato attuale, le due figure sono “contigue” e, a detta dei fautori del “sì”, potrebbero condizionare l’equità del Giudice.
Quarto quesito: per una giustizia giusta e un equo processo, per tutti
Si ridimensionerebbe la figura del Magistrato in sede di custodia cautelare, in quanto eliminerebbe o renderebbe meno rara la custodia in carcere – in attesa di giudizio – sulla possibilità di reiterazione del reato per il quale si è sotto procedimento. Eviterebbe, in sostanza, che un qualsiasi personaggio indagato finisse agli arresti pur in mancanza di prove definitive che ne certifichino la totale innocenza o la condanna. È una misura necessaria in quanto tocca da vicino l’aspetto legato alla limitazione della libertà personale in assenza di prove o sentenza.
Quinto quesito: più tutele per sindaci e amministratori
Il decreto legislativo che porta la firma dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Ha valore retroattivo e prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione di una carica comunale, regionale e parlamentare se la condanna avviene dopo la nomina del soggetto in questione. Nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali, il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente. La legge Severino ha esposto amministratori della cosa pubblica a indebite intrusioni nella vita politica. Si restituisce ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, occorra applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici.
Perché è importante votare?
Perché sono importanti i temi in discussione e per giunta rappresentano i nodi irrisolti della giustizia italiana. Certo le riforme dovevano essere fatte in Parlamento, ma questo non è avvenuto. E, in questa situazione di stallo, speriamo che almeno il referendum possa servire a lanciare un segnale forte e chiaro affinchè il Parlamento si decida a operare una riforma accettabile, scevra il più possibile da ogni rigurgito giustizialista e qualunquista.
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