Russia, la guerra e il dissenso

Marina Ovsyannikova (in copertina), la giornalista in TV contro Putin

Giovanna Sellaroli

Al 22esimo giorno di guerra, non si ferma il massacro della popolazione civile; l’Ucraina deve subire ancora l’intensificarsi dei bombardamenti delle forze militari russe sul fronte meridionale, principalmente contro Odessa e Mariupol, ma anche sulla Capitale Kiev e Kharkiv.

Giungono notizie strazianti dagli scenari di guerra e, malgrado si parli di “negoziati più realistici”, le bombe continuano a cadere col loro incessante carico di morte e distruzione. Solo qualche ora fa i media hanno riferito dell’attacco su Chernihiv, città a nord di Kiev, dove l’esercito russo ha sparato sui civili che facevano la fila al forno per acquistare per il pane. Si contano oltre dieci vittime.

Bombe anche sul teatro di Mariupol che ospitava centinaia di civili sfollati. Secondo il ministero della Difesa di Mosca è stata la milizia ultranazionalista ucraina del Battaglione Azov a distruggere l’edificio.

“Viviamo un 11 settembre da tre settimane”. Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è rivolto ieri al Congresso degli Stati Uniti, parlando in video collegamento e rinnovando i suoi appelli per un maggiore aiuto e una linea più dura contro gli invasori.

E ieri, ricordando come i negoziati fra Mosca e Kiev siano “difficili”, ma “di fondamentale importanza”, ha laconicamente aggiunto che “Tutte le guerre terminano con un accordo”.

Certo, l’unica via percorribile è quella della diplomazia e in tal senso, tutto può essere importante; intanto niente ha ancora fermato il dittatore che ha in odio l’Occidente.

Spiraglio Zelensky “Segnali dai russi”. Kuleba chiude “Richieste ancora inaccettabili” – ilGiornale.it

In questo scenario sconfortante, in questo tunnel in fondo al quale ancora non si vede la luce, uno spiraglio di speranza che qualcosa possa servire almeno a scuotere le coscienze del popolo russo, è quello che ha fatto lunedì sera, 14 marzo, Marina Ovsyannikova, una producer della TV russa, di Channel One, che durante una diretta è balzata in scena mostrando un cartello con la scritta: «Fermate la guerra! Non credete alla propaganda! Vi stanno mentendo, qui!».

È notorio oramai che in Russia l’informazione è blindata, lo è già da tempo, preda della censura totale, e solo pronunciare la parola ‘guerra’ può costare anni di galera. La nuova legge russa sulla ‘disinformazione’, approvata il 5 marzo dal parlamento di Mosca, semmai ce ne fosse bisogno sottolinearlo, è l’atto più autoritario e violento contro i dissidenti e contro l’informazione libera, contro la libertà di stampa e di pensiero, è il bavaglio alle opinioni non in linea con i dictat e i desiderata di Vladmir Putin.

Nell’immagine diffusa dal quotidiano della Federazione, subito dopo l’irruzione di Marina Ovsyannikova, si vede solo un grande cartello bianco (NdR. qui in foto), la redazione poi ha giustificato con queste parole il cartello reso illegibile: “Nella trasmissione del programma Vremya, alle spalle della conduttrice Ekaterina Andreeva, è apparsa una ragazza con un poster, il cui contenuto è vietato diffondere in base al codice penale. Secondo informazioni non confermate, si tratta di Marina Ovsyannikova. Attualmente è in arresto“.

Eccolo il volto bieco del Cremlino anche sull’informazione non allineata, riassunta in due sole parole: fake news o disinformazione.

Marina Ovsyannikova, facendo irruzione in diretta in un telegiornale di Stato, ha imbracciato l’arma del dissenso, un’arma potentissima a disposizione di tutti, ma ancor più efficace quando a utilizzarla è chi fa informazione, chi racconta la cronaca senza farsi imbambolare dalla propaganda. Sembra così facile, eppure non lo è affatto, spesso il mondo dell’informazione stessa diventa il braccio armato del potere in democrazia, figuriamoci in un regime totalitario.

Mio padre è ucraino, mia madre è russa, e non sono mai stati nemici. La collana che porto (ndr, ha i colori dell’Ucraina) è simbolo di fratellanza, ed è la ragione per cui la Russia deve fermare subito questa guerra fratricida. Sfortunatamente negli ultimi anni ho lavorato per Channel One, facendo propaganda per il Cremlino e mi vergogno moltissimo per questo. Mi vergogno per aver lasciato che dicessero quelle bugie in tv, mi vergogno per aver permesso di rendere zombie la popolazione russa. Siamo rimasti in silenzio nel 2014 quando tutto questo è iniziato. Non abbiamo protestato quando il Cremlino avvelenò Aleksej Navalny. Abbiamo solo silenziosamente guardato questo regime inumano. Ora che tutto il mondo si è allontanato nemmeno le prossime dieci generazioni basteranno a lavare l’onta di questo fratricidio. Siamo russi, siamo premurosi, tocca a noi fermare questa follia. Uscite a protestare, non abbiate paura di nulla. Non possono imprigionarci tutti quanti”, ha dichiarato Marina Ovsyannikova in una registrazione effettuata nella sua dimora prima di irrompere sulla scena del TG.

Parole di grande peso.

Parole e gesti che fanno rumore, che sconquassano le coscienze, che lasciano un segno e che suonano come una dichiarazione di guerra. Parole pronunciate da una donna coraggiosa che ha deciso di imbracciare l’arma più efficace del mondo, quella della parola del dissenso e della denuncia.

Il popolo russo, l’intellighenzia russa, è chiamata a fare la sua parte, a prendersi la responsabilità di raccontare la verità e smascherare la narrazione fallace del leader del Cremlino che continua a ripetere: “Siamo in guerra con neonazisti. L’operazione procede secondo i piani”.

Tra i vari effetti collaterali di questo orribile conflitto, vi è un fenomeno al limite dell’incredibile, surreale, che coinvolge molte famiglie divise e i parenti di quegli ucraini che vivono in Russia, e che non credono alla guerra, che non hanno una reale percezione di quello che sta succedendo, e che davvero pensano che l’esercito del loro Paese stia solo dando la caccia a una “banda di drogati e nazisti”.

Mi ha colpito la storia di una famiglia ucraina divisa: una madre di due figli (una vive con lei nei pressi di Kiev, quindi sotto le bombe, mentre l’altro figlio, ingegnere, lavora e vive in Russia) racconta al figlio lontano che è scoppiata la guerra, che piovono bombe e che devono correre a ripararsi nei rifugi. Ebbene, il suo racconto risulta poco credibile al figlio, anzi questi ritiene che non sia affatto vero e che si tratti di fake news!

L’altra faccia sporca della guerra è la propaganda del regime nel persuadere le persone di cose false; Putin attraverso la TV di Stato, disinforma e manipola le menti per giustificare quella che viene definita con un insopportabile eufemismo, “operazione militare” in corso.

Ecco perché il gesto della giornalista russa Marina Ovsyannikova assume un’importanza strategica enorme ed è un atto straordinariamente valoroso, una doverosa opposizione  a quel dittatore che per conquistare un altro popolo, ha necessità di tenere prigioniero e sotto scacco il proprio.

Il suo NO ALLA GUERRA, e in particolare la sua vergogna per aver avallato le istanze di un autocrate come Putin, presa di posizione che comporterà rischi personali molto alti, è un esempio da seguire per tutta la popolazione russa, che sappiamo essere un universo complesso, e le cui élite certo non coincidono con il paese reale. Un esempio, però, che dovrebbe aprire un altro fronte, quello della guerra al loro leader, l’uomo che sta commettendo uno dei crimini più feroci nei confronti di uno Stato sovrano, e contemporaneamente, sta degradando la società russa, esponendola al collasso sociale ed economico.

E ancora, è un esempio da seguire per i giornalisti russi che devono mostrare anche loro di saper sfidare la censura di Putin e hanno il dovere di raccontare la cronaca di una guerra che nessuno riesce a fermare.

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