Trump chiama banco
Il tycoon, in caduta di popolarità, prova ad attirare l’attenzione su di se, utilizzando i disordini: dai più lontani ad Hong Kong, ai più vicini a Minneapolis.
Gianvito Pugliese
Nel gergo dei giocatori chiamare banco significa coprire l’intera puntata, ed essere al centro del gioco.
La conferenza stampa del tycoon ieri, nel giardino delle rose della Casa Bianca, è cominciata con un grosso ritardo, perdendo molti dei collegamenti televisivi predisposti.
Trump, affiancato dal fido Mike Pompeo, -due buoi per tirare un carro- ha annunciato subito, in risposta alla proclamazione di Pechino della legge sulla sicurezza nazionale, che -a suo giudizio- altro non è che la fine di quella parziale indipendenza di Hong Kong da Pechino, che in base agli accordi con Londra sarebbe dovuta durare almeno fino al 2047. Gli Stati Uniti puniranno la Cina per questo attacco “all’ultimo bastione di libertà, che è Hong Kong”. Pertanto dicihara ” la fine dello statuto speciale fin qui concesso dagli Stati Uniti al territorio di Hong Kong”. Brutto colpo commerciale per la Cina, che vede non solo crollare la ricchezza di Hong Kong, ma anche quel corridoio,attraverso il quale l’export cinese verso di Usa trovava ampi margini di esenzioni doganali.
Quanto sarà veloce questa progressiva perdita di privilegi non è stato specificato. Nè ha precisato cosa intende col “rimarranno alcune eccezioni”.
Nella conferenza stampa c’è spazio per il nemico americano OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) a cui vengono definitivamente tagliati i fondi statunitensi, perchè “è un’organizzazione Cine-Centrica” a giudizio di Trump. Un gesto decisamente forte nel momento in cui gli Stati Uniti continuano a mantenere il triste primato di infetti e di morti da Covid-19 e, quotidianamente, dalla casa bianca si alzano voci su soluzioni da adottare e consigli alla popolazione che risultano, poi, platealmente prive di qualsiasi base scientifica,
E’ talmente evidente che Trump voglia, da un lato scaricare sull’OMS le sue enormi colpe nella sottovalutazione del virus, per il cui contenimento non ha fatto nulla, e che ha già superato in numeri di morti le peggiori previsioni del tycoon, e dall’altro cogliere l’occasione dei disordini ad Hong Kong per inasprire il mai sopito conflitto commerciale con la Cina, quella del “virus cinese”, e distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, che lo guarda con crescente disaffezione.
E visto che ci siamo, completiamo il quadro su Trump e gli Stati Uniti. Da una lato ha accusato il Sindaco, democratico, di Minneapolis di non saper controllare i disordini, facendo finta d’ignorare che uno strangolamento durato otto minuti non può essere qualificato -com’è stato fatto- omicidio colposo, è un chiaro omicidio volontario, o meglio di primo grado, secondo la classificazione americana. Così come è palese che gli altri tre poliziotti, impegnati a tener lontana la folla ed impedire di filmare e fotografare -con scarso successo , come si è visto- non possono che essere considerati correi di quell’omicidio. Licenziarli semplicemente è ridicolo ed oltraggioso. Ha quindi assicurato il suo appoggio al Governatore repubblicano, costretto a porgere le scuse alla CNN, che ha visto illegalmente sottoposta ad arresti una sua troupè. La Guardia Nazionale è, infatti, già presente a Minneapolis con oltre 500 uomini.
E da ultimo, ancora battaglia con Twitter. “Fine di un grande amore” dovrebbe chiamarsi la puntata della telenovella, made in Usa, produttore White House. Censurato dal social più utilizzato fino a ieri dal tycoon, dopo le due fake sui brogli con le elezioni elettroniche, un nuovo twette di Trump è stato parzialmente oscurato con la motivazione “perchè incita all’odio”. Il Presidente americano a proposito della rivolta a Minneapolis ha scritto ” “Quando iniziano i saccheggi, si inizia anche a sparare”. Parzialmente e non del tutto oscurato perchè secondo il social “potrebbe essere di pubblico interesse”, praticamente far conoscere il pensiero e la posizione in proposito della massima autorità statunitense.
Non cambia nulla, solita estremizzazione delle posizioni, ricerca sistematica di una guerra da ingaggiare quotidianamente. Ma l’escalation sta esponenzialmente crescendo. Speriamo che le guerre verbali rimangano solo tali.