Prescrizione: siamo alla resa dei conti
S’infiamma lo scontro tra Italia Viva e il governo sulla riforma della prescrizione
Vito Longo
Ormai da giorni, se non mesi, infiamma il dibattito in merito alla riforma della prescrizione. La legge entrata in vigore il 1° Gennaio 2020, risultato dell’allora governo gialloverde, introduce la sospensione della prescrizione con la pronuncia della sentenza di primo grado, senza distinzione tra assoluzione o condanna.
Contro questo tentativo di riforma si sono scagliati avvocati, magistrati e anche politici.
Per poter mettere un po’ d’ordine in un quadro piuttosto ingarbugliato occorre, per prima cosa, fare qualche passo indietro.
La prescrizione è una delle cause di estinzione del reato: un illecito penale, cioè, non può più essere punito se è trascorso un certo periodo di tempo dalla sua commissione.
La ratio di quest’istituto è da inquadrare alla luce di diverse esigenze, che elencheremo solo sinteticamente.
Innanzitutto, l’inopportunità di giudicare qualcuno a distanza di tanti anni laddove, durante il periodo intercorso, può aver mutato, anche drasticamente, la propria persona e non essere più lo stesso soggetto che era al momento dell’avvio del procedimento penale.
Quindi la necessità di non tenere qualcuno “ostaggio” della pur giustificata pretesa punitiva dello Stato, occludendo, all’individuo, spazi anche importanti di autodeterminazione: una pendenza processuale, infatti, limita e, in tanti casi, blocca del tutto la possibilità di accedere a concorsi o ad incarichi professionali, ingenerando, nel soggetto, un grave danno economico.
Infine, la ragionevole durata dei procedimenti, ha anche una ragione più strettamente pratica: una dilazione troppo prolungata nel tempo provocherebbe il deterioramento del materiale probatorio.
Dopo questo inquadramento sistemico, veniamo all’analisi del quadro politico che sta portando a questa continua tensione tra alleati di governo, che vede schierati, da un lato, PD , M5S e L&U e, dall’altro, Italia Viva, più intenzionata che mai a bloccare questa riforma.
Il testo della riforma Bonafede sarebbe stato sicuramente non votato da Italia Viva, ma anche mal digerito dagli attuali partner di maggioranza che, già in occasione della sua promulgazione, si scagliarono contro, dando poi seguito al loro dissenso esprimendo voto contrario in aula.
Si è quindi arrivati ad un tentativo di mediazione, il c.d. “lodo Conte bis”, dal nome del proponente Federico Conte, che fa capo a L&U. Questo tentativo prevede una differenziazione di disciplina: in caso di sentenza di condanna in primo grado c’è il blocco della prescrizione che torna poi a decorrere se assolti in appello, anche retroattivamente; il blocco dei termini, invece, rimane invariato per chi viene condannato anche dalla Corte d’Appello.
Veniamo, adesso, alle posizioni politiche.
Quella del M5S è nota: si tira dritto senza “se” e senza “ma” e si fa fronte comune a favore del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, nonostante l’aria pesantissima attorno a lui (non si contano più scioperi e proteste degli avvocati) e alla sua riforma, osteggiata anche da diversi magistrati, a dirla tutta. Il Movimento guidato dal reggente Vito Crimi, in crisi drastica e continua di consensi, ha la necessità assoluta di segnare il campo con alcune leggi “bandiera”, con le quali conta di recuperare, almeno in parte, il voto dei delusi.
Il PD, con la sponda di Conte, cerca di mediare tra le diverse posizioni dei due alleati, con lo spettro, sempre troppo vivo e presente, di un ritorno di Salvini in caso di caduta di questo governo.
Quella del partito di Matteo Renzi, infine, è la più critica e complessa. A più riprese ha garantito che, così com’è, non darà il via libera alla proposta di riforma; continua a dirsi pronto a sostenere il progetto di legge Costa, dal nome del parlamentare di Forza Italia, che blocca la riforma Bonafede nella sua interezza e ha, a sua volta, offerto sul tavolo una mediazione chiedendo di inserire il “lodo Annibali”, che mira a ritardare di un anno il dispiegamento degli effetti che seguono la riforma Bonafede, all’interno del milleproroghe, o, in alternativa, tornare alla situazione ex ante, quella disciplinata dalla legge Orlando, ricevendo, almeno a tuttora, un “no” abbastanza netto ad entrambe le ipotesi.
Italia Viva, inoltre, sembra intenzionata a non votare neanche la proposta di mediazione, perché neanche questa adatta a risolvere il problema della durata dei processi, obiettivo della riforma; perché prevede una disciplina troppo differenziata tra sentenza di condanna e sentenza di assoluzione e, quindi, a forte rischio di incostituzionalità, perché non rispettosa del principio di non colpevolezza sino a condanna definitiva, garantito dal 2° comma dell’articolo 27 della nostra carta costituzionale.
Molto dura soprattutto la posizione di Ettore Rosato, presidente del neonato partito, che si dice pronto anche a proporre la sfiducia al ministro Bonafede se, come potrebbe anche accadere, il governo decidesse di portare il provvedimento in aula vincolandolo ad un voto di fiducia sull’intero governo.
L’analisi del milleproroghe inizierà mercoledì dalla Camera e, ad analisi conclusa, verrà sottoposto al vaglio del Senato, dove i renziani hanno tutti i numeri per far fibrillare la maggioranza.
Le ipotesi rimaste sul tavolo sembrano essere solamente due: una proposta di legge modificativa, si vocifera a firma dello stesso Renzi, della riforma Bonafede appena dopo che il lodo Conte bis avrà ottenuto il via libera oppure, ipotesi peggiore per la tenuta del governo, la sfiducia al ministro Bonafede. Questa sarebbe senza dubbio l’ipotesi più minacciosa per la maggioranza perché, lato PD e lato Movimento 5 Stelle, si sono tutti affannati a mettere in guardia dal tenere una simile posizione perché significherebbe “votare” la sfiducia all’intero governo.
Al netto delle singole posizioni, in ogni caso, queste modifiche non andranno a toccare che una percentuale molto minoritaria dei processi bloccati dalla prescrizione. Il 60 per cento dei procedimenti, infatti, vede scattare la prescrizione già in fase di indagine, cioè prima ancora dell’inizio del processo di primo grado.
Una delle cause principali delle indagini così lunghe sta nella carenza cronica di personale delle procure (magistrati, cancellieri, ausiliari), di adeguate strutture (tribunali) e attrezzature (informatiche e materiali), costrette, pertanto, a trascurare i reati minori per concentrarsi sui casi più importanti, lasciando che i primi cadano in prescrizione.
Il problema che attanaglia da anni la giustizia italiana, e sulla quale sembra ancora non si voglia intervenire, risiede proprio nei tribunali italiani sottodimensionati (si stima manchino almeno 10mila dipendenti), come pure nella mancata realizzazione di adeguate strutture (sia palazzi di giustizia che edilizia carceraria).
Non resta che attendere, pertanto, gli sviluppi della questione: le date cruciali saranno, senza dubbio, l’avvio della discussione sul mille proroghe, previsto per mercoledì 12, e il 24 Febbraio, giorno nel quale potrebbe approdare in aula il pdl Costa, agitato come arma di ricatto da Italia Viva e vedremo se, davvero, il partito fondato da Renzi è pronto a staccare la spina al governo alla cui nascita ha massimamente contribuito.