Ultimo giorno di Mattarella in Cile

Si chiude oggi la visita ufficiale del Capo dello Stato in Cile

La redazione

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è in visita ufficiale nella Repubblica del Cile fino al 6 luglio.

Martedì 4 luglio, il Presidente ha incontrato, allo Stadio italiano di Santiago, una rappresentanza della collettività italiana in Cile e, successivamente, ha visitato la Stazione della Undicesima Compagnia italiana dei Vigili del Fuoco di Santiago e il Museo della Memoria e dei Diritti Umani.

Nel pomeriggio ha deposto una corona al Monumento a Bernardo O’Higgins.

Il Capo dello Stato è stato ricevuto, quindi, al palazzo della Moneda, dal Presidente della Repubblica del Cile, Gabriel Boric. Al termine dei colloqui, i due Presidenti hanno rilasciato dichiarazioni alla stampa.

Il Presidente Mattarella ha incontrato, quindi, presso la Sede del Congresso a Santiago, il Presidente del Senato, Juan Antonio Coloma Correa, e il Presidente della Camera dei Deputati, Vlado Mirosevic Verdugo.

Mercoledì 5 luglio mattina, il Capo dello Stato ha tenuto una lectio magistralis all’Università del Cile dal titolo: “America Latina ed Europa: due continenti uniti per la pace, la democrazia, lo sviluppo”.

Successivamente ha inaugurato la mostra “Forme e colori dell’Italia pre-romana” allestita all’Istituto italiano di cultura e ha reso omaggio al Monumento in onore di Lumi Videla, presso la Residenza dell’Ambasciatrice d’Italia.

Al termine Mattarella si è trasferito a Punta Arenas dove, giovedì 6 luglio, visiterà il Forte Bulnes, il Museo Salesiano Maggiorino Borgatello, il Círculo Italiano e il Mausoleo della Fratellanza Italiana.

 Santiago del Cile, 03/07/2023 06/07/2023 (II mandato)

Lectio Magistralis del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dal titolo: “America Latina ed Europa: due continenti uniti per la pace, la democrazia, lo sviluppo”

 Università del Cile – Santiago, 05/07/2023 (II mandato)

Magnifica Rettrice, Professoressa Rosa Devés Alessandri,

Signor Ministro,

Signora Prorettrice, Professoressa Alejandra Mizala Salces,

Signore e Signori Vicerettori,

Gentili Decane e Decani,

Membri del Corpo Accademico,

Care studentesse, cari studenti,

sono lieto di essere tra voi, ospite di un’istituzione accademica così prestigiosa e di antica tradizione, baluardo fin dalla sua fondazione, nel 1842, dei valori repubblicani del Cile e delle Americhe.

Osservo, a questo riguardo, che 21 dei 33 Presidenti della Repubblica del Cile – inclusi i due Presidenti Alessandri, avi della Magnifica Rettrice – si sono formati in queste aule.

Il primo magnifico Rettore, Andrés Bello, fu un umanista tra i più illustri che l’America Latina abbia avuto nel XIX secolo, legislatore e fine giurista. Il suo Codice Civile rappresenta una delle opere giuridiche americane più innovatrici e più influenti dell’epoca.

Ringrazio per le parole così cortesi a me rivolte.

È per me un onore essere qui a Santiago e sarà un piacere recarmi questo pomeriggio a Punta Arenas, all’estremo sud di questo Paese così meravigliosamente longitudinale.

Magnifica Rettrice,

Autorità accademiche,

Care studentesse, cari studenti,

l’Italia ha da sempre intrattenuto profonde relazioni d’amicizia con il Cile, alimentate anche dalla presenza di un’ampia collettività di origine italiana che è parte integrante del popolo cileno, nonché dalla condivisione dei valori democratici e dello Stato di diritto, dalla comune azione – anche a livello internazionale – a tutela dei diritti umani.

Desidero ricordare, a questo proposito, l’Istituto dei Diritti Umani e il Museo della Memoria promossi dai Presidenti Bachelet e Lagos.

Si tratta di valori universali che hanno segnato drammaticamente la storia di questo Paese.

Una storia che cinquant’anni fa intersecò quella della Repubblica Italiana, fino a confondersi con essa in un ricordo che oggi è patrimonio comune. Tanto il popolo italiano visse intensamente la violazione profonda della libertà e dei diritti delle persone operata dalla dittatura militare.

L’esperienza di tanti cittadini del mio Paese, dei giovani in particolare, è stata colpita profondamente dalle vicende cilene di allora, così come larga parte dell’opinione democratica europea.

Considero un onore poterlo testimoniare oggi qui, a distanza di due mesi dal compiersi del mezzo secolo che ci separa dal sacrificio del presidente Salvador Allende.

Così come desidero dare atto del grande significato rivestito dal progressivo processo di ritorno alla democrazia dopo il referendum dell’ottobre 1988, anche con l’operazione verità relativa ai luoghi di detenzione illegale e tortura.

Il valore della memoria nella storia di un Paese, di qualunque paese, è elemento fondamentale della sua identità. Come in Europa così in America Latina va pronunciato con forza il no ad ogni negazionismo, brodo di coltura di nostalgie autoritarie. Il “mai più” che segue la presa di coscienza di una nazione matura va accompagnato sempre dal coraggio della verità.

Le forze politiche dell’Italia democratica e le sue istituzioni, a partire da quell’11 settembre del 1973, vissero fianco a fianco con il popolo cileno le sue sofferenze, non rinunciando ad atteggiamenti di sanzione diplomatica ma operando perché qui a Santiago l’Ambasciata italiana fosse pienamente operativa divenendo, negli anni successivi al colpo di Stato, punto di riferimento per centinaia di perseguitati, offrendo loro rifugio e salvandone la vita.

Desidero ricordare un telegramma del Ministro degli Affari Esteri italiano dell’epoca, Aldo Moro, all’ambasciata in Cile – allora classificato segreto e datato 14 ottobre 1973 – con cui si dava autorizzazione, contravvenendo alla prassi, di offrire asilo anche ai non connazionali.

Per molti cileni, riferimenti della toponomastica santiaghina – come le vie Miguel Claro o Clemente Fabres – divennero sinonimo di asilo, di protezione dalle torture e dalla repressione, di un cammino, doloroso ma di salvezza, verso l’esilio.

Mentre sul piano formale i legami tra il regime della Repubblica del Cile e la Repubblica Italiana segnavano un punto di flessione, i rapporti umani si intensificavano giorno dopo giorno.

La nostra stampa, il nostro Parlamento, i partiti politici e i sindacati, i movimenti della società civile, la Chiesa cattolica, seguirono con passione le notizie provenienti dal vostro Paese.

Furono molteplici le occasioni in cui gli italiani poterono ascoltare la voce di numerosi esuli – che sarebbero poi divenuti parte integrante della classe dirigente del Cile democratico – mentre intellettuali, notissimi gruppi musicali cileni, partecipavano a tenere viva l’immagine di un Cile diverso dalla dittatura militare.

Oggi, presso l’Ambasciata d’Italia, ricorderemo le vittime della repressione con un sentito omaggio alla memoria di Lumi Videla, studentessa proprio di questa Università, barbaramente assassinata per ordine della dittatura e gettata, come se il suo corpo martoriato fosse un residuo di cui sbarazzarsi, oltre il recinto della nostra sede diplomatica.

Magnifica Rettrice,

cari Docenti,

care studentesse e cari studenti,

Cile, Europa – e Italia in particolare – hanno sempre vissuto intensi rapporti di carattere intellettuale, beneficiando, gli uni e gli altri, dei rispettivi scambi e apporti.

Vincoli storici profondamente radicati nella vita e nella memoria dei nostri popoli uniscono i due continenti.

Senza ricadere nello stereotipo che vede nell’America Latina “l’estremo occidente”, ma assumendone, al contrario tutte le proprie caratteristiche di complessità, derivanti anche dall’eredità e dalla presenza dei popoli nativi, è facile osservare che i due continenti appaiono complementari.

Ma, l’Europa, debitrice largamente verso l’America Latina del suo sviluppo, non sempre ha saputo guardare a questo continente con sufficiente lungimiranza e sagacia.

Certo non nel ‘900, gravato da due sanguinose guerre europee, che hanno tuttavia portato, nei decenni, a concepire prima la Società delle Nazioni (e la Repubblica del Cile fu tra i Paesi fondatori) e, poi, a sterilizzare le ragioni che storicamente avevano portato le nazioni europee a far guerra l’una contro l’altra, maturando il processo di integrazione che ha dato vita all’odierna Unione Europea.

La realtà socio-politica sovente tarda ad assumere le novità, a prendere atto dei mutamenti profondi intervenuti.

In larga misura è stato così con il fenomeno della globalizzazione.

Non mi riferisco tanto al tema, più importante, degli scambi.

La libertà commerciale è, naturalmente, parte rilevante delle libertà di cui si nutrono i rapporti tra Paesi; ed è elemento che accresce le interdipendenze tra Stati, che restituisce i conflitti al loro autentico sconsiderato carattere.

Lo misuriamo oggi con le conseguenze delle tensioni geopolitiche derivanti dall’insensata aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.

Mi riferisco, piuttosto, alla dimensione globale assunta dall’informazione, a cui una spinta decisiva è derivata dallo sviluppo delle telecomunicazioni, dell’informatica e del digitale, elementi che hanno attenuato se non azzerato, le tradizionali limitazioni-nozioni di tempo e luogo, rendendo gli avvenimenti esperienza viva e contemporanea per le persone di ogni parte del mondo.

Abbiamo dovuto patire le esperienze negative della pandemia, prima, e della guerra dopo, per comprendere che in un mondo così interconnesso le distanze perdono significato e le crisi globali – quale che ne sia il punto d’origine – si riverberano su tutti, con conseguenze difficili da prevedere e con la necessità di misure assunte a livello di organismi come l’Organizzazione Mondiale della Sanità o concertate fra le autorità dei diversi Paesi.

I processi di continuo mutevole cambiamento in atto presso le opinioni pubbliche, influenzate dalle scelte degli Over The Top e negli stessi schieramenti internazionali, esigono la riaffermazione di regole condivise basate sul rispetto della dignità delle persone e delle comunità.

Servono avvocati di buone cause, in grado di affrontare le sfide che riguardano la sopravvivenza dell’umanità nel suo complesso, rifuggendo dalla mera logica del conflitto e dall’emergere, come nella recente aggressione russa all’indipendenza dell’Ucraina, di spinte al confronto militare che distraggono immani risorse necessarie allo sviluppo umano.

È una prova di responsabilità rivolta anzitutto a realtà che, come l’Unione Europea e l’America Latina, possono e devono essere autrici di messaggi e iniziative di pace, di rispetto del diritto internazionale, di giustizia sociale e di sviluppo.

America Latina ed Europa possono, insieme, essere questi avvocati di buone cause, condividendo la visione di un mondo in cui i rapporti internazionali siano basati sul metodo del multilateralismo e sulla costruzione di istituzioni comuni.

La realtà multipolare propone dialogo e collaborazione su base bilaterale con giganti come gli Usa o la Cina.

Non sfugge a nessuno il valore che assumerebbe, nella vicenda internazionale, la proposta di una profilata partnership tra le nazioni di due continenti che condividono i medesimi valori e partecipano di esperienze multilaterali basate su eguaglianza e rispetto reciproco.

America Latina ed Europa insieme protagoniste.

La Unione Europea, dalla sua nascita, ha saputo diffondere, intorno al suo nucleo continentale originario, stabilità, valori democratici, pace, prosperità, allargando, via, via, la partecipazione dei cittadini e rafforzando il senso di unità, agendo come esperienza di riferimento anche per realtà consolidatesi altrove, come nel caso dell’Unione Africana.

L’America Latina ha saputo essere all’avanguardia sul terreno della pace, con un trattato, nato dopo la crisi di Cuba del 1962, che fa del continente la più grande area libera da armi nucleari. L’Agenzia per la proibizione delle armi nucleari in America Latina e nei Caraibi (Opanal), nata con il Trattato di Tlatelolco del 1967, è stato, caso raro, ratificato anche da Paesi che, come gli Stati Uniti, la Francia, Il Regno Unito e la Russia, detengono armi nucleari ma si impegnano a rispettare il trattato e a non usare o minacciare di usare armi nucleari contro le parti contraenti di quel trattato.

Ecco il valore che riveste il rinvigorire e rafforzare il dialogo politico tra i due continenti; e il 2023 ci presenta un’opportunità che dobbiamo cogliere per riprendere il filo di un dialogo che vogliamo più intenso e costante.

Tra poco più di una settimana, il 17 e 18 luglio, si terrà infatti il Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea e della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac).

L’Italia si sente impegnata a fare di quest’occasione d’incontro un punto di svolta del partenariato strategico fra i nostri continenti, per le sfide del presente e del futuro, in coerenza con la propria sensibilità verso l’America Latina che ha portato alla istituzione, nel 1966, dell’Istituto Italo-Latinoamericano (IILA).

America Latina e Unione Europea esprimono un terzo dei membri dell’Assemblea delle Nazioni Unite e condividono nei consessi internazionali sensibilità affini. Multilateralismo, diritti umani, economia libera, inclusione sociale, sviluppo sostenibile in grado di affrontare i cambiamenti climatici.

In un mondo di giganti, America Latina e Unione Europea rappresentano il 14% della popolazione mondiale e il 21% del prodotto lordo.

Le due realtà sono tra i maggiori produttori di risorse alimentari e condividono dunque responsabilità nell’assicurare sicurezza dell’alimentazione per le popolazioni mondiali.

È impressionante la fitta rete di accordi di associazione, commerciali e politici dell’Europa con 27 dei 33 Paesi latino-americani e caraibici, grazie ai quali l’interscambio tra le due regioni è cresciuto negli ultimi quattro anni del 40% dal 2018 al 2022.

Gli investimenti diretti esteri degli Stati Membri dell’Unione in America Latina nel 2021 ammontavano a quasi 700 miliardi, superando la somma di quelli di Cina, India, Giappone e Russia insieme.

È una realtà della quale occorre essere maggiormente consapevoli e che merita un salto di qualità a livello politico e istituzionale.

Il momento di questo partenariato strategico è questo, è adesso.

Le sfide che da entrambe le parti dobbiamo affrontare sono urgenti, globali, multiformi.

I due continenti, insieme, possono essere testimoni di libertà e di progresso in questo mondo multipolare.

La proposta che l’Unione Europea ha denominato “Nuova agenda per le relazioni tra Unione Europea e America Latina e Caraibi”[1] e che verrà presentata al Vertice Celac-Ue nasce da queste semplici considerazioni.

Innanzitutto va rafforzato l’impegno politico reciproco attraverso un dialogo aperto, regolare e di alto livello, fatto di vertici, ma anche di visite, di scambi di punti di vista, di colloqui.

La recente visita della presidente della Commissione Europea, Von der Leyen, qui a Santiago e nella regione, va nella giusta direzione.

Se in questi anni molte circostanze spiegano un minore dinamismo nella ricerca di occasioni d’incontro, occorre porvi rimedio.

In secondo luogo, è necessario irrobustire l’architettura giuridica del nostro rapporto, portando a rapida e felice conclusione l’iter degli accordi di associazione attualmente in fase di negoziato e di quelli già conclusi e in attesa di ratifica.

Si tratta di intese che trascendono l’ambito commerciale e che possono assumere carattere strategico per i futuri assetti mondiali se ne sapremo valorizzare il pieno potenziale.

Ma si tratta di andare più in là.

Guardo con fiducia al processo di aggiornamento dell’Accordo di Associazione tra Cile e Unione Europea, che auspichiamo sia firmato entro l’anno. Mi auguro che possa servire da sprone e da modello per avanzare più speditamente anche nel negoziato con il Messico e nei contatti con il Mercosur.

Un aspetto dell’Accordo tra Santiago e Bruxelles merita a mio avviso di essere valorizzato: mi riferisco al fatto che le clausole economiche siano accompagnate da impegni e obiettivi condivisi, per esempio, per la promozione della sicurezza sul lavoro e degli standard sociali, di un’effettiva eguaglianza di genere, di una maggiore e più inclusiva partecipazione della società civile, di più elevati standard ambientali.

Tutto ciò rende evidente l’acquisita consapevolezza che il partenariato cui puntiamo, per il presente e per il futuro, è più ampio, ambizioso e articolato che nel passato. Esso trova le sue fondamenta nella condivisione dei valori delle società aperte e democratiche nonché nella tutela dei diritti civili, sociali e ambientali.

Lungo questo percorso devono camminare assieme i governi e le realtà del settore privato, per creare condizioni di benessere socialmente eque e sostenibili.

La povertà che tutti intendiamo combattere non è soltanto penuria di mezzi.

È anche essere esposti senza tutele agli effetti del cambiamento climatico.

Se vogliamo evitarne le conseguenze nefaste, se vogliamo lasciare alle future generazioni un pianeta dove l’umanità possa vivere e prosperare in pace, dobbiamo fin d’ora compiere progressi decisivi verso un’economia sostenibile, senza emissioni nette di gas serra nell’atmosfera.

Alcuni strumenti sono già disponibili: il “Global Gateway” dell’Unione Europea, ad esempio, consentirà di realizzare un’agenda ambiziosa attraverso investimenti pubblici e privati che promuovano obiettivi concreti, quali l’estensione del 5G alle aree più remote dell’America Latina, l’ideazione di sistemi di trasporto ecologici, il miglioramento dell’infrastruttura sanitaria e l’incremento della ricerca congiunta.

Si dischiudono di fronte a noi numerose occasioni di collaborazione. Il Cile è decisamente impegnato nella lotta al cambiamento climatico e colpisce molto il progetto del Presidente Boric di rendere il Paese carbo-neutrale nel 2050.

Insieme al Cile e agli altri partner latinoamericani desideriamo accelerare la doppia transizione quale soluzione duratura e sostenibile per la resilienza di ogni Paese.

Condividiamo l’interesse per le potenzialità dell’idrogeno verde, ad esempio, sviluppando tecnologie congiunte che contribuiscano a massimizzare le straordinarie risorse del Cile.

Così come possiamo rafforzare le nostre collaborazioni nell’ambito – davvero strategico – delle catene del valore dei minerali critici per la transizione.

Creare forniture affidabili e sostenibili nel rispetto degli ecosistemi dai quali estraiamo queste preziose materie prime, è nel nostro comune interesse, ed è un elemento chiave per la produzione di energie rinnovabili che abbiamo promesso alle giovani generazioni.

Infine e non da ultimo, America Latina ed Europa sono chiamate a uno sforzo più intenso, congiunto a favore della vigenza dello Stato di diritto, nella consapevolezza che non vi è sviluppo sostenibile, equo e inclusivo senza giustizia e sicurezza.

È ormai evidente che globalizzazione e interconnessione non sono caratteristiche soltanto della vita degli Stati, dei popoli, delle società civili. Sodalizi criminali di ogni tipo si sono inseriti nell’alveo della globalizzazione creando reti e alleanze che minano le prospettive di crescita dei nostri Paesi. Tutti, nessuno escluso.

È, dunque, interesse comune consolidare lo Stato di diritto, rendere più forti e resilienti le istituzioni pubbliche affinché siano meglio tutelate contro la pressione dei fenomeni corruttivi, e dunque più libere e trasparenti nel rispondere alle aspettative dei nostri concittadini.

Abbiamo dedicato un programma italiano di diplomazia giuridica con i Paesi dell’America Latina alla memoria dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che prima di altri compresero la natura transnazionale del crimine organizzato e il suo pernicioso, nefasto effetto su un sistema – la democrazia – basato sulla fiducia tra elettori ed eletti.

Si tratta di un patrimonio di esperienze che la Repubblica Italiana può volentieri mettere al servizio dei Paesi amici, bilateralmente e nel più ampio contesto dei programmi di assistenza dell’Unione Europea.

Soltanto unendo le forze riusciremo a stroncare la pervasiva, nefasta influenza delle infiltrazioni criminali.

Magnifica Rettrice,

Autorità accademiche,

Care studentesse, cari studenti,

l’attuale contesto globale è molto incerto. Assistiamo a un moltiplicarsi di crisi, a tentativi di intaccare un ordine internazionale fondato sulle regole e sul multilateralismo.

Le sfide non si limitano soltanto all’ambito della pace e della sicurezza internazionali, ma ci sopravanzano in molti settori: energetico, alimentare, della legalità, dello Stato di diritto, della corretta informazione, della tutela delle libertà fondamentali.

Di fronte a sfide di tale entità nessuno è in grado di elaborare risposte efficaci se non nel contesto di una più ampia e approfondita collaborazione.

Le aree di crisi nel mondo sono oggi numerose. Le cause dell’instabilità sono profonde.

Insieme possiamo promuovere un approccio alla pace capace di cogliere le complessità del momento presente.

Insieme, America Latina e Unione Europea, riusciremo a riaffermare l’urgenza di processi di pace inclusivi, la centralità delle Nazioni Unite, l’efficacia del multilateralismo.

Magnifica Rettrice,

cari Docenti,

care studentesse e cari studenti,

come già ci indicava Gabriela Mistral, straordinaria scrittrice cilena e prima donna latinoamericana a ricevere il Nobel per la letteratura (console della Repubblica del Cile a Napoli nel 1951 dopo che il regime fascista ne aveva negato l’accredito per Genova nel 1931, venti anni prima in quanto donna), possiamo “cercare la forza delle onde del mare, capaci di trasformare ogni retrocessione in un nuovo punto di partenza”.

Mi piace pensare che questo 2023 possa rappresentare per noi quel nuovo punto di partenza.

America Latina, Italia, Europa non condividono soltanto un passato ricco di memorie condivise.

Caratterizza le loro relazioni un presente fatto di sensibilità e interessi convergenti, e un futuro di reciproco benessere.

Occorre lavorarci insieme.

Vi ringrazio dell’attenzione.

[1] Commissione europea e Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Comunicazione congiunta al Parlamento europeo e al Consiglio, “Una nuova agenda per le relazioni tra l’UE e l’America Latina e i Caraibi”, JOIN (2023) 17 del 7 giugno 2023.

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella presso l’Ambasciata d’Italia a Santiago in occasione della deposizione di una rosa al Monumento in onore di Lumi Videla

 Santiago del Cile, 05/07/2023 (II mandato)

Ringrazio l’Ambasciatrice della Repubblica Italiana in Cile di avere organizzato questo momento di memoria.

Signori ex primi mandatari della Repubblica del Cile,

Eduardo Frei Ruiz-Tagle, Michelle Bachelet Jeria, Ricardo Lagos Escobar. 

Grazie della vostra presenza che testimonia il rapporto profondo tra i nostri due popoli e la storia condivisa che ci unisce.

Poco fa ho avuto modo di esprimere alcuni pensieri, alcune riflessioni presso l’Università del Cile.

Adesso rendiamo omaggio alla figura di Lumi Videla, assurta a uno dei simboli delle vittime della violenza della dittatura guidata dal generale Pinochet, della violazione dello Stato di diritto e delle Convenzioni internazionali, dell’orrore perpetrato contro la vita e la dignità dei cileni, e contro la propria vocazione, da Forze armate e da Forze dell’ordine.

Qui, a Santiago questa Ambasciata fu, in quegli anni pienamente operativa, nonostante il non riconoscimento da parte della Repubblica Italiana della situazione “de facto” generata dal colpo di Stato, divenendo punto di riferimento per centinaia di perseguitati, salvandone la vita, offrendo loro rifugio.

Voglio anche qui ricordare in proposito il telegramma del Ministro degli Esteri italiano dell’epoca, Aldo Moro, all’ambasciata in Cile – il 14 ottobre 1973 – con cui si autorizzava, contro la prassi sempre seguita in precedenza, di offrire asilo anche ai non connazionali.

Ai diplomatici, al personale dell’ambasciata impegnati in quei difficili anni va la riconoscenza della Repubblica.

Josè Antonio Viera-Gallo, rifugiato in Italia negli anni della dittatura e poi, al ritorno della democrazia, uno dei presidenti della Camera dei Deputati del Cile (sorte che riguardò anche un’altra personalità esule in Italia, Antonio Leal), in un suo intervento, citava Volver di Gardel richiamando il verso che dice “veinte anos no es nada”, per dire che troppe cose si sono affollate nel tempo trascorso dal “golpe” dell’11 settembre 1973, circostanza che rendeva arduo rintracciare il filo all’origine della tragedia.

Ora siamo alla soglia dei cinquant’anni dalla morte del presidente Salvador Allende e ricordiamo la sua figura di martire della democrazia.

Tante cose sono avvenute ma è giusto sottolineare che il filo della democrazia cilena non si è mai interrotto.

Vi era stata una rottura democratica, e il Cile ne visse le conseguenze nell’isolamento internazionale che caratterizzò quel periodo.

Ma i torturati, gli esiliati, i rifugiati, le vittime del regime, hanno rappresentato le radici e hanno trasmesso valori che hanno permesso alla democrazia cilena di riprendere il sopravvento e il suo posto in America Latina e nel contesto internazionale.

L’anno prossimo saranno 170 anni dalla apertura delle relazioni diplomatiche tra l’allora Regno d’Italia e il Cile. E il 2024 segnerà anche il centenario dell’apertura delle rispettive ambasciate a Santiago e Roma.

Permettetemi di esprimere l’auspicio, anzi la certezza, che i nostri rapporti sapranno intensificarsi all’altezza dei valori che li hanno caratterizzati.

Per seguirci su Facebook mettete il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivetevi al gruppo lavocenews.it. Le email del quotidiano: direttore@lavocenews.it o info@lavocenews.it. Grazie.