Non chiamiamoli giochi
“La tecnologia di per sé non è né buona, né cattiva, né tantomeno neutra” (Melvin Kranzberg)
Cinzia Montedoro
Interviste esclusive alla psicoterapeuta specializzata in Terapia famigliare, ipnoterapeuta Anna Caiati, autrice della fiaba “Meglio cosi” ed.Temperino Rosso -scritta per parlare di “allerta pedofilia” ai bambini, e all’influencer Nick Radogna, lo youtuber pugliese con a seguito 960.000 iscritti su Youtube e 141.000 followers su Instagram, autore del libro “In giro per il mondo con il più figo degli sfigati” ed. Mondadori; nel suo libro Nick affronta temi di grande importanza per gli adolescenti, come il bullismo e la solitudine.
Abbiamo preso in prestito l’affermazione di Malvin Kranzberg, illustre studioso di storia della tecnologia, che già anni prima dell’avvento dei social o del traffico web, ci metteva in guardia dal suo uso spropositato; il concetto di coinvolgimento nei social: il cui unico scopo è quello di facilitare i rapporti sociali, condividendo con la fredda comunicazione contenuti personali o digitali, lascia traccia di ogni nostro passaggio sulla rete e che troppo spesso entra nelle nostre vite violandole.
Certo tutto dipende dall’uso più o meno consapevole che ne fa l’uomo, ma ultimamente noi media siamo costretti a scrivere di tragiche vicende legate al mondo web, la nostra non vuole essere solo fredda informazione ma un campanello d’allarme che suoni alla coscienza di tutti per i tanti pericoli, perfettamente consapevoli che continuare a parlare di fenomeni rischiosi come le challenge (sfide) della morte, sia essenziale in tempi in cui lo smartphone, il tablet o il PC sono diventati i nuovi compagni di giochi dei ragazzi. Spulciando sul web mi sono imbattuta in numerosissime e pericolosissime sfide, ognuna delle quali con nomi differenti ma con un fattore comune: il male. Per moda, per tendenza o anche per noia sono solo alcuni dei motivi che spingono i ragazzi a sfiorare o a toccare la morte con queste sfide, la società oramai sempre più multi social è sicuramente un terreno fertile dove piantare l’idea che esibire l’ebbrezza della sofferenza sia la sfida di tendenza.
Come evitarle? Ecco solo alcuni nomi:
Skullbreaker Challenge: alla ”vittima” viene fatto uno sgambetto, egli crolla violentemente di schiena, battendo anche la testa. Le conseguenze dell’impatto a volte sono gravissime mentre la scena viene ripresa da uno smartphone.
Planking Challenge: nota anche con il nome di Lying down game (letteralmente “gioco dello sdraiarsi”), essa ha una regola sola da seguire: bisogna distendersi sull’asfalto – in posizione supina o a pancia in giù non importa –. al centro della carreggiata e attendere il passaggio di un’automobile.
Benadryl Challenge: consiste nell’imbottirsi di Benadryl, un farmaco antistaminico. Ci si filma dopo aver preso il farmaco che provoca allucinazioni ma non solo, se preso ad alto dosaggio altera e danneggia anche il sistema cardiocircolatorio.
Fire Challenge: il Fire Challenge nasce come una prova di coraggio da sfoggiare in rete. Basta cospargersi il corpo di benzina e darsi fuoco. Chi lo fa, deve accertarsi di avere una doccia, una piscina o, comunque, un getto d’acqua a portata di mano in modo da spegnere le fiamme per tempo.
Choking Game: cercare lo svenimento mediante l’auto-soffocamento, per poi “beneficiare” dello stato di euforia di cui il corpo viene pervaso al momento del rinvenimento.
Blackout challenge: consisterebbe nel provocarsi uno svenimento privandosi dell’ossigeno per qualche minuto con le braccia, o con corde e sciarpe, da soli o attraverso l’aiuto di qualcuno. Poi l’esperienza verrebbe filmata, o fotografata, e condivisa online.
Batmanning: Questa volta la posizione è quella dell’uomo-pipistrello, ovvero appeso per i piedi e a testa in giù. I rischi del batmanning sono, purtroppo, ben più elevati del semplice sangue alla testa.
Eyeballing: nato tra i giovani dei colleges inglesi si è prontamente diffuso in America: il tam tam sul web è stato inarrestabile, su Youtube attualmente ci sono almeno settecento video con ragazzi che si versano vodka sugli occhi e urlano in preda a un bruciore fortissimo.
Bird box challenge: la sfida ispirata ad un film horror e consiste nel vagare bendati mentre qualche amico filma l’impresa, ovviamente le conseguenze potrebbero essere disastrose.
Carsurfing Challenge: dove per surf s’intende salire sul tetto di un’auto e rimanere in equilibrio quando parte.
Eraser Challenge: sfregarsi il braccio con una gomma fino a farlo sanguinare.
TidePodsChallenge: mangiare una capsula di detersivo per lavatrici.
Abbiamo rivolto alcune domande la dottoressa Anna Caiati per meglio comprendere questo fenomeno:
- Una vera e propria dipendenza dai giochi social potrebbe diventare un fenomeno molto pericoloso, come un genitore può accorgersi del problema e come può spiegare al proprio figlio la pericolosità di questa dipendenza? Cosa spinge gli adolescenti di oggi a seguire queste challenge?
“Le CHALLENGE sono sfide che arrivano direttamente sui cellulari dei nostri ragazzini se non addirittura bambini. Adescare i minori in rete è troppo facile e rintracciare l’inviante è invece troppo difficile.
L’aggancio di solito avviene su TIKTOK….INSTAGRAM o WHATSAPP Tipo una prima richiesta anche APPARENTEMENTE tranquilla ma che invita alla sfida..appunto. La parte più’ agganciabile del cervello dei giovanissimi è proprio quella che è alla ricerca di eccitazione e sensazioni estreme che facciano sentire…GRANDI. Mentre la parte del controllo, dell’analisi e della riflessione è ancora da stabilizzarsi.
Su questa discrasia evolutiva e conseguente vulnerabilità ha buon terreno il processo di adescamento. L’online mette a disposizione sensazioni forti senza le barriere di protezione degli adulti nella vita reale. Così ragazzine e ragazzini, persino bambine e bambini, vengono inghiottiti e si perdono progressivamente, fino a rimanerne traumatizzati.
Ed a quel punto possono arrivare persino a farla finita non riuscendo più a chiudere una situazione che non sanno più fermare. Comunque dietro le CHALLENGE, ancora oggi, non si sa esattamente chi ci sia: possiamo ipotizzare falsi profili di chi sfrutta l’immaturità dei minori e la manipola. Comunque…evidentemente….persone o organizzazioni pericolose, criminali con fini commerciali nascosti.
Allora..come non manderemmo i nostri figli minori in giro di notte in zone malfamate o di guerra, così dobbiamo PRIMA di consegnare loro un cellulare mettere regole precise e sistemi di parent control. AMARE in ogni specie fa rima con PROTEGGERE”.
Abbiamo chiesto all’influencer Nick Radogna:
• Voi youtuber siete, permettimi l’espressione “uno strumento di comunicazione ad altissima influenza” con un pubblico di centinaia o migliaia utenti, comunicate, condividete un vostro messaggio, pronti a suscitare anche interazioni. Che responsabilità hai nel web quindi sapendo che chi ti segue è prevalentemente un pubblico giovanissimo?
• Quanto è importante l’educazione digitale e dedicare tempo e ascolto ai giovani per essere modelli credibili e coerenti senza ricorrere a stupide e pericolose challenge?
Sono decisamente consapevole di questo, difatti quando mi resi conto di avere un pubblico molto giovane decisi di rimuovere dal mio lessico qualsiasi termine volgare o poco consono e di comunicare soltanto messaggi educativi e positivi sempre in chiave ironica e divertente. Di conseguenza il senso di responsabilità è molto alto e faccio di tutto per dare sempre bei messaggi a chi mi segue.
Credo che in ogni media ci siano contenuti non appropriati ai più piccoli, dai programmi violenti alle trasmissioni per persone più grandi insomma, digitalmente bisogna fare più attenzione poiché a differenza di tv e radio vi è l’interazione, i più piccoli non sempre sono consapevoli che potrebbero chattare con persone che si nascondono dietro account fake o che potrebbero incombere in contenuti non adatti a loro. Purtroppo sul web questo non si può evitare, io ci metto del mio ma come ben sappiamo il web è un oceano infinito di siti e contenuti che non potremmo mai vigilare tutto, in tal situazione sta ai genitori controllare le attività web dei figli, impedirne l’utilizzo oramai è praticamente impossibile, io ad esempio ebbi il mio primo computer a 16 anni, molto tardi rispetto ai miei coetanei che già lo utilizzavano da tempo.
La redazione de lavocenews.it ringrazia sentitamente la dottoressa Anna Caiati e Nick Radogna per la disponibilità e la sensibilità.
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